Sentenza n. 39 del 1982
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SENTENZA N. 39

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 23 e 489 cod. proc. pen. (Azione civile nel giudizio penale) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 14 novembre 1975 dal Pretore di Orvieto nel procedimento penale a carico di Pellacani Velmiro, iscritta al n. 618 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 25 febbraio 1976;

2) ordinanza emessa il 17 febbraio 1976 dal Pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Lazzaretti Vieri, iscritta al n. 452 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 232 del 1 settembre 1976;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 novembre 1981 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Pellacani Velmiro, imputato di lesioni colpose gravi in persona di Tordi Giovanni, riportate a seguito di incidente stradale, il Pretore di Orvieto, premesso che, nella fattispecie, pur dovendosi escludere la prova della responsabilità penale dell'imputato, rimaneva tuttavia aperta per il danneggiato la via dell'azione civile basata sulla presunzione di cui all'art. 2054 cod. civ., ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 23 e 489 cod. proc. pen. nella parte in cui escludono che il giudice penale, con la sentenza dibattimentale di assoluzione, possa decidere sul risarcimento del danno, per preteso contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost..

Il giudice a quo ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte, la collocazione processuale del soggetto danneggiato dall'altrui fatto illecito sarebbe da considerare, rispetto al diritto al risarcimento, identica tanto in riferimento al processo civile che a quello penale, rimanendo l'azione civile di risarcimento regolata in ogni caso dai medesimi principi sul piano della prova dei fatti come su quello delle norme applicabili. E ricorda altresì che, in caso di assoluzione dell'imputato, sempre secondo la giurisprudenza della Corte, la parte civile può sempre proporre ricorso in Cassazione ex art. 111 Cost.. Da tali pronunzie dovrebbe desumersi una certa tendenza ad una maggiore garanzia dei diritti della parte civile nel processo penale, mentre dovrebbe invece prendersi atto che, nel caso di sentenza assolutoria, la parte civile si troverebbe in posizione più sfavorevole rispetto a quella della parte che ha esercitato il diritto solo in sede civile. Tali disparità si manifesterebbero anzitutto in termini di tempo, perché il successivo giudizio civile non potrebbe essere iniziato o concluso prima del giudizio penale, con vantaggio solo delle parti economicamente più forti. Si verificherebbero poi possibili pregiudizi al sistema difensivo, sia perché la parte civile sarebbe costretta a proporre il ricorso ex art. 111 Cost. "senza conoscere il pensiero del primo giudice sui risvolti civilistici del rapporto processuale", sia perché nel giudizio civile dovrebbero sostanzialmente riproporsi le stesse prove già raccolte nel procedimento penale, con sensibile aggravio di spese e dispendio di energie processuali.

Tali disparità di trattamento fra situazioni oggettivamente e soggettivamente eguali, sarebbero in contrasto col principio di eguaglianza, perché non suscettibili di ragionevole giustificazione, e violerebbero altresì la garanzia del diritto di difesa, in quanto porrebbero il danneggiato dal reato di fronte all'alternativa di "accettare una sentenza penale eventualmente pregiudizievole" o di "ricorrere per Cassazione avverso un provvedimento che non ha esaminato la di lui posizione sotto il profilo delle norme civilistiche". Ond'é che dovrebbe trovare accoglimento la proposta censura, con la conseguente attribuzione al giudice penale del potere di pronunziarsi in ogni caso in merito alle ragioni della parte lesa costituita parte civile.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 51 del 25 febbraio 1976.

Si é in questa sede costituito tempestivamente il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni.

L'Avvocatura, in sostanza, afferma che le lamentate disparità di trattamento potrebbero, se mai, prospettare un problema di politica legislativa ma non di legittimità costituzionale.

Invero, il problema della subordinazione del giudizio civile a quello penale investirebbe tutti i casi di danni derivanti da reati perseguibili d'ufficio, nei quali appunto il giudizio civile deve cedere il passo a quello penale. Ma, prosegue l'Avvocatura, la ragione di tale priorità sarebbe ben chiara ed evidente, onde sarebbe da escludere la violazione del principio di eguaglianza.

E pure sarebbe da escludere l'altro vizio di legittimità prospettato nella ordinanza, in quanto i motivi addotti non rifletterebbero comunque una violazione del diritto di difesa, ma si ridurrebbero ad una questione di interpretazione della sentenza di proscioglimento penale ai fini della prosecuzione dell'azione risarcitoria in sede civile, in conformità dei rapporti intercorrenti fra giudizi penali e civili il cui svolgimento, come già detto, non comporterebbe irragionevoli disparità di trattamento.

2. - Nel giudizio penale a carico di Lazzaretti Vieri, imputato di lesioni colpose prodotte a seguito di incidente stradale, il Pretore di Livorno, con ordinanza 17 febbraio 1976, ravvisata una situazione processuale, analoga a quella prospettata nella precedente ordinanza del Pretore di Orvieto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 489 c.p.p., nella parte in cui esclude che il giudice penale possa pronunziarsi sull'azione civile in caso di proscioglimento dell'imputato, per pretesa violazione degli artt. 3 e 24 Cost. Le ragioni addotte a sostegno della censura coincidono sostanzialmente con quelle già esposte nell'ordinanza del Pretore di Orvieto sopra menzionata, ravvisandosi per effetto della cennata limitazione sia una violazione del diritto di difesa in funzione del quale non sarebbero lecite restrizioni al diritto di agire in giudizio per la tutela dei diritti, sia una violazione del principio di eguaglianza, per le disparità di trattamento tra chi esercita l'azione di risarcimento in via civile e chi la inserisce nel procedimento penale.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla G.U. n. 232 del 1 settembre 1976.

Si é costituito in questa sede il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha tempestivamente depositato le proprie deduzioni.

L'Avvocatura ripropone le argomentazioni già svolte nel giudizio promosso con l'ordinanza della Pretura di Orvieto sopra menzionata, ribadendo in particolare che il diritto di difesa ed il principio di eguaglianza non apparirebbero violati per il fatto che l'azione civile di risarcimento non trovi soluzione nell'ambito del processo penale ma debba proseguire a parte in sede processuale civile.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze di rimessione propongono sostanzialmente la medesima questione di legittimità costituzionale, ed i relativi giudizi possono quindi essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - I giudici a quibus, in fattispecie concernenti lesioni colpose provocate da incidenti stradali in ordine alle quali era da escludere a loro giudizio la responsabilità penale degli imputati, rilevano che, in base agli artt. 23 e 489 c.p.p. non poteva farsi luogo ad una decisione sul risarcimento del danno appunto in conseguenza del disposto delle norme citate secondo cui il giudice penale, nell'ipotesi di assoluzione, non può decidere sull'azione civile promossa in quella sede dalla parte lesa costituita parte civile e lamentano che tale limitazione sarebbe anzitutto in contrasto con il principio di eguaglianza giacché, mentre sarebbe ricavabile dalla giurisprudenza della Corte un tendenziale principio di allargamento delle garanzie dei diritti della parte civile nel processo penale, il censurato divieto porrebbe il danneggiato costituitosi parte civile in posizione deteriore rispetto alla parte che agisca invece direttamente in sede civile. E ciò in quanto, secondo le più specifiche argomentazioni contenute nell'ordinanza del Pretore di Livorno, la parte civile potrebbe solo proporre ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. (sent. 1/70

 della Corte costituzionale) - il che peraltro comporterebbe una situazione di svantaggio, dato che la pronunzia del giudice penale prescinderebbe necessariamente dalle questioni di natura civilistica - o comunque sarebbe costretta a reiterare nel giudizio civile successivo alla sentenza penale i mezzi difensivi già proposti in precedenza, con aggravio di spese ed energie processuali a tutto danno delle parti economicamente più deboli.

3. - L'assunto non é fondato.

Invero é di tutta evidenza la diversità delle situazioni poste a raffronto. Non é certamente dubbio che l'azione che la parte civile propone nel giudizio penale é quella che ad essa spetta in base alle leggi civili (sent. 40/74). Ma é anche vero, come pure la Corte ha affermato nella stessa sentenza, che l'azione civile si inserisce nel processo penale collocandosi in esso in via accessoria e, in qualche modo, subordinata, dato che é principio generale del nostro ordinamento la prevalenza nel processo penale dell'interesse pubblico all'accertamento dei reati rispetto all'interesse collegato alla risoluzione delle liti civili.

E tale natura accessoria, come esattamente del resto ha rilevato anche la giurisprudenza ordinaria, condiziona non irrazionalmente l'autonomia dell'azione civile rispetto a quella penale che si sia esaurita con il proscioglimento o l'assoluzione dell'imputato.

Ciò é sufficiente per escludere che possa considerarsi leso il principio di eguaglianza che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, richiede al legislatore di emanare norme differenziate rispetto a situazioni ragionevolmente ritenute diverse.

Gli inconvenienti cui, secondo il Pretore di Livorno, andrebbe incontro la parte civile nel caso di proscioglimento dell'imputato in relazione alla tutela dei propri diritti sono effetto dei principi suddetti e non possono quindi valere a sostegno della tesi prospettata.

4. - Né maggior fondamento può riconoscersi alla censura sollevata in relazione all'art. 24 Cost., in base alla affermazione che il divieto censurato menomerebbe il diritto di difesa della parte civile, ponendola come si é detto nell'alternativa o di subire gli effetti della pronunzia assolutoria o di ricorrere per Cassazione contro un provvedimento che prescinde dagli aspetti civilistici del giudizio.

Le considerazioni sopra enunciate, in relazione alla diversità delle situazioni della parte lesa costituita parte civile nel processo penale e della parte lesa che proceda autonomamente alla tutela dei propri diritti in sede civile rendono evidente che non può configurarsi una lesione dei diritti della difesa garantiti dalla norma costituzionale invocata, la quale, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi osservata nel caso in cui le modalità di esercizio del diritto stesso sono regolate secondo le caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti, senza incidere o menomare l'esistenza del diritto stesso allorché ne vengano assicurati lo scopo e la funzione perseguiti. Il che appunto accade nel caso in esame, data la possibilità conservata alla parte lesa di provvedere nel modo più completo alla tutela dei propri diritti sia attraverso il ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. sia, comunque, attraverso l'ordinaria via del giudizio civile successivo alla pronunzia penale, che, come ipotizzato nelle ordinanze di rinvio nella specie potrebbe eventualmente trovare fondamento ai sensi dell'art. 2054 c.c.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 23 e 489 c.p.p. nella parte in cui escludono che il giudice penale decida sull'azione civile quando il procedimento si chiude con sentenza che dichiara non doversi procedere o con pronuncia di assoluzione per qualsiasi causa, sollevata con ordinanze del Pretore di Orvieto del 14 novembre 1975 e del Pretore di Livorno del 17 febbraio 1976 in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 16 febbraio 1982.