Sentenza n.140 del 1981
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SENTENZA N. 140

ANNO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI, Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 e tabelle allegate nn. 4 e 5, e del d.P.R. 9 giugno 1975, n. 482 (malattie professionali), promossi con le ordinanze emesse il 13 ottobre 1975 dal Pretore di La Spezia, il 25 novembre 1977 dal Pretore di Bari, il 9 gennaio 1978 dal Pretore di Pistoia, il 15 giugno 1978 dal Pretore di Perugia, il 12 dicembre 1978 dal Pretore di Pistoia, il 28 giugno 1979 dal Pretore di Pisa, il 13 novembre 1979 dal Pretore di Macerata, il 14 novembre 1979 dal Pretore di Perugia, il 25 gennaio e il 18 dicembre 1979 dal Pretore di Venezia, il 28 novembre 1979 dal Tribunale di Parma e il 22 febbraio 1980 dal Tribunale di Torino, rispettivamente iscritte al n. 410 del registro ordinanze 1976, ai nn. 142, 269 e 498 del registro ordinanze 1978, ai nn. 201 e 687 del registro ordinanze 1979 ed ai nn. 30, 39, 87, 127, 153 e 287 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 del 1976, nn. 149 e 235 del 1978, nn. 17, 119 e 332 del 1979 e nn. 78, 85, 98, 124, 131 e 152 del 1980.

Visti gli atti di costituzione di Lori Giacomino, di Sirianni Antonio e dell'INAIL;

udito nell'udienza pubblica del 4 marzo 1981 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

uditi gli avvocati Salvatore Cabibbo, per Sirianni Antonio e Carlo Graziani, per l'INAIL.

Ritenuto in fatto

1. - Con dodici ordinanze, pronunciate nel corso di altrettanti procedimenti civili promossi contro l'INAIL da lavoratori, cui era stato negato in sede amministrativa il diritto alla rendita per malattie asseritamente contratte nell'esercizio delle rispettive lavorazioni, questa Corte è chiamata a riesaminare la questione della legittimità costituzionale dell'art. 3 del Testo Unico delle disposizioni per la assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, approvato con il d.P.R. n. 1124 del 1965, cioè del sistema tabellare adottato dal legislatore in ordine all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali.

Tale sistema, consistente nell'elencazione - in apposite tabelle, o liste, annesse al menzionato atto normativo - delle malattie da ritenersi professionali e delle relative lavorazioni patogene, ha stabilito la presunzione legge dell'eziologia professionale delle malattie, nel senso che il lavoratore acquista automaticamente il diritto alla rendita, se risultano previste nella tabella, sia la malattia, sia la lavorazione alla quale egli era addetto. Con sentenza n. 206 del 1974, questa Corte ha giudicato che il sistema in parola, risolvendosi in un vantaggio per i lavoratori, giacché li esonera dall'offrire la non agevole prova del nesso di causalità tra lavoro svolto e malattia contratta, è conforme a Costituzione. E tale giudizio ha sostanzialmente ribadito nelle ordinanze n. 88 del 1975 e n. 205 del 1975. La Corte ha riconosciuto, tuttavia, che alcune malattie professionali o alcune lavorazioni morbigene possono risultare non comprese nelle tabelle, con la conseguenza che in tali eventualità, stante la tassatività delle voci ivi indicate, ai lavoratori colpiti da malattie affini, o addirittura persino identiche, a quelle tabellate, o contratte in lavorazioni anch'esse affini o identiche a quelle tabellate, verrebbe a mancare la tutela assicurativa. E pertanto, con la menzionata sentenza ha segnalato al Governo ed al Parlamento l'urgenza, oltre che l'opportunità, di adottare il sistema misto, in maniera che sia consentito a tutti i lavoratori di provare la dipendenza dalla lavorazione anche delle malattie non previste nelle tabelle.

2. - La rievocata segnalazione e, meglio ancora, il suo mancato accoglimento da parte del legislatore offrono a tutti i giudici a quibus, non tanto lo spunto, quanto l'argomento fondamentale per riproporre la questione in epigrafe, già risolta da questa Corte con la menzionata sentenza n. 206 del 1974, pronunciata in riferimento, oltre che agli artt. 4 e 35, primo comma, della Costituzione, anche agli stessi principi e norme costituzionali, cui fanno richiamo le ordinanze in esame (artt. 3, primo comma, 38, primo e secondo comma della Costituzione, nonché, secondo il Pretore di Venezia, art. 24 della Costituzione), delle quali vengono qui riassunti i termini essenziali:

A) Tutte le ordinanze comprese nel presente capo denunziano l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 del d.P.R. n. 1124 del 1965, che alcune pongono esplicitamente in relazione alla voce n. 44 della tabella n. 4 annessa al d.P.R. n. 482 del 1975.

a) In particolare, i Pretori di Pistoia, nei due giudizi promossi, rispettivamente, da Miglianti Pietro per ipoacusia da rumori (n. 269 registro ordinanze 1978) e da Ignesti Giovanni per angiopatia da vibrazioni (n. 201 registro ordinanze 1979), di Macerata, nel giudizio promosso da Moriconi Alvise ed altri per ipoacusia da trauma acustico (n. 30 registro ordinanze 1980), ed il Tribunale di Parma, nel giudizio promosso da Lori Giacomino per sordità da rumori (n. 153 registro ordinanze 1980) fanno riferimento al solo art. 3 della Costituzione. Appare palesemente ingiusto - così, infatti, rilevano concordemente i predetti giudici a quibus - e viene perciò violato il principio d'eguaglianza, quando al lavoratore si nega il diritto alla rendita per un'arteriopatia, solo perchè le macchine cui era addetto, pur essendo vibranti, non costituiscono utensili ad aria compressa o ad asse flessibile, come stabilito in tabella, ovvero per una ipoacusia, anche permanente, bilaterale e superiore al minimo indennizzabile, benché la perizia tecnica d'ufficio abbia accertato che la rumorosità dell'ambiente è persino superiore ai livelli sonori accettabili.

In tutti questi casi la difesa dell'INAIL ha eccepito che il rischio non è tabellato e che la Corte ha riconosciuto legittimo il sistema tabellare.

b) Fanno, invece, riferimento anche all'art. 38, oltre che all'art. 3 della Costituzione, i Pretori di La Spezia, nel giudizio promosso da Bonatti Danilo per sordità da rumori (n. 410 registro ordinanze 1976), di Pisa, nel giudizio promosso da Regoli Egisto per ipoacusia da rumori (n. 637 registro ordinanze 1979), di Perugia, nel giudizio promosso da Fasi Armando per ipoacusia bilaterale da rumori (n. 39 registro ordinanze 1980). Per i suddetti giudici, il diniego della rendita per una ipoacusia, anche se grave ed accertata con consulenza tecnica, solo perchè il lavoratore era addetto ad un motore "diesel", anziché a scoppio ovvero ad una levigatrice, il cui livello di rumorosità è ignorato dalla tabella delle lavorazioni patogene, non contrasta esclusivamente con l'art. 3 della Costituzione, ma altresì con l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, che tutela tutti i lavoratori in caso di malattia.

c) A sua volta, il Pretore di Venezia, nei giudizi promossi, rispettivamente, da Celato Benito ed altri per sordità da rumori (n. 87 registro ordinanze 1980) e da Meneghel Marcello per analoga malattia (n. 127 registro ordinanze 1980), entrambe contratte in lavorazione ed in ambiente di intensa rumorosità, richiama pure l'art. 24 della Costituzione unitamente agli artt. 3 e 38 della Costituzione, sostenendo che il sistema tabellare rigido, poiché non ammette il lavoratore a provare il nesso tra malattia e lavorazione, con ciò nega la tutela giurisdizionale di un diritto soggettivo perfetto, qual è quello previsto dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione.

B) Dalle suddette ordinanze si distingue quella del Tribunale di Torino, nel giudizio promosso da Sirianni Antonio per angioneurosi originata da strumenti vibranti (n. 287 registro ordinanze 1980), solo perchè, pur riferendosi anch'essa agli artt. 3 e 38 della Costituzione, denunzia direttamente l'illegittimità costituzionale, oltre che del d.P.R. n. 1124 del 1965, anche dei d.P.R. n. 482 del 1975.

C) Vanno considerate a parte le due ordinanze dei Pretori di Bari e di Perugia per la singolarità delle loro prospettazioni e conclusioni.

a) Il Pretore di Bari, nel giudizio promosso da Vittore Domenico per una imprecisata inabilità permanente (n. 142 registro ordinanze 1978), dopo avere affermato che la mancata protezione di un'attività lavorativa non tabellata dà vita ad una condizione di particolare sfavore per il lavoratore, in quanto questi non è allora coperto dalla tutela garantitagli dall'art. 38 della Costituzione, rileva che tale disparità di trattamento non può essere eliminata con una revisione del sistema tabellare rigido, e che l'assicurazione sociale poggia sulla logica del profitto, la quale è propria dell'assicurazione di diritto privato. Prosegue osservando che, poiché l'allegato n. 4 del d.P.R. n. 1124 del 1965 è stato modificato con atto amministrativo ed in virtù dell'art. 3 dello stesso decreto, senza che siano stati fissati "limiti di tempo o principi dei criteri direttivi", risultano violati gli artt. 23, 38, 76 e 77 della Costituzione. E conclude testualmente con la formula "ritenuta pertanto la rilevanza della questione al fine della domanda", omettendo peraltro, non solo l'indicazione delle norme costituzionali di raffronto, ma anche un qualsiasi cenno a dimostrazione dell'asserita rilevanza.

b) Il Pretore di Perugia, infine, nel giudizio promosso da Proietti Luigi per malattia da vibrazioni con preminenti manifestazioni osteoarticolari e neurogene della mano bilateralmente (n. 498 registro ordinanze 1978), rileva preliminarmente che si tratta di lavoratore agricolo addetto al trattore e che la malattia contratta, ed accertata in sede giudiziaria, è prevista tra le malattie professionali nell'industria, ma non nell'agricoltura. Poiché, tuttavia, anche nell'industria, se è prevista la malattia, non è prevista la lavorazione, il giudice a quo ritiene che la mancata previsione di attività diverse da quelle elencate nella tabella relativa all'industria contrasta con gli artt. 3 e 38 della Costituzione e che, "se fosse esatto quanto precede, ciò non potrebbe non influire anche nel settore agricolo, ove la relativa tabella non tutela affatto tale tipo di malattia", in quanto risulterebbe allora che "malattie professionali identiche sarebbero tutelate, se contratte in una lavorazione industriale, e non lo sarebbero, se contratte in una lavorazione agricola". Conclude, infine, dichiarando "non manifestamente infondate l'eccezione di incostituzionalità, proposta dall'attore, dell'art. 3 del testo unico n. 1124 del 1965 e allegata tabella n. 4, come modificata dal d.P.R. n. 482 del 1975, e dell'art. 211 stesso testo unico", nonché sollevando d'ufficio "l'eccezione di incostituzionalità del d.P.R. n. 482 del 1975, nella parte in cui non estende la tutela alle malattie professionali contratte prima della sua entrata in vigore".

Considerato in diritto

1. - Tutte le ordinanze in esame denunziano l'illegittimità del sistema tabellare, e tutte - eccettuata solo quella del Tribunale di Torino (n. 287 registro ordinanze 1980), che peraltro solleva anch'essa la medesima questione - sollecitano espressamente questa Corte a rivedere la propria anteriore sentenza n. 206 del 1974. Conseguentemente, i relativi giudizi possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - I motivi a sostegno delle ordinanze, per lo più affini e talvolta identici, sono facilmente sintetizzabili. La disciplina delle tecnopatie professionali è confliggente con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, in quanto crea disparità di trattamento e non copre tutte le ipotesi di rischio professionale. Di conseguenza, dovrebbe ormai essere dichiarata costituzionalmente illegittima, se riesaminata alla luce della più volte menzionata sentenza n. 206 del 1974.

Non può, infatti, ritenersi pienamente riguardoso della Costituzione il mancato adeguamento, da parte del legislatore, del sistema ancora vigente ai canoni di costituzionalità tracciati da quella sentenza, la cui motivazione appare perciò interlocutoria: questo sostiene, in entrambe le sue ordinanze, il Pretore di Pistoia, che quello di Macerata ricalca pedissequamente. All'asserito carattere interlocutorio di quella motivazione si richiama pure il Pretore di Pisa, ed all'inadeguato ampliamento delle tabelle anche quello di Venezia nelle sue due ordinanze, mentre il Tribunale di Parma si limita ad affermare che, con la sospensione del giudizio de quo, viene dato modo alla Corte costituzionale - re melius perpensa - di pronunciarsi nuovamente sulla questione. Per proprio conto, il Pretore di Perugia, ma solo nella prima delle due ordinanze emesse in materia (n. 39 registro ordinanze 1980), lamenta che sono decorsi inutilmente cinque anni dalla sentenza di questa Corte, deducendone non potersi pertanto escludere che questa, riesaminando il problema in relazione al comportamento tenuto in concreto da Parlamento e Governo, maturi il convincimento dell'insufficienza della tutela contro il rischio delle malattie professionali. A sua volta, il Pretore di La Spezia rileva, in primo luogo, che manca una pronunzia sulle nuove tabelle - quelle, cioè, modificate col d.P.R.n. 482 del 1975 - e, in secondo luogo, che, poiché la segnalazione di questa Corte al potere politico potrebbe configurarsi come esercizio concreto di una funzione di controllo valutativo, la perseveranza del legislatore nella sua opzione per il sistema tabellare potrebbe considerarsi "non ragionevole". Per quanto riguarda, infine, il Tribunale di Torino, è dato leggere che l'aggiornamento delle tabelle attuato nel 1975 non reggerebbe, stante la sua inadeguatezza, alla verifica del tempo

3. - I motivi sopra riassunti sono lo sviluppo - e, talvolta, solo mere variazioni - di un unico argomento, al quale tutti si riconducono: il non accoglimento, da parte del potere politico, della motivata sollecitazione, ad esso rivolta da questa Corte nel 1974, ad adottare il sistema misto.

É chiaramente percepibile la concezione che sta al fondo dell'argomento, anche se forse non è altrettanto chiaramente percepito lo sbocco ultimo del suo eventuale accoglimento: ove, infatti, si volga lo sguardo oltre la fattispecie in esame, ci si avvede che non si chiede tanto - o non solo - la revisione della sentenza n. 206 del 1974, quanto - ed anche - una pronuncia consistente non già più esclusivamente nell'eliminazione di una norma espressa giudicata incostituzionale ovvero nell'esplicitazione di un principio inespresso, che risulti ispirato a Costituzione od a ragionevolezza, e comportante aggiustamenti limitati ad una situazione, ad un istituto, ad un settore, ma addirittura nel novare radicalmente - e, quindi, nel creare - un sistema normativo.

A parte ciò, anche dalle ordinanze più elaborate emerge una lettura non pienamente corretta della sentenza n. 206 del 1974.

Ed invero, è esatta - talvolta addirittura testuale - la riproduzione che nelle ordinanze in esame si rinviene di quella motivazione: effettivamente la Corte ha dichiarato che, con l'adozione del sistema misto, si conseguirebbe la certezza assoluta che nessun rischio professionale rimarrebbe scoperto, e che il sistema vigente può, nell'applicazione pratica, comportare in ipotesi disparità di trattamento; effettivamente ha segnalato l'opportunità e l'urgenza di introdurre anche nel nostro ordinamento il suddetto sistema misto, ricordando che in tal senso è la raccomandazione della CEE del 1963 e che nella Germania Federale tale riforma è stata da tempo attuata. Non è esatta, viceversa, la conseguenza che dovrebbe derivarne secondo i giudici a quibus, i quali mostrano di considerare come motivazione della sentenza quella parte di questa che è, al contrario, la motivazione del monito. Si tratta senza dubbio di un monito particolarmente energico, pressante e motivato, che non può dirsi, come sarà precisato in seguito, che non abbia prodotto alcun effetto, e cui comunque, anche se fosse davvero rimasto del tutto inascoltato, non potrebbe egualmente riconoscersi il valore di motivo nuovo a sostegno di una richiesta di riesame della precedente sentenza. La motivazione di questa consiste nel dire e ribadire, in apertura ed a conclusione della pronuncia, che la Corte non può sostituirsi al legislatore. Non può pertanto non rilevarsi, come del resto ha rilevato di volta in volta la difesa dell'istituto, che non risulta esposto alcun motivo che abbia il carattere della novità rispetto alla sollevata questione di legittimità costituzionale del sistema tabellare in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione.

4. - La scelta tra sistema esclusivamente tabellare e sistema misto è indubbiamente una scelta politica, che viene tuttavia operata, altrettanto indubbiamente, sulla base di dati ufficiali, forniti dalla medicina del lavoro, dalla statistica, da apposite indagini, dalla giurisprudenza, dall'economia, dal raffronto della nostra esperienza con quelle straniere, etc. É di piena evidenza che solo il potere politico dispone di tali dati e può pertanto adottare una scelta con piena cognizione di tutti gli elementi ed altresì con piena consapevolezza delle conseguenze che dalla sua ponderata opzione in uno o l'altro senso - in uno o in altro momento ovvero ancora in una o in altra misura -, ma pur sempre nell'interesse generale, possono riverberarsi su tutti i piani. Ed è ragionevole in proposito ritenere che alle tabelle sia stata conferita, mediante le profonde modifiche ed integrazioni di cui sono state fatte oggetto dal d.P.R. n. 482 del 1975, un'innegabile e consistente portata innovativa, proprio in seguito alla combinata valutazione dei valori costituzionali di cui agli artt. 3 e 38 della Costituzione, e di tutti gli elementi, delle conseguenze su ogni piano e, quindi, dell'interesse generale.

Nelle nuove tabelle, infatti, sono riscontrabili, non solo un notevole aumento del numero delle malattie tabellate (nell'industria, da 40 a 49, nell'agricoltura, da 7 a 21) e delle lavorazioni morbigene (nell'ipoacusia e sordità da rumori, per esempio, da 8 a 22), bensì anche formulazioni particolarmente generiche delle voci e sottovoci di queste ultime.

Tali variazioni proprio per questo risultano significanti: considerate nel loro insieme, infatti, sono rivelatrici di una linea di tendenza di più accentuato favore nei riguardi dei lavoratori e, quindi, della potenzialità di soddisfare i principi di cui agli artt. 3 e 38 della Costituzione, che con esse ha acquistato, sia pur sempre nell'ambito del sistema tabellare, il contesto normativo. Ne offre conferma lo stesso istituto assicuratore, quando nella sua memoria del 5 febbraio 1981 scrive testualmente che il legislatore si è ormai "orientato verso una formulazione relativamente lata, sostituendo nella colonna delle lavorazioni, all'elenco di queste, una formula generica e che va ritenuta comprensiva di tutti indistintamente i processi lavorativi nei quali il rischio considerato può esistere normalmente o manifestarsi in determinate contingenze".

5. - Certo, l'elencazione puntuale delle lavorazioni è rimasta per alcune voci (3 su 49 nell'industria), tra cui l'ipoacusia e sordità da rumori, che è la malattia più frequentemente denunziata, ma non per questo sarebbe possibile negare l'acquisito carattere dinamico del sistema tabellare, conseguente alla flessibilità, che ad esso sembra essere derivata dalle numerose e profonde innovazioni apportategli. Lo riconosce persino l'istituto assicuratore, quando nella già ricordata sua memoria difensiva alle nuove formulazioni attribuisce il valore di "criterio d'ordine generale", rispetto a cui la ridotta e residuata elencazione tassativa delle lavorazioni viene configurata espressamente come una deroga, e quando in ordine al rischio ambientale richiama l'attenzione sul graduale ampliamento della tutela operato dall'interpretazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione con le sentenze n. 3288 del 1972 e n. 5082 del 1980. É un risultato, questo, che svuota di consistenza l'affermazione, secondo cui la sentenza ammonitrice di questa Corte sarebbe rimasta del tutto inascoltata, e che perciò non consente, proprio nel momento in cui il sistema censurato mostra di non possedere più la stessa rigidità originaria, di raccogliere l'invito a pervenire ad una declaratoria di illegittimità costituzionale del sistema tabellare in oggetto sulla base delle considerazioni, non più assolutamente insuperabili, che esso sarebbe fonte di disparità di trattamento per categorie di lavoratori addetti ad attività non tabellate nei confronti delle categorie di addetti ad attività tabellate, cioè tra situazioni sostanzialmente analoghe, o anche identiche, e limiterebbe la copertura del rischio professionale solo ad alcune lavorazioni.

Sennonché, proprio il mantenimento della puntuale elencazione di alcune attività lavorative viene assunto come elemento di comparazione per dedurne la diseguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione rispetto alle lavorazioni formulate genericamente. E agevole osservare in contrario che il mantenimento dell'elenco delle lavorazioni è tanto limitato e, correlativamente, tanto poco limitativo nei riguardi del nuovo e più duttile sistema, da non potersi pensare che sia oggettivamente privo di giustificazioni tecniche, prima ancora che politiche.

Alla suesposta considerazione relativa precipuamente all'art. 3 della Costituzione sembra utile aggiungerne da ultimo una relativa precipuamente all'art. 38 della Costituzione. Se si considera che, a ben guardare, le censure dedotte nelle ordinanze in esame sono rivolte, per quanto riguarda il settore dell'industria, tutte alle tabelle delle lavorazioni, non già delle malattie, non è priva di rilievo la constatazione che tali ultime tabelle, almeno a giudicare dalle vicende che hanno originato le ordinanze in esame, sembrano non offrire motivo a doglianze di carente previsione di malattie riconoscibili come professionali. É alla stregua di questo dato e della connessa espansività acquisita dal sistema tabellare mediante le nuove e più late formulazioni delle attività lavorative, che dev'essere valutata la asserita difformità dello stesso sistema dal principio della copertura del rischio professionale.

A tutte le considerazioni che precedono non può non conseguire la dichiarazione di infondatezza della questione sollevata.

6. - La questione è egualmente infondata anche sotto il profilo denunziato nelle sue due ordinanze dal Pretore di Venezia, secondo il quale il sistema tabellare violerebbe pure l'art. 24, prima parte, in cui la Costituzione proclama che "tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi". La riportata norma, infatti, essendo volta a tutelare il diritto processuale d'azione, non può dirsi invocata a giusta ragione nei casi in cui difetti positivamente la titolarità del diritto sostantivo che si vorrebbe far valere in giudizio. E poiché la doglianza della non azionabilità dell'assento diritto è intesa a rafforzare la censura di illegittimità costituzionale del sistema tabellare, basta al riguardo ricordare quanto si è più sopra detto sulla legittimità costituzionale della scelta di tale sistema.

7. - Per quanto riguarda l'ordinanza emessa dal Tribunale di Torino, la questione sollevata si discosta dalle altre sinora esaminate, solo perchè l'ordinanza, come si è già detto, denunzia l'illegittimità costituzionale, oltre che del d.P.R. n. 1124 del 1965 - per cui la relativa questione è infondata al pari delle altre -, anche del d.P.R. n. 482 del 1975. Ma quest'ultimo provvedimento non è atto avente forza di legge, come questa Corte ha avuto occasione di statuire con la sentenza n. 127 del 1981, e pertanto la questione sollevata è inammissibile sotto tale profilo.

8. - Devono essere dichiarate inammissibili anche le questioni sollevate dal Pretore di Bari e da quello di Perugia nella seconda delle ordinanze da lui emesse (n. 498 registro ordinanze 1978).

Nell'ordinanza emessa dal Pretore di Bari è fatto un fugace accenno alla disparità di trattamento, ma non all'art. 3 della Costituzione; sono invocati gli artt. 23, 38, 76 e 77 della Costituzione (con evidente riproduzione dell'ordinanza del Tribunale di Bolzano, su cui questa Corte si è pronunciata con la sentenza n. 127 del 1981), ma incidentalmente; non è dato poi cogliere la distinzione tra motivazione e dispositivo. A parte ciò, non risulta spesa alcuna parola sulla rilevanza.

Il Pretore di Perugia, a sua volta, solleva due distinte questioni di legittimità costituzionale. Per un verso, denunzia d'ufficio l'incostituzionalità dell'asserita irretroattività del d.P.R. n. 482 del 1975; per altro verso, denunzia la incostituzionalità, eccepita dall'attore, dell'art. 3 del d.P.R. n. 1124 del 1965, cioè della tabella n. 4, come modificata dal d.P.R. n. 482 del 1975, nonché dell'art. 211 stesso decreto, che riguarda le malattie professionali in agricoltura. Sennonché, un problema di retroattività o irretroattività è del tutto ignorato nella motivazione ed affiora solo nel dispositivo. E, per quanto riguarda la denunzia del d.P.R. n. 482 del 1975, cioè di un atto privo di forza di legge, si fa anche qui, come già per l'ordinanza del Tribunale di Torino, rinvio alla sentenza n. 127 del 1981 di questa Corte.

Inoltre, non sembra che possa ritenersi giuridicamente accettabile l'operazione logica, consistente nel denunziare strumentalmente l'asserita illegittimità costituzionale della tabella per l'industria allo scopo di applicare poi al settore agricolo l'eventuale pronunzia additiva di questa Corte, dalla quale allora si farebbe derivare la disparità di trattamento di questo settore rispetto all'industria.

Non occorre dilungarsi ulteriormente a motivazione della inammissibilità anche delle questioni sollevate con quest'ultima ordinanza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del Testo Unico approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Parma e dai Pretori di Pistoia e Macerata con le rispettive ordinanze in epigrafe;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del Testo Unico approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dai Pretori di La Spezia, Pisa e Perugia e dal Tribunale di Torino, con le rispettive ordinanze in epigrafe;

c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del Testo Unico approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (ed allegata tabella n. 4), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 38 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Venezia con le ordinanze in epigrafe;

d) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 9 giugno 1975, n. 482, recante modifiche ed integrazioni alle tabelle delle malattie professionali nell'industria e nell'agricoltura (allegati nn. 4 e 5 al Testo Unico approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Torino e dal Pretore di Perugia con le ordinanze in epigrafe;

e) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del Testo Unico approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, sollevata, in riferimento agli artt. 23, 38, 76 e 77 della Costituzione, dal Pretore di Bari con l'ordinanza in epigrafe;

f) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 211 del Testo Unico approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 e delle allegate tabelle nn. 4 e 5 (come modificate col d.P.R. n. 482 del 1975), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Perugia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 giugno 1981.

Leonetto AMADEI – Giulio  GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 21 luglio 1981.