Sentenza n. 28 del 1982
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SENTENZA N. 28

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 137, commi primo e terzo, cod. proc. pen. (Uso della lingua italiana) promosso con ordinanza emessa l'8 marzo 1977 dal Tribunale di Trieste, nel procedimento penale a carico di Pahor Samo, iscritta al n. 260 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 183 del 6 luglio 1977.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 ottobre 1981 il Giudice relatore Michele Rossano;

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con sentenza in data 13 dicembre 1974 il Pretore di Trieste condannò Pahor Samo, nato a Trbovlye (Jugoslavia) e residente a Trieste, quale colpevole del reato punito dall'articolo 651 del codice penale, per aver rifiutato di dare indicazioni sulla propria identità personale a due vigili urbani.

Avverso la sentenza il Pahor propose appello, invocando la sussistenza della causa di giustificazione dell'esercizio del diritto, fondato sull'articolo 5 dello Statuto speciale allegato al Memorandum del 5 ottobre 1954 tra Italia e Jugoslavia. Egli deduceva di aver titolo ad esigere che il vigile urbano gli formulasse la richiesta di indicazioni sulla sua identità personale in lingua slovena, direttamente o per il tramite di un interprete, e che lo stesso vigile rispondesse in lingua slovena, direttamente o per il tramite di un interprete, alle richieste di chiarimento sulla intimazione espressa in lingua italiana.

Durante il dibattimento di appello davanti al Tribunale di Trieste, all'udienza del 28 ottobre 1976, venne nominato un interprete della Corte d'appello di Trieste, sul presupposto che il Pahor non conoscesse la lingua italiana. All'udienza dell'8 marzo 1977 il Pahor, invitato ad indicare le proprie discolpe a mezzo di interprete, contestò la validità del procedimento, poiché la citazione a giudizio era stata formulata in lingua italiana, senza la traduzione in lingua slovena.

Il pubblico ministero chiese al Tribunale di procedere all'immediato giudizio del Pahor per il reato di cui all'articolo 137, terzo comma, del codice di procedura penale, per essersi rifiutato di esprimersi in lingua italiana, pur conoscendola.

Con ordinanza pronunciata nella stessa udienza dell'8 marzo 1977, il Tribunale di Trieste ha sollevato d'ufficio le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 137, prima e ultima parte, del codice di procedura penale, in riferimento agli articoli 3 e 6 della Costituzione e alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1.

Il primo comma dell'articolo impugnato prescrive che tutti gli atti del procedimento penale devono essere compiuti in lingua italiana a pena di nullità; il secondo comma punisce il rifiuto di esprimersi in lingua italiana da parte di persona che la conosca, nonché la falsa attestazione di ignorarla. Ad avviso del tribunale, tali norme sono in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, in quanto determinano una ingiustificata disparità di trattamento tra gli appartenenti alla minoranza di lingua slovena nella Regione Friuli - Venezia Giulia e gli appartenenti alla minoranza di lingua tedesca nella Regione Trentino-Alto Adige, ai quali é consentito da specifiche previsioni di usare la propria lingua nel processo penale. Le stesse norme sarebbero in contrasto altresì con l'articolo 6 della Costituzione, in relazione all'articolo 3 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione Friuli - Venezia Giulia), perché violano il principio di tutela della minoranza di lingua slovena nella Regione Friuli - Venezia Giulia.

Nel giudizio davanti a questa Corte non si é costituita la parte privata. É intervenuto invece il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato Generale dello Stato, con atto depositato il 22 luglio 1977, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale vengano dichiarate infondate, sulla base dei motivi di seguito esposti. Il Tribunale di Trieste ha esattamente premesso che il Memorandum d'intesa di Londra del 1954 non é stato recepito nella sua integralità e con i suoi allegati nel nostro ordinamento giuridico. Peraltro sono state adottate numerose misure a favore della minoranza slovena del Friuli - Venezia Giulia, anche prima del Memorandum, con atti legislativi statali, con ordinanze del Governo Militare Alleato, rimaste poi in vigore, con decreti del Commissario Generale del Governo per il Territorio di Trieste, con semplici atti amministrativi, con le varie norme emanate dalla Regione Friuli - Venezia Giulia.

Tutte queste misure - sostiene l'Avvocatura - tutelano adeguatamente la minoranza slovena e possono ritenersi applicative del suddetto Memorandum o adottate proprio in relazione agli impegni assunti con il Memorandum stesso. Le medesime misure, in quanto riferibili al citato atto internazionale, sono state mantenute in vigore anche dopo la ratifica degli accordi italo - jugoslavi di Osimo (legge 14 marzo 1977, n. 73) in base al disposto dell'articolo 3 del trattato.

Non é fondato quindi - si aggiunge - l'addotto contrasto dell'articolo 137 del codice di procedura penale con gli articoli 3 e 6 della Costituzione e con l'articolo 3 dello Statuto della Regione Friuli - Venezia Giulia. Tale contrasto viene posto in relazione con le norme emanate per gli appartenenti al gruppo tedesco del Trentino-Alto Adige, il quale presenta caratteristiche sostanziali che non ricorrono per la minoranza slovena. La prima ha infatti consistenza numerica assai superiore, con larghi addensamenti in alcune località. Il secondo ha per contro una consistenza globale molto ridotta e risulta disperso sul territorio della Regione. La differenza tra i due gruppi giustifica un diverso regime di tutela, anche per quanto concerne l'equo rapporto che deve esistere tra funzionamento e organizzazione dei pubblici uffici locali (amministrativi e giudiziari) e le effettive esigenze delle minoranze nel rapporto con gli uffici stessi.

Inoltre - si conclude - l'appartenente al gruppo sloveno risulta sufficientemente tutelato agli effetti della difesa in giudizio dato che può esprimersi nella propria lingua, qualora non abbia conoscenza della lingua italiana. Va sottolineato che, in applicazione della legge 19 luglio 1967, n. 568 sul conferimento dell'incarico di traduttore interprete presso gli uffici giudiziari, sono stati nominati sei interpreti e traduttori per il distretto di Corte d'appello di Trieste, di cui cinque per la lingua slovena e uno per la lingua serbo- croata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale di Trieste solleva questione di legittimità costituzionale dei commi primo e terzo dell'articolo 137 del codice di procedura penale per contrasto con l'articolo 3 della Costituzione in quanto determinano ingiustificata disparità di trattamento tra gli appartenenti alle minoranze di lingua slovena nella Regione Friuli - Venezia Giulia e gli appartenenti alle minoranze alloglotte del Trentino-Alto Adige e della Valle d'Aosta, ai quali é consentito, in base a specifiche normative l'uso della lingua madre nel processo penale. Le disposizioni citate contrasterebbero inoltre, secondo il Tribunale di Trieste, anche con l'articolo 6 della Costituzione e con l'articolo 3 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione Friuli - Venezia Giulia).

Le questioni non sono superate per il sopravvenire della legge 14 marzo 1977, n. 73, che autorizza la ratifica e dà piena ed intera esecuzione al trattato tra l'Italia e la Jugoslavia firmato ad Osimo il 10 novembre 1975, in quanto manca a tutt' oggi una normativa, che, sia pure limitatamente all'uso della lingua slovena, dia specifica attuazione al contenuto dell'articolo 8 di quel trattato. Questa situazione di carenza, di cui é doveroso sottolineare la gravità, rende dunque necessaria la pronuncia di questa Corte.

Peraltro, in termini di rilevanza, le questioni vanno circoscritte all'ambito spaziale in cui sono state sollevate e cioè al territorio di Trieste, prescindendosi dalle soluzioni adottabili per le minoranze slovene insediate nelle altre parti della Regione Friuli-Venezia Giulia.

2. - Le questioni proposte debbono entrambe dichiararsi non fondate.

Diversi tuttavia sono i motivi della duplice dichiarazione di non fondatezza. Infatti, a proposito del primo comma dell'articolo 137 del codice di procedura penale si deve ricordare che la Costituzione conferma per implicito che il nostro sistema riconosce l'italiano come unica lingua ufficiale, da usare obbligatoriamente, salvo le deroghe disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari, da parte dei pubblici uffici nell'esercizio delle loro attribuzioni. Ciò é confermato testualmente dell'articolo 84 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige (ora 99 del Testo unico approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e dall'articolo 38 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta. Pertanto, nessun contrasto può ravvisarsi tra il primo comma dell'articolo 137 del codice di procedura penale ed i parametri costituzionali invocati.

Per la seconda questione di legittimità costituzionale, concernente il terzo comma dell'articolo 137 del codice di procedura penale precisato, é da dire che, di per se stessi, né l'articolo 3 né l'articolo 6 della Costituzione possono garantire una specifica tutela agli appartenenti a singole minoranze linguistiche. Anzi, é chiara nell'ordinamento la tendenza a dare attuazione ai principi dell'articolo 6 della Costituzione secondo regimi articolati e peculiari, dettati in relazione alle differenziate situazioni ambientali. Perciò, anche per la Regione Friuli - Venezia Giulia, malgrado l'esplicito riferimento della X Disposizione transitoria della Costituzione alla tutela delle minoranze linguistiche e dell'articolo 3 dello Statuto speciale della Regione alla "salvaguardia delle rispettive caratteristiche etniche e culturali" dei diversi gruppi linguistici di appartenenza, resta fermo che le norme di grado costituzionale, richiamate come parametro, hanno natura di norma direttiva e dall'applicazione differita. D'altra parte al Memorandum d'intesa fra i Governi d'Italia, del Regno Unito, degli Stati Uniti e della Jugoslavia, concernente il territorio libero di Trieste (siglato a Londra il 5 ottobre 1954), che pure conteneva all'articolo 5 dello Statuto speciale (allegato secondo) ampie garanzie in tema di uso della lingua materna per le minoranze etniche italiana e slovena, non fu mai data piena ed intera esecuzione all'interno del nostro ordinamento, risultando tale Memorandum attuato in modo parziale e prevalentemente, se non esclusivamente, a mezzo di provvedimenti amministrativi.

Ma ciò non esime l'interprete dall'accertare se le norme legislative vigenti bastino comunque a conferire immediata operatività, in tema di uso della lingua nel territorio di Trieste, alle norme costituzionali evocate ed in particolare agli articoli 6 della Costituzione e 3 dello Statuto regionale. É sufficiente, a tal fine, ricordare le leggi statali 19 luglio 1961, n. 1012, e 22 dicembre 1973, n. 932, contenenti la disciplina per la istituzione di scuole con lingua di insegnamento slovena nelle province di Trieste e Gorizia; nonché l'articolo 34 del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 416 (con la significativa rubrica "tutela delle minoranze...") e l'articolo 8 della legge 14 gennaio 1975, n. 1, sull'ordinamento dei consigli scolastici nelle province di Trieste e di Gorizia in ordine alle scuole statali con lingua di insegnamento slovena. Vanno pure menzionate la legge 31 ottobre 1966, n. 935, che ha abrogato il divieto di dare nomi slavi ai bambini; la legge 14 aprile 1956, n. 308, che ha approvato e reso esecutiva la convenzione fra Presidenza del Consiglio e RAI-TV per l'estensione al territorio triestino del servizio radiotelevisivo, con l'esplicita previsione di trasmissione di notiziari e programmi in lingua slovena per mezzo della stazione triestina. (L'impegno é ripetuto nella legge di riforma 14 aprile 1975, n. 103, prevedendosi anzi la stipulazione di una apposita convenzione per trasmissioni televisive in lingua slovena). Un preciso riferimento a partiti o gruppi politici "espressi" dalla minoranza di lingua slovena del Friuli - Venezia Giulia é poi contenuto nell'art. 2, comma nono, della legge 24 gennaio 1979, n. 18, per l'elezione dei rappresentanti dell'Italia al Parlamento europeo. Né mancano specifici ordini del Governo Militare Alleato mai abrogati, provvedimenti del Commissariato generale del Governo italiano per il territorio di Trieste e recenti leggi regionali che valorizzano particolari aspetti della vita della minoranza slovena.

Questo complesso di atti ha un contenuto normativo che corrisponde, sia pure per parti, a quello che avrebbero potuto avere uno o più provvedimenti formalmente diretti a dare attuazione agli articoli dello Statuto speciale allegato al Memorandum d'intesa; anzi, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, tali misure "possono o ritenersi applicative del suddetto Memorandum" o adottate "proprio in relazione agli impegni" con esso assunti. Ma ciò che conta é che tali norme danno riconoscimento alla minoranza slovena o meglio qualificano la popolazione di lingua slovena nel territorio di Trieste come "minoranza riconosciuta", il che concretizza l'ulteriore operatività normativa dell'articolo 6 della Costituzione e dell'articolo 3 dello Statuto regionale, quanto meno per il territorio triestino. Se ormai si é in presenza, al di là di ogni dubbio, di una "minoranza riconosciuta", con tale situazione é incompatibile, prima ancora logicamente che giuridicamente, qualsiasi sanzione che colpisca l'uso della lingua materna da parte degli appartenenti alla minoranza stessa. É questa infatti l'operatività minima, che, in tema di trattamento delle minoranze linguistiche, deriva dal fatto ricognitivo di una singola minoranza. E ciò a prescindere dalla circostanza, che perde ogni rilievo, della conoscenza o meno della lingua ufficiale da parte dell'appartenente alla minoranza, sicché questi, ove lo volesse, potrebbe servirsi, "nell'uso pubblico", della lingua italiana: altrimenti nessun trattamento particolare riceverebbe sotto questo aspetto lo sloveno, pretendendosi da lui lo stesso comportamento richiesto a tutte le persone, cittadine e straniere, che sappiano esprimersi in lingua italiana (art. 137, secondo comma, cod. proc. pen.). Questa tutela "minima", anche nei rapporti con le locali autorità giurisdizionali, consente già ora agli appartenenti alla minoranza slovena di usare la lingua materna e di ricevere risposte dalle autorità in tale lingua: nelle comunicazioni verbali, direttamente o per il tramite di un interprete; nella corrispondenza, con il testo italiano accompagnato da traduzione in lingua slovena. Si può del resto ricordare l'applicazione fornita nel Friuli - Venezia Giulia alla legge 19 luglio 1967, n. 568, contenente norme sul conferimento dell'incarico di traduttore e di interprete presso gli uffici giudiziari.

Peraltro l'osservanza dei precetti dell'articolo 6 della Costituzione e dell'articolo 3 dello Statuto regionale - in relazione all'articolo 3 della Costituzione - non richiede affatto che alla minoranza slovena della Provincia di Trieste debba necessariamente applicarsi una normativa simile a quella adottata per il Trentino - Aldo Adige o per la Valle d'Aosta: restando rimesso al legislatore italiano, nella propria discrezionalità, di scegliere i modi e le forme della tutela da garantire alla minoranza linguistica slovena.

Circa il terzo comma dell'articolo 137 del codice di procedura penale si deve dunque concludere per la sua non applicabilità agli appartenenti alla minoranza slovena nel territorio di Trieste in quanto minoranza riconosciuta: sia che si voglia ravvisare in ciò un caso di esclusione della punibilità da esercizio del diritto (art. 51 cod. pen.), sia che si propenda per una delimitazione ex ante, nella sfera soggettiva, della operatività della norma penale.

Pertanto, così interpretata, la disposizione del terzo comma dell'articolo 137 del codice di procedura penale si sottrae alle proposte censure di costituzionalità.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata:

a) la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 137, primo comma, del codice di procedura penale, sollevata con l'ordinanza in epigrafe dal Tribunale di Trieste in riferimento agli articoli 3 e 6 della Costituzione e 3 dello Statuto speciale della Regione Friuli - Venezia Giulia;

b) nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 137, terzo comma, del codice di procedura penale, sollevata con l'ordinanza in epigrafe dello stesso Tribunale in riferimento agli articoli 3 e 6 della Costituzione e 3 dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 11 febbraio 1982.