Sentenza n. 33 del 1982
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SENTENZA N. 33

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 60, lett. a), e 135 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 ("Stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri") e dell'art. 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336 ("Norme sullo stato giuridico del personale sanitario degli ospedali"), promossi con due ordinanze del Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo in data 4 ottobre 1977 e 21 febbraio 1978 e con tre ordinanze del Consiglio di Stato - Sez. V giurisdizionale - in data 27 novembre 1975 e 6 aprile 1979 (due ordinanze), rispettivamente iscritte ai nn. 276, 305 e 383 del registro ordinanze 1978 ed ai nn. 560 e 939 del registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 250, 257 e 300 del 1978, n. 265 del 1979 e n. 50 del 1980.

Visti gli atti di costituzione di Arcuri Francesco e di Gariglio Marcella e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 dicembre 1981 il Giudice relatore Oronzo Reale;

uditi gli avvocati Filippo Lubrano e Giacinto Miraglia, per Arcuri Francesco, l'avvocato Salvatore Neglia, per Gariglio Marcella e l'avvocato dello Stato Paolo D'Amico, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con due ordinanze, emesse rispettivamente in data 4 ottobre 1977 (reg. ord. n. 276 del 1978) e 21 febbraio 1978 (reg. ord. n. 305 del 1978), il TAR per l'Abruzzo sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 60, lett. a) e 135 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, in relazione all'art. 42, ultimo comma, della legge 12 febbraio 1968, n. 132, e all'art. 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336, per preteso contrasto con l'art. 76 della Costituzione.

Il detto tribunale amministrativo era stato investito di quattro ricorsi di altrettanti primari ospedalieri i quali erano stati collocati a riposo in quanto avevano compiuto i sessantacinque anni; i medici ricorrenti avevano per contro sostenuto di aver diritto ad essere mantenuti in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età, in forza dell'art. 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336; questa norma aveva disposto che determinate categorie di sanitari avessero diritto ad essere mantenute in servizio fino al compimento del settantesimo anno.

Premesso che, ad avviso del collegio a quo, il d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, emanato in forza della delega contenuta nella legge 12 febbraio 1968, n. 132, aveva per un verso stabilito un limite massimo generale di sessantacinque anni per il collocamento a riposo del personale medico, e, per contro, abrogato ogni disposizione contraria in materia, e che pertanto non poteva dubitarsi della infondatezza, de iure condito, dei ricorsi in parola, si rilevava che la legge delega del 1968 aveva dettato direttive al legislatore delegato che, nella specie, sarebbero state disattese. Infatti, la citata legge del 1968 avrebbe da un lato (art. 66) "ribadito inequivocabilmente la vigenza del ricordato art. 6 della legge n. 336 del 1964, estendendo il beneficio previsto anche al personale successivamente trasferito ad altro ospedale; e, dall'altro, sancito (art. 42) il riconoscimento delle posizioni giuridiche ed economiche acquisite dal personale in servizio.

Tale ultima norma assume particolare rilievo nell'argomentare del tribunale amministrativo a quo; si rileva infatti che il diritto alla permanenza in servizio fino al settantesimo anno di età, attiene "indubbiamente" allo status sanitario ospedaliero, diritto già acquisito per coloro che già si trovano nelle condizioni previste dall'art. 6 più volte citato. Deriverebbe da ciò che le norme di cui agli artt. 60 e 135 del d.P.R. n. 130 del 1969, con l'introdurre in via generale ed indifferenziata il collocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di età, e con l'abrogare ogni disposizione contraria, avrebbero oltrepassato i limiti della delega contenuta nell'art. 42 della legge n. 132 del 1968, per ciò che attiene alla posizione di quei sanitari che avevano acquisito il diritto ad essere trattenuti in servizio fino al compimento del settantesimo anno in forza dell'art. 6 della legge n. 336 del 1964. Ne risulterebbe quindi violato l'art. 76 della Costituzione.

Le ordinanze venivano ritualmente notificate e comunicate; spiegava intervento il Presidente del Consiglio per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, relativamente ad entrambi i giudizi, mentre le parti private non si costituivano.

Negli atti di intervento si osservava che se la legge delegante aveva prescritto al legislatore di riconoscere le posizioni giuridiche ed economiche acquisite dal personale già in servizio, in questo concetto non possono certo essere ricomprese le posizioni di quel personale cui era stato riconosciuto il diritto di restare in servizio sino al compimento del settantesimo anno. Vige infatti (ed é al riguardo preminente) per il legislatore ordinario l'obbligo di organizzare i pubblici uffici in modo da assicurarne il buon andamento e l'efficienza. Pertanto, se "una norma di privilegio preesistente" aveva disposto che il collocamento a riposo dovesse avvenire al compimento del settantesimo anno, ciò era stato stabilito in modo difforme da ciò "che occorreva ed occorre" per il puntuale svolgimento - nell'ospedale - dei servizi sanitari di istituto.

Si ricordava che alcune decisioni del Consiglio di Stato avevano escluso che in tema di collocamento a riposo per limiti di età potessero esistere posizioni acquisite. Si sottolineava altresì che la norma di cui all'art. 66 della legge n. 132 del 1968, che aveva esteso la possibilità di rimanere in servizio fino a 70 anni anche al caso di trasferimento da un ospedale all'altro, purché in presenza di un rapporto di categoria tra l'uno e l'altro luogo di cura, non può essere considerata come norma delegante, altri essendo il suo scopo e la sua collocazione nella legge delega.

2. - Con ordinanza emessa in data 27 aprile 1975 (reg. ord. n. 383 del 1978), la V sezione del Consiglio di Stato ha sollevato un'analoga questione di costituzionalità attinente alle stesse norme di cui si é detto e con riferimento pure all'art. 76 della Costituzione, seppure avuto riguardo alla legge 20 febbraio 1956, n. 68, su cui il ricorrente, primario incaricato, aveva basato il suo diritto ad ottenere il mantenimento in servizio fino al 70 anno di età. Sostanzialmente nell'ordinanza di remissione si ritiene che il diritto di essere trattenuti in servizio, spettante a quei sanitari in possesso dei requisiti di cui alla legge n. 68 del 1956, attiene allo status di sanitario ospedaliero già conseguito e pertanto nella previsione del più volte citato art. 42 della legge n. 132/1968; donde la censura di incostituzionalità degli articoli 60, lett. a) e 135 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, per contrasto con l'art. 76 della Costituzione.

Dall'ordinanza risulta che il ricorrente dr. Aloj era primario incaricato, non di ruolo; sul punto, la stessa ordinanza si limita ad osservare che "E neppure é controverso, per non averlo mai l'Ente ospedaliero contestato, né nel provvedimento amministrativo, né in questa sede, che il ricorrente sia in possesso di quei requisiti che rendono la disposizione applicabile nei suoi confronti".

Della questione si occupava l'Avvocatura dello Stato, ma in un atto di intervento presentato fuori termine.

3. - Con ordinanza in data 6 aprile 1979 (reg. ord. n. 939 del 1979), la stessa V sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato sollevava una questione di legittimità costituzionale sostanzialmente non diversa da quelle già ricordate, seppure riferentesi ai casi delle signore Ester Benecchi e Marcella Gariglio, rispettivamente direttrice e vice direttrice della Scuola Convitto per infermieri professionali "Regina Elena", le quali lamentavano di non essere state inquadrate nei ruoli degli Ospedali Riuniti, a seguito dell'"assorbimento" della Scuola Convitto, in base al fatto che avevano entrambe superato il 60 anno di età; e ciò in contrasto con il disposto dell'art. 60, lett. a) del più volte citato d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130. Le ricorrenti avevano opposto che l'art. 137, lett. b) del decreto 23 agosto 1946 dell'Alto Commissario per l'Igiene e la Sanità pubblica che aveva approvato il Regolamento della Scuola dava loro diritto di rimanere in servizio sino a 65 anni. Il TAR del Lazio aveva respinto le domande delle ricorrenti, che avevano perciò adito il Consiglio di Stato, il quale nel ribadire, a sostegno della non manifesta infondatezza della prospettata questione, le argomentazioni già esposte a proposito delle ordinanze in precedenza riassunte, escludeva che la rilevanza della questione stessa potesse essere revocata in dubbio in ragione del fatto che la salvaguardia delle posizioni giuridiche ed economiche di cui all'art. 42 concerneva soltanto il personale già in servizio presso enti ospedalieri o tali riconosciuti "di diritto" e non già quello appartenente ad enti diversi.

Né potrebbe aver rilievo il fatto che le norme da cui deriva la posizione acquisita abbiano natura non legislativa; e ciò in quanto il più volte citato art. 42 della legge delega non limita la salvaguardia a quelle posizioni che trovino il loro fondamento solo in una legge, come sarebbe confermato dall'art. 49 della stessa legge n. 132 che prevede il rispetto di posizioni conseguite dal personale presso gli enti di provenienza in forza dei rispettivi statuti e regolamenti, fonti dunque non legislative.

L'ordinanza veniva ritualmente notificata e comunicata. Si costituivano la Gariglio e la Benecchi, chiedendo che la proposta questione fosse accolta e svolgendo argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle contenute nell'ordinanza di remissione.

Interveniva altresì il Presidente del Consiglio, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato. Nel chiedere che la proposta questione fosse dichiarata infondata, si ribadivano le tesi già esposte più sopra; con riferimento specifico al caso in esame, si aggiungeva che salvaguardare una posizione giuridica acquisita può soltanto significare di evitare che, nel passaggio da un ordinamento all'altro, si verifichi una limitazione della sfera giuridica del soggetto, perché si possa parlare di salvaguardia però, occorre che tale posizione sia in concreto raggiunta.

4. - Con altra ordinanza in data 6 aprile 1979 (reg. ord. n. 560 del 1979), la stessa V sezione del Consiglio di Stato, ritenendola preliminare e, nel caso di fondatezza, assorbente, sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336, nella parte in cui tale norma limita ai primari di ruolo in servizio al momento dell'entrata in vigore della detta legge il diritto ad essere mantenuti in servizio fino al compimento del 70 anno di età, non estendendo il beneficio ai primari incaricati, per preteso contrasto con l'art. 3 della Costituzione, atteso che la diversità di trattamento sarebbe ingiustificata e irrazionale.

Il collegio a quo argomenta nel senso che l'intero svolgersi della legislazione al riguardo sarebbe idoneo a dimostrare che il fine propostosi dal legislatore era chiaramente quello di ovviare a situazioni particolari afferenti alle conseguenze del periodo bellico ovvero alla necessità di tener conto di specifiche esigenze, in attesa di nuove norme legislative in materia di limiti di età, tanto che, nell'ambito delle disposizioni normative susseguitesi al riguardo (R.D. 30 settembre 1938, n. 1631, art. 18; legge 20 febbraio 1956, n. 68, articolo unico; legge 23 ottobre 1962 n. 1552) non era contenuta alcuna distinzione tra le categorie di sanitari aventi diritto al beneficio; solo nella legge n. 336 del 1964 si rinviene la detta discriminazione soggettiva che "non trova alcuna plausibile giustificazione obiettiva".

Si costituiva il prof. Arcuri, il quale aderiva alle ragioni esposte nell'ordinanza di rinvio e sottolineava che la ratio della norma di cui all'art. 6 della legge n. 336 del 1964 era palesemente quella di prolungare l'attività professionale per i sanitari che, "a causa degli eventi bellici e delle note deficienze amministrative del periodo post-bellico che impedirono il normale espletamento dei concorsi ospedalieri", avevano trovato obiettivi ostacoli al normale svolgimento della carriera. Questo scopo del legislatore sarebbe ravvisabile anche nelle altre disposizioni normative precedentemente emanate, concernenti tutte le categorie dei sanitari, senza distinzione, e che avevano prolungato i limiti di età.

Nell'atto di intervento, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedeva che la proposta questione fosse dichiarata infondata, osservando che le situazioni poste a confronto nella ordinanza di rimessione non sono identiche; da un lato infatti vi sarebbero i primari di ruolo, tali divenuti a seguito del superamento di un "duro concorso", dall'altra i primari non di ruolo che tale prova non hanno affrontato o superato; che inoltre sarebbe stata apertamente contraria al pubblico interesse una disposizione che avesse "stabilizzato" sino al compimento del 70 anno di età anche i primari incaricati, bloccando così la potestà degli enti ospedalieri di indire concorsi onde sostituire ai primari incaricati i primari di ruolo; mentre poi con la legge 28 aprile 1967, n. 252, era stato accordato agli incaricati di partecipare ad un concorso interno riservato.

L'Avvocatura sottolineava poi la violazione dell'interesse pubblico, che sarebbe derivata dal mantenimento in servizio anche degli incaricati, bloccando i concorsi per cinque anni, per difetto di posti disponibili.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le cinque ordinanze riassunte in narrativa sollevano questioni di legittimità costituzionale eguali o connesse: le quali, pertanto, possono essere riassunte e decise con unica sentenza.

2. - La legge 10 maggio 1964, n. 336 ("Norme sullo stato giuridico del personale sanitario degli ospedali") nelle norme transitorie stabiliva (art. 6) che "... i primari, che all'entrata in vigore della presente legge occupino un posto di ruolo, sono trattenuti in servizio fino al compimento del 70 anno di età". Il d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 ("Stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri") all'art. 60 stabilisce il collocamento a riposo obbligatorio d'ufficio "al compimento del 65 anno di età per il personale sanitario, tecnico laureato, amministrativo e di assistenza religiosa; al compimento del 60 anno di età per il restante personale"; e stabilisce all'art. 135 che "é abrogata ogni disposizione incompatibile con le norme contenute nel presente decreto".

Il citato d.P.R. n. 130 é stato emanato in virtù della legge delega 12 febbraio 1968, n. 132 ("Enti ospedalieri ed assistenza ospedaliera") che nell'art. 42 ("Principi direttivi per lo stato giuridico del personale") stabilisce: "In ogni caso dovranno essere riconosciute le posizioni giuridiche ed economiche acquisite dal personale già in servizio".

Il TAR per l'Abruzzo con le due ordinanze in esame nn. 276 e 305 del reg. ord. del 1978 dubita della legittimità costituzionale delle citate disposizioni del d.P.R. n. 130 del 1969 in ragione del contrasto in cui esse si porrebbero con i principi direttivi stabiliti nell'art. 42 della legge delega n. 132 del 1968, per non aver riconosciuto "le posizioni giuridiche ed economiche del personale già in servizio", posizioni (diritto a restare in servizio fino al compimento del 70 anno di età) che sarebbero state acquisite in virtù della citata norma transitoria (art. 6) della legge n. 336 del 1964.

Eguale é la questione sollevata dal Consiglio di Stato, Sez. V, con l'ordinanza n. 383 del reg. ord. del 1978, con la sola differenza che questa si riferisce, quale fondamento del diritto del sanitario a restare in servizio fino al 70 anno di età, all'articolo unico della legge 20 febbraio 1956, n. 68 ("Collocamento a riposo dei sanitari ospedalieri di ruolo") il quale dispone che i sanitari ospedalieri di ruolo in servizio alla data di entrata in vigore del R.D. 30 settembre 1938, n. 1631 sono collocati a riposo quando hanno compiuto 65 anni di età e 40 di servizio, "salvo in ogni caso il collocamento a riposo al compimento del 70 anno di età".

Sostanzialmente eguale é anche la questione sollevata con l'ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 939 del reg. ord. del 1979. Nel caso in esame si trattava dell'asserito diritto di una direttrice e di una vice direttrice infermiere a restare in servizio dopo il superamento dei 60 anni di età.

Questo diritto avrebbe avuto la sua fonte nel Regolamento della Scuola Convitto Professionale "Regina Elena" per infermiere presso il Policlinico di Roma approvato con decreto 23 agosto 1946 dall'Alto Commissario per l'Igiene e la Sanità Pubblica, il quale all'art. 137 fissava a 65 anni i limiti di età per la cessazione dal servizio per la direttrice, per la vicedirettrice e infermiere caposala. Il Consiglio di Stato, ritenendo motivatamente che l'art. 42 della legge delega n. 132 del 1968 si riferiva anche alla direttrice e vice direttrice della Scuola Convitto "Regina Elena", aventi mansioni proprie del personale ospedaliero, benché la loro posizione giuridica derivasse da un regolamento e non da una legge, ha dubitato anche in questo caso che l'art. 60 del d.P.R. n. 130 del 1969 potesse stabilire il collocamento a riposo obbligatorio a 60 anni, senza porsi in contrasto con il citato art. 42 della legge delega n. 132 del 1968, che imponeva il riconoscimento delle "posizioni giuridiche ed economiche" acquisite dal personale già in servizio.

Le quattro ordinanze ora esaminate chiamano dunque la Corte a decidere l'unica questione se l'art. 60 del d.P.R. n. 130 del 1969, disponendo il collocamento a riposo rispettivamente a 65 anni per il personale sanitario (nonché tecnico laureato, amministrativo e di assistenza religiosa) e a 60 anni per il restante personale, e l'art. 135 dello stesso decreto dichiarando "abrogata ogni disposizione incompatibile con le norme contenute nel presente decreto", siano in contrasto con il principio direttivo indicato nell'art. 42 della legge delega n. 132 del 1968 ("in ogni caso dovranno essere riconosciute le posizioni giuridiche ed economiche acquisite dal personale già in servizio"), con conseguente violazione dell'art. 76 della Costituzione.

3. - La questione non é fondata.

Il legislatore delegato non poteva attribuire al criterio direttivo cui era tenuto ad attenersi portata più ampia di quella determinata dalla sua espressione letterale, come era comunemente intesa nel tempo in cui la delega fu data ed esercitata. Ora in quel tempo era concordemente escluso dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che l'età del collocamento a riposo costituisse un elemento immutabile dello status del dipendente, costituisse, in altre parole, non una semplice aspettativa, ma un diritto quesito di fronte al quale doveva cedere la potestà della pubblica amministrazione di operare le scelte organizzative ritenute necessarie in vista del suo buon andamento (art. 97 Cost.). Pertanto ben poteva il legislatore delegato determinare con disposizione generale e senza eccezioni l'età per il collocamento a riposo in 65 anni per il personale sanitario, tecnico laureato, amministrativo e di assistenza religiosa e in 60 anni per il restante personale.

Del resto, anche in tempo successivo, con la sola eccezione (oltre che delle ordinanze che hanno sollevato le questioni in esame) di qualche isolata recente decisione, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, e, senza eccezioni, quella della Corte dei conti continuano ad escludere che fra le posizioni giuridiche ed economiche acquisite sia compresa la disciplina del collocamento a riposo, la quale attiene al potere di organizzazione della pubblica amministrazione.

Ma anche a prescindere dalla attuale netta prevalenza di questa opinione, decisiva, al fine di determinare l'esatta portata del criterio direttivo cui il legislatore delegato doveva attenersi, é la considerazione che, di fronte a tale opinione, allora pacifica, se il legislatore delegante avesse voluto far salve in via di eccezione le disposizioni di favore contenute nella normativa precedente alla legge del 1968, avrebbe fatto espresso e distinto riferimento, in aggiunta alle "posizioni giuridiche ed economiche", al collocamento a riposo. Ciò che non é avvenuto, né é dato rinvenire nei lavori preparatori della legge traccia alcuna della intenzione del legislatore di salvare anche le aspettative dei dipendenti in ordine all'età del collocamento a riposo. Aspettative che - come in materia analoga e con riferimento allo stesso d.P.R. n. 130 del 1969 ebbe già a ritenere la Corte (sentenza n. 131 del 1974) - non rientrano fra le "posizioni giuridiche ed economiche" del personale già in servizio, tanto che il legislatore quando in altra circostanza volle assicurarne la soddisfazione sentì il bisogno di menzionarle espressamente e distintamente dal trattamento economico e dalle posizioni giuridiche già conseguite.

Per sottrarsi alla detta conclusione circa la rispondenza della legge delegata ai criteri della legge delega una delle ordinanze di rimessione, cioè quella del TAR per l'Abruzzo emessa il 4 ottobre 1977 (n. 276 del reg. ord. del 1978) richiama anche l'art. 66 della legge n. 132 del 1968, il quale dispone l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336 anche nel caso di successivo trasferimento del personale da un ospedale all'altro.

Senonché, come lo stesso TAR per l'Abruzzo rileva nell'altra ordinanza emessa il 21 febbraio 1978 (n. 305 del reg. ord. 1979), con la quale pure solleva la stessa questione di legittimità costituzionale, "é vero che l'art. 66 considera ancora in vigore l'art. 6 più volte citato, tuttavia esso non contiene direttive (a meno di volerle desumere implicitamente, il che sembra da escludere, dal fatto stesso della "estensione") al legislatore delegato in merito alla considerazione del beneficio di cui si tratta". Ed é inoltre significativo che nelle ordinanze del Consiglio di Stato nelle quali pure si imputa al legislatore delegato di aver disatteso i criteri direttivi fissati nell'art. 42 della legge delega, non vi é traccia di riferimento all'art. 66 della legge del 1968. Segno evidente che anche il Consiglio di Stato ha ritenuto l'art. 66 estraneo alla delega, quindi non influente sulle determinazioni del legislatore delegato.

Si può pertanto concludere che la denunziata violazione dell'art. 76 della Costituzione non sussiste, corrispondendo la legge delegata ai criteri direttivi fissati nella legge delega.

4. - Rimane da esaminare l'ordinanza 6 aprile 1979 (n. 560 del reg. ord. del 1979) del Consiglio di Stato, Sez. V.

Essa é stata emessa in grado di appello in una causa promossa dal prof. Francesco Arcuri per sentir dichiarare il suo diritto a restare in servizio fino a 70 anni presso l'Ospedale civile di Genova in virtù del più volte citato art. 6 della legge n. 336 del 1964, e ciò nonostante che egli non occupasse "un posto di ruolo", come prescrive la detta norma, ma un posto di primario incaricato.

Il Consiglio di Stato, giudicando, come si é detto, in grado di appello contro una decisione del TAR per la Liguria, ebbe sì a ricordare che con sua ordinanza 1 aprile 1976 aveva sollevato la questione di costituzionalità dell'art. 60, lett. a) del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, "tuttavia per un profilo completamente diverso che non ricorre nel caso in esame", ma ritenne di dover "esaminare per prima la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente" (cioé la pretesa ingiustificata disparità di trattamento - nell'art. 6 della legge n. 336 del 1964 - fra primari di ruolo e primari incaricati) perché "ove tale motivo dovesse ritenersi fondato esso avrebbe carattere assorbente".

Senonché é evidente che in tanto la detta questione potrebbe aver rilevanza in quanto si dichiarasse la persistente vigenza della detta disposizione dell'art. 6 dopo il d.P.R. 27 marzo n. 130 del 1969 che nell'art. 60 fissa a 65 anni il collocamento a riposo per tutti i sanitari (di ruolo o incaricati) e nell'art. 135 abroga ogni disposizione incompatibile con le norme contenute nel decreto stesso; cioè in quanto si ritenesse l'illegittimità costituzionale dei detti artt. 60 e 135. Questo essendo escluso, come sopra si é visto, la questione relativa alla legge del 1964 sollevata dal Consiglio di Stato con l'ordinanza in esame si appalesa irrilevante, dunque inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1. - dichiara la non fondatezza: 1) della questione di legittimità costituzionale degli artt. 60, lett. a) e 135 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 in relazione all'art. 42, ultimo comma, della legge 12 febbraio 1968, n. 132 nonché all'art. 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336, sollevata dal TAR per l'Abruzzo con l'ordinanza n. 276 del reg. ord. del 1978 di cui in epigrafe con riferimento all'art. 76 della Costituzione; 2) della questione di legittimità costituzionale degli artt. 60, lett. a) e 135 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 in relazione agli artt. 42, ultimo comma, e 66 della legge 12 febbraio 1968, n. 132 e all'art. 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336, sollevata dal TAR per l'Abruzzo con l'ordinanza n. 305 del reg. ord. del 1978 di cui in epigrafe con riferimento all'art. 76 della Costituzione; 3) della questione di legittimità costituzionale degli artt. 60, lett. a) e 135 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 in relazione all'art. 42 della legge 12 febbraio 1968, n. 130 e alla legge 20 febbraio 1956, n. 68, sollevata dal Consiglio di Stato, con l'ordinanza n. 383 del reg. ord. del 1978 di cui in epigrafe, con riferimento all'art. 76 della Costituzione; 4) della questione di legittimità costituzionale degli artt. 60, lett. a) e 135 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 in relazione all'art. 42, ultimo comma, della legge 12 febbraio 1968, n. 132, sollevata dal Consiglio di Stato con l'ordinanza n. 939 del reg. ord. del 1979, di cui in epigrafe, con riferimento all'art. 76 della Costituzione;

2. - dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336, sollevata dal Consiglio di Stato, con l'ordinanza n. 560 del reg. ord. del 1979, di cui in epigrafe, con riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Edoardo VOLTERRA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria l'11 febbraio 1982.