Sentenza n.191 del 1981
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SENTENZA N. 191

ANNO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma terzo, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Violazione delle misure di sorveglianza speciale), promosso con ordinanza emessa il 24 febbraio 1975 dal pretore di San Cipriano Picentino, nel procedimento penale a carico di Costabile Orlando, iscritta al n. 204 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 181 del 1975.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 ottobre 1981 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

I carabinieri di Giffoni Vallepiana, avendo accertato che il sorvegliato speciale Orlando Costabile aveva violato la prescrizione di "non rincasare la sera più tardi delle ore 21", procedevano al suo arresto il 13 febbraio 1975, ai sensi dell'art. 9, terzo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423.

Dispone invero tale norma che:

"Il contravventore agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale è punito con l'arresto da tre mesi ad un anno.

Se l'inosservanza riguarda la sorveglianza speciale con l'obbligo o il divieto di soggiorno, si applica la pena dell'arresto da sei mesi a due anni. In ogni caso è consentito l'arresto anche fuori dei casi di flagranza (...)".

Il pretore di San Cipriano Picentino convalidava l'arresto con decreto del 15 febbraio 1975 ed ordinava che l'imputato fosse condotto, in stato di detenzione, all'udienza del 18 febbraio 1975 per giudicarlo col rito del giudizio direttissimo, ma in udienza rilevava che, non ricorrendo l'ipotesi della flagranza, mancavano i presupposti per la celebrazione del giudizio stesso. Perciò ordinava la trasmissione degli atti al suo ufficio, onde procedere con le forme ordinarie, e disponeva la "liberazione" dell'arrestato, "essendo egli imputato di reato per il quale la legge non consente il mandato di cattura". Quindi, con ordinanza 24 febbraio 1975, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, terzo comma, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in riferimento all'art. 13 della Costituzione.

Circa la non manifesta infondatezza della questione il giudice a quo assume che quest'ultima disposizione conferisce una riserva di potere alla A.G. in materia di provvedimenti limitativi della libertà personale e che pertanto il legislatore ordinario, allorché attribuisce eccezionalmente simile potere all'autorità di polizia, deve contemporaneamente assicurare all'A.G. il potere, in caso di convalida, di protrarre gli effetti del provvedimento.

Sennonché, nell'ipotesi prevista dall'art. 9, terzo comma, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, così come modificato dall'art. 8 legge 14 ottobre 1974, n. 497, non essendo possibile procedere al giudizio direttissimo, per difetto della flagranza, e non essendo consentito il mandato di cattura, data la natura contravvenzionale del reato, il giudice non potrebbe protrarre lo stato di detenzione, e fare quindi proprio il provvedimento provvisorio adottato dalla P.S., ma dovrebbe ordinare la liberazione dell'arrestato.

Di qui il dubbio che la norma denunziata contrasti, nei sensi sopra indicati, con l'art. 13, secondo comma, della Costituzione.

In ordine alla rilevanza, il giudice a quo osserva poi che la questione sollevata concerne un aspetto essenziale della controversia (quello relativo allo stato di detenzione dell'imputato) e che, in caso di accoglimento, dovrà dichiararsi l'illegittimità della detenzione preventiva sofferta dal Costabile nonostante l'intervenuta convalida dell'arresto.

L'ordinanza ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 9 luglio 1975, n. 181. In questa sede si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato con atto depositato l'11 giugno 1975, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o, comunque, non fondata.

I dubbi circa la rilevanza della questione sono ricollegati al fatto che essa è stata sollevata quando l'imputato era stato già scarcerato.

Nel merito, l'Avvocatura prende atto che secondo l'orientamento della Corte di cassazione l'arresto eseguito nella flagranza di un reato per il quale, data la pena editale, la legge non autorizza il mandato di cattura, legittima il protrarsi della custodia preventiva solo quando si proceda nelle forme del giudizio direttissimo e che ove, invece, si proceda secondo il rito ordinario debbono trovare applicazione le norme degli artt. 269 e 270 c.p.p. le quali impongono la immediata scarcerazione dell'imputato. Ma ritiene che una esatta interpretazione della norma impugnata porti ad escludere che con essa si sia voluto autorizzare l'autorità di pubblica sicurezza ad operare un arresto che, sia pure dopo la convalida, deve immediatamente essere posto nel nulla dall'autorità giudiziaria.

Per l'Avvocatura la denuncia contenuta nell'ordinanza di rinvio deriverebbe "dall'equivoco nel quale è incorso il giudice a quo quando ha ritenuto di dover ordinare la liberazione dell'imputato arrestato, in applicazione delle disposizioni del codice di rito relative alla liberazione dell'imputato senza considerare che proprio queste disposizioni erano state derogate dalla norma impugnata".

Conclude pertanto chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile perchè irrilevante o, in subordine, che la questione stessa sia dichiarata infondata.

Considerato in diritto

1. - Come esposto in narrativa, il giudice a quo ha sollevato questione di legittimità dell'art. 9, terzo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nel testo risultante dalle modifiche apportate con l'art. 8 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, assumendo che la disposizione ivi contenuta, secondo la quale è consentito l'arresto del contravventore agli obblighi relativi alla sorveglianza speciale anche fuori dei casi di flagranza, si porrebbe in contrasto con la riserva di giurisdizione in materia di provvedimenti concernenti la libertà personale posta dall'art. 13 Cost. in quanto non attribuirebbe all'autorità giudiziaria il potere di protrarre l'arresto stesso nel caso in cui, come nella specie, non sia possibile avvalersi del giudizio direttissimo per trascorsa flagranza e si debba quindi procedere alla liberazione dell'arrestato per un reato che, come quello ascritto al Costabile, non consenta il mandato di cattura.

2. - E da rilevare pregiudizialmente che il giudice a quo come risulta dalla stessa ordinanza di rinvio, in applicazione dei criteri testè esposti, con provvedimento del 18 febbraio 1975, cioè di data anteriore all'ordinanza stessa, aveva disposto la liberazione dell'arrestato ritenendo appunto che la sua detenzione non era consentita, in base alla natura contravvenzionale del reato ed alla inapplicabilità nella specie del rito direttissimo.

La evidente definitività del detto provvedimento di scarcerazione rende in ogni caso ininfluente la prospettata dichiarazione di illegittimità della norma impugnata ed è quindi palese l'irrilevanza della questione, la cui soluzione non potrebbe oramai spiegare alcun effetto nel giudizio principale.

3. - La motivazione pur formulata dal giudice a quo ai fini del giudizio di rilevanza di sua competenza, incentrata sulla illegittimità dell'arresto del Costabile che dovrebbe derivare dalla prospettata dichiarazione di illegittimità dell'articolo 9, terzo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, appare quindi del tutto incongrua ed insufficiente e, come tale, censurabile in questa sede.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità dell'art. 9, terzo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, modificato dall'art. 8 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, sollevata con ordinanza del pretore di San Cipriano Picentino del 24 febbraio 1975 in riferimento all'art. 13 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1981.

Leopoldo ELIA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1981.