Sentenza n.125 del 1981
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SENTENZA N. 125

ANNO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI, Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 74 e 136 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa l'11 marzo 1975 dal Tribunale di Reggio Emilia nel procedimento civile vertente tra l'INAIL e Ramati Sergio, iscritta al n. 135 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 159 del 1975.

Visti gli atti di costituzione di Ramati Sergio e dell'INAIL;

udito nell'udienza pubblica del 21 gennaio 1981 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

uditi l'avv. Franco Agostini, per Ramati Sergio e l'avv. Carlo Graziani, per l'INAIL

Ritenuto in fatto

L'11 novembre 1972 il muratore Ramati Sergio denunciava all'INAIL di Reggio Emilia di essere affetto da una malattia professionale - eczema da cemento - e chiedeva pertanto la protezione assicurativa. L'Istituto rigettava l'istanza, sostenendo che i disturbi lamentati non dipendevano dalla suddetta malattia; ed esito sfavorevole aveva altresì il gravame in sede amministrativa.

Il Ramati proponeva allora, il 1 novembre 1974, ricorso al Pretore di Reggio Emilia in funzione di giudice del lavoro, il quale, con sentenza del 12-22 novembre 1974, condannava l'INAIL a corrispondere al medesimo le prestazioni assicurative, affermando che la predetta malattia professionale comportava un'inabilità permanente indennizzabile. Ciò in base all'assunto per cui questa - pur dovendo essere valutata in relazione all'attitudine al lavoro in genere - poteva in concreto essere riferita a quello specifico abitualmente espletato, qualora l'applicazione ad altro lavoro fosse tale da comportare una grave dequalificazione sia sotto il profilo professionale che sotto quello del reddito.

Proposta impugnazione dall'INAIL, il Tribunale di Reggio Emilia, aderendo all'eccezione dell'appellato, con ordinanza dell'11 marzo 1975, sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 74 e 136 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), assumendone il Contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 35, 36 e 38 della Costituzione.

Va premesso che l'art. 136 cit. stabilisce che, se il grado di inabilità permanente conseguente a malattia professionale può essere ridotto con l'abbandono, definitivo o temporaneo, della specie di lavorazione in cui questa fu contratta, qualora il lavoratore non intenda cessare dalla lavorazione si fa luogo ad una riduzione di grado Corrispondente della rendita prevista. Ad avviso del Tribunale, tale norma imponendo l'abbandono del lavoro abituale e l'impiego in altra attività per la quale è professionalmente impreparato, priva il lavoratore della giusta retribuzione e dell'occasione di esprimere adeguatamente le capacità personali, senza che la diminuzione della retribuzione conseguente all'impreparazione professionale sia compensata dalla rendita percepita, non essendo l'importo di questa ragguagliato a tale riduzione.

Secondo il giudice a quo, ciò comporta violazione: a) dell'art. 3 Cost., menomandosi in tal modo la dignità del cittadino ed il diritto ad un pieno sviluppo della persona umana; b) dell'art. 38 Cost., in quanto garantisce ai lavoratori la tutela previdenziale "senza limitazione alcuna"; c) dell'art. 36 Cost. perchè la costrizione ad una diversa attività comportante una minor retribuzione lede il diritto a che questa sia proporzionata alla qualità del lavoro. Inoltre - riconoscendo il testo unico solo per la silicosi e l'asbestosi (art. 150), e non per malattie professionali di diversa natura, il diritto ad una "rendita di passaggio" finalizzata a consentire la riqualificazione professionale e quindi la rioccupazione senza qualifica e salario inferiori - vi sarebbe nella specie violazione del principio di eguaglianza, per l'irrazionalità di tale trattamento differenziato, nonché dell'art. 35 Cost., comportando la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni la garanzia del "mantenimento di un lavoro adeguato alle proprie capacità ed attitudini". "Di riflesso" risulterebbe in contrasto con i citati principi costituzionali - ad avviso del Tribunale - l'art. 74. testo unico "in quanto questo prevede un diritto all'indennizzo per malattia professionale soltanto per una riduzione generica della capacità lavorativa, prescindendo all'incidenza dell'affezione sulla concreta attività dell'assicurato".

Alle tesi del Tribunale aderiva il Ramati - costituitosi a mezzo dell'avv. Franco Agostini - sostenendo in particolare che l'art. 74 testo unico potrebbe risultare immune da censura solo se il concetto di "attitudine ai lavoro" ivi adottato venisse interpretato come capacità "specifica" e non meramente "generica" di lavoro, sì da commisurare la percentuale di invalidità permanente non a tutte le possibilità di lavoro in astratto, ma a quelle effettivamente possibili per il lavoratore infortunato o malato, tenendo conto in concreto della sua qualificazione professionale, dell'età, delle attitudini ecc. Tale auspicata interpretazione, peraltro, non farebbe cadere la questione di costituzionalità dell'art. 136 testo unico, apparendo in contrasto con i principi sopra richiamati sia la stessa imposizione di un'alternativa tra l'abbandono della lavorazione e la perdita di una parte della pensione, sia il fatto che questa non è comunque mai commisurata alla riduzione della capacità di lavoro specifica.

L'INAIL, costituitosi a mezzo degli avvocati Vincenzo Cataldi e Carlo Graziani, rilevava invece che il vigente sistema assicurativo - al fine di un armonico contemperamento dei principi costituzionali volti ad una compiuta tutela del lavoratore vittima di infortunio o malattia professionale - prevede, tra l'altro, norme che impongono sia all'istituto assicuratore che all'infortunato di far ricorso ai mezzi più idonei ed utili alla restaurazione della capacità lavorativa (artt. 86 segg. testo unico); norme che - sottolineava l'Istituto - costituiscono attuazione del principio costituzionale di tutela della salute, configurato dall'art. 32 Cost. non solo come diritto dell'individuo, ma anche come interesse della collettività. Qualora per effetto degli interventi riabilitativi ivi previsti si riduca l'entità del danno, il sistema prevede che si faccia luogo - attraverso l'istituto della revisione della rendita (art. 83 testo unico) fondato anche su principi di carattere generale - ad una corrispondente riduzione dell'indennizzo. Ma se lo stesso obiettivo (restaurazione della capacità lavorativa) può essere conseguito "attraverso mezzi più semplici e meno gravosi per il lavoratore che non il doversi esso sottoporre a speciali trattamenti sanitari" - ed in particolare attraverso l'abbandono della lavorazione nociva di cui all'articolo 136 testo unico - ciò sarà certamente preferibile. Né la contrazione dell'indennizzo ivi prevista per il caso di rifiuto del lavoratore ad abbandonare l'attività svolta viola - ad avviso dell'INAIL - il principio di corrispondenza tra danno e risarcimento. Questo risulta infatti limitato proprio dal fatto del continuare il lavoratore ad espletare le precedenti mansioni ed a percepire quindi il solito guadagno; mentre, ove egli si induca ad abbandonare il lavoro specifico, la percezione della rendita integrale varrà a compensarlo dell'eventuale minor guadagno conseguito con la rioccupazione in attività diversa. D'altra parte - rileva l'Istituto - l'art. 136 corrisponde, per le malattie professionali, a quanto disposto per gli infortuni dall'art. 87, quarto comma, testo unico, che prevede una riduzione della rendita in caso di rifiuto ingiustificato dell'infortunato a sottoporsi alle cure. Non potendosi, in entrambi i casi, disporre coattivamente le misure idonee al recupero della capacità lavorativa (rispettivamente, cure e distacco dall'agente morbigeno) la riduzione dell'indennizzo corrisponderebbe "all'esigenza ineluttabile che per un comportamento volontario dell'assicurato, che incide negativamente sulle possibilità di diminuzione del danno, non si alteri a tutto vantaggio del soggetto inadempiente - la esposta correlatività dei risarcimento; per cui quella riduzione costituisce la conseguenza del mancato adempimento, da parte dell'assicurato dell'onere (o obbligo?) posto dalla legge a suo carico".

In tale prospettiva, esulano, ad avviso dell'INAIL, dalla problematica dell'art. 136 testo unico le considerazioni fatte nell'ordinanza di rimessione circa la rilevanza che in proposito avrebbe il principio (enunciato dall'art. 74 testo unico e ormai consolidato in dottrina e giurisprudenza) della riduzione della capacità lavorativa generica e non di quella specifica. Sovvertendo tale principio, "potrebbe incorrersi in una violazione in senso inverso del precetto costituzionale che garantisce l'uguaglianza dei cittadini". Se infatti l'indennizzo dovesse essere commisurato alla diminuita capacità specifica del soggetto, questi verrebbe ad aggiungere, a quanto percepito a titolo di rendita per il mancato guadagno connesso alla sua particolare attitudine lavorativa, altra od altre remunerazioni connesse ad eventuali diverse attività; con vantaggio quindi nei confronti di chi, continuando ad esplicare l'attività specifica corrispondente alla propria preparazione professionale, non può dedicarsi ad altre.

Parimenti infondate sono infine, ad avviso dell'INAIL, le argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione attraverso il richiamo dell'istituto della "rendita di passaggio" (art. 150 testo unico) corrisposta - peraltro solo per un anno - come incentivo al lavoratore affetto da silicosi ed asbestosi affinché abbandoni l'attività morbigena e si dedichi ad altra non morbigena. Trattasi infatti di norma eccezionale introdotta in quanto tali gravissime tecnopatie sono allo stato insensibili ai più disparati trattamenti sanitari, sicché un'efficace opera di profilassi e prevenzione - idonea peraltro solo a stabilizzare le condizioni dell'individuo e non a restaurarne la capacità lavorativa - può in pratica conseguirsi solo con l'abbandono della lavorazione, non essendo sempre tecnicamente realizzabile "l'allontanamento della polvere dall'operaio".

Per tutte le altre malattie professionali, invece l'abbandono del lavoro è solo uno dei mezzi - ed anzi, quello meno gravoso - per la restaurazione della capacità lavorativa; ed ove esso "non si verifichi, soccorreranno ugualmente gli altri mezzi che la legge prescrive, e cioè quelli di natura meramente curativa".

Entrambe le parti costituite insistevano nelle rispettive deduzioni con memorie aggiunte.

Considerato in diritto

1. - Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 136 e "di riflesso" dell'art. 74 del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, prospettandone il contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 35, 36 e 38 Cost., nonché, in relazione all'art. 150 del testo unico medesimo, con l'art. 3, primo comma, Cost.; censura quest'ultima da ritenersi riferita al solo art. 136 del testo unico e che, comunque, non e riprodotta nel dispositivo.

2. - Le questioni sono, entrambe, inammissibili, per difetto assoluto di motivazione sulla rilevanza.

Invero, il Tribunale di Reggio Emilia non spende una sola parola ché possa suonare ottemperanza al disposto del secondo comma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

In particolare, per quanto concerne il denunziato art. 136 del testo unico, non è dato in alcun modo desumere come il giudice a quo possa considerarsi tenuto a farne applicazione per la definizione di un giudizio, nel quale non si rinviene alcun provvedimento adottato dall'Istituto assicuratore ai sensi del medesimo art. 136.

In relazione, poi, alle censure mosse all'art. 74 dello stesso testo unico, nulla il Tribunale dice né sulla rilevanza della questione né sulla non manifesta infondatezza di essa. Risulta, perciò incerta, quale interpretazione della norma denunziata sia stata presupposta dal giudice a quo e appare per lo meno aleatoria la comprensione dei motivi per cui i profili di illegittimità costituzionale svolti a proposito dell'art. 136 si "riflettono" anche sull'art. 74 del medesimo testo legislativo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 74 e 136 del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, sollevate con riferimento agli artt. 3, secondo comma, 35, 36 e 38 Cost. dal Tribunale di Reggio Emilia con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1981.

Leonetto AMADEI – Giulio  GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 7 luglio 1981.