Sentenza n.34 del 1981
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SENTENZA N.34

ANNO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI, Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il migliora mento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti) e dell'art. 23 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale) e degli stessi articoli in combinato disposto; dell'art. l, comma secondo, della legge 12 agosto 1962, n. 1339 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione corrisposti dalla Gestione speciale per l'assicurazione obbligatoria, vecchiaia e superstiti degli artigiani e loro familiari) e dell'art. 10 della legge 4 aprile 1952, n. 218 (Riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti) nel testo modificato dagli artt. 2, comma secondo, e 8 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, giudizi promossi con ordinanze emesse dal Pretore di Mantova l'11 maggio 1976, di Parma il 17 febbraio 1977, di Milano il 27 aprile 1977, dal Tribunale di Como il 16 dicembre 1977, dal Pretore di Genova il 23 marzo 1978, di Pistoia il 23 settembre 1978, di Brindisi il 29 giugno 1978, di Parma il 14 novembre 1978 (n. tre ordinanze), di Arezzo il 9 gennaio 1979, di Genova il 21 novembre 1978, di Piacenza il 9 gennaio 1979, di Rovigo il 13 marzo 1979, di Trani il 29 marzo 1979, di Brescia il 9 marzo e il 10 aprile 1979, di Ancona il 6 aprile 1979, di Prato il 27 aprile 1979, di Vercelli il 30 maggio 1979, di Trieste il 6 luglio 1979, di Lanciano il 19 luglio l979, di Pisa il 15 febbraio 1979, di Brescia il 30 maggio 1979 e di Latina il 29 giugno 1979, rispettivamente iscritte al n. 508 del registro ordinanze 1976, ai nn. 172 e 442 del registro ordinanze 1977, ai nn. 98, 313, 595 e 634 del registro ordinanze 1978 ed ai nn. 44, 45, 46, 88, 211, 340, 376, 435, 453, 470, 483, 521, 624, 645, 648, 688, 703 e 759 del registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 246 del 1976, nn. 148 e 313 del 1977, nn. 115 e 271 del 1978 e nn. 38, 52, 87, 95, 126, 175, 189, 203, 210, 237, 244, 310, 325, 318, 338 e 345 del 1979;

visti gli atti di costituzione di Sala Emilio, Ciaburri Mario, Mogliazzi Elisa ed altra, Roncati Giulio, Conforti Francesco, Cini Amelio, Barbo Bruno e dell'Istituto Nazionale della previdenza sociale;

udito nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1980 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci.

Considerato in diritto

1. - Attesa l'identità di talune questioni prospettate e l'analogia di altre, i relativi giudizi possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - La Corte costituzionale è chiamata in primo luogo a decidere se contrasti o meno con gli artt. 3 e 38 della Costituzione il combinato disposto degli artt. 2, secondo comma, lettera a) della Legge n. 1338 del 12 agosto 1962 e 23 della Legge n. 153 del 1969, nella parte in cui esclude l'integrazione al minimo della pensione diretta di vecchiaia a carico dell'INPS a favore dei titolari di pensione diretta dello Stato, dell'Istituto post-telegrafonici, o della C.P.D.E.L., qualora per effetto del cumulo delle due pensioni venga superato il trattamento minimo garantito.

Si dubita della costituzionalità delle norme impugnate, e in particolare dell'art. 2, secondo comma, lettera a) della Legge n. 1338 del 1962, sotto un duplice profilo: 1) in quanto la predetta esclusione verrebbe a realizzare un'ingiustificata disparità di trattamento in raffronto ai titolari di pensione di riversibilità - cui è sempre riconosciuto il suddetto diritto di integrazione al minimo - e ai titolari di pensione diretta dello Stato cui spetta tale integrazione in ordine alla pensione di invalidità INPS; 2) in quanto il divieto di integrazione dei minimi di pensione contrasterebbe con il principio dell'adeguatezza dei mezzi di sostentamento (articolo 38 Cost.).

3. - Sul primo punto i giudici a quibus, pur riconoscendo la discrezionalità del legislatore nell'adeguare i trattamenti pensionistici alle esigenze di vita dei lavoratori, ne assumono la sindacabilità costituzionale ove realizzino discriminazioni irrazionali. Non vi è - secondo l'ordinanza n. 508/76 - < una sostanziale differenza qualitativa tra la pensione diretta e quella indiretta, poiché la causa giuridica, diretta e riflessa, di entrambe va sempre individuata nello stipendio, nel servizio prestato dal dipendente, nel rapporto di lavoro >. La stessa Corte costituzionale ha riconosciuto, nella citata sentenza n. 230 del 1974, l'irrilevanza di tale diversità. Così come non vi è una sostanziale differenza qualitativa - si legge in altre ordinanze - tra la pensione diretta di invalidità e quella diretta di vecchiaia, erogate entrambe dall'INPS, tale da giustificare l'integrazione al minimo della prima e non della seconda. É ben vero - argomentano i giudici a quibus - che la ratio dell'integrazione è di assicurare a chi non abbia altre risorse un trattamento pensionistico commisurato dal legislatore ai valori minimi ritenuti indispensabili per garantire il soddisfacimento delle esigenze primarie di vita, ma tale ratio risulta superata dalle eccezioni introdotte dall'art. 23 della legge n. 153 del 1969 e dalle citate sentenze della Corte costituzionale n. 230 del 1974 e n. 263 del 1976. E non si vede perchè alla ratio originaria dovrebbe farsi richiamo in alcuni casi, che rimarrebbero ancora soggetti al divieto, mentre in altre ipotesi ciò non avverrebbe.

4. - La questione, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, è fondata e merita accoglimento.

Invero nel sistema originario delle norme che regolavano l'integrazione al minimo delle pensioni gestite dall'INPS, l'articolo 2, secondo comma, lett. a) della legge 1338 del 1962 prevedeva il diritto all'integrazione al minimo della pensione di retta erogata dall'INPS, in caso di cumulo con altra pensione, solo qualora l'importo complessivo delle pensioni cumulate fosse inferiore al minimo garantito.

Successivamente però l'art. 23 della legge 153 del 1969, in deroga alla norma predetta consentì la integrazione al minimo delle pensioni dirette INPS in caso di cumulo con pensioni di riversibilità erogate dallo stesso INPS. A seguito poi della sentenza della Corte costituzionale n. 230 del 9 luglio 1974 e della Legge n. 114 del 16 aprile 1974, l'integrazione delle pensioni dirette dell'INPS veniva consentita in caso di cumulo con qualsiasi pensione di riversibilità, quale che fosse l'ente erogatore.

La successiva sentenza di questa Corte n. 263 del 1976 rendeva possibile anche l'integrazione al minimo delle pensioni dirette d'invalidità a carico dell'INPS nell'ipotesi di cumulo con pensioni dirette dello Stato.

La normativa in vigore, pertanto, determina effettivamente il denunciato trattamento di sfavore per i titolari di pensione diretta dello Stato, dell'Istituto post-telegrafonici e degli enti locali, cui è negata l'integrazione al minimo della pensione di vecchiaia a carico dell'INPS (qualora il cumulo delle due pensioni superi il minimo garantito) quando invece ai titolari di pensioni di riversibilità, da qualunque ente erogate, è sempre riconosciuto il predetto diretto all'integrazione, così come tale diritto è riconosciuto ai titolari di pensioni dirette dello Stato, ai quali spetta l'integrazione della pensione di invalidità INPS.

Ritiene la Corte che le prospettate disparità di trattamento non trovino alcun razionale fondamento.

In effetti, di fronte all'identità del rapporto che tutti gli aspiranti all'integrazione al minimo hanno con l'INPS , erogatore della pensione minima, non si giustifica la discriminazione del diritto all'integrazione sulla base di differenze relative alla seconda pensione cumulabile, di cui gli aspiranti sono titolari, quando tali differenze non comportino una diversità sostanziale di condizioni economiche e sociali.

Nella specie, sotto un primo profilo, una minore tutela del titolare di pensioni dirette rispetto ai titolari di pensioni di riversibilità non trova rispondenza in sostanziali differenze di condizioni economiche e sociali tra le due categorie di titolari, caratterizzate entrambe dal fatto che il trattamento loro dovuto è comunque corrispettivo, differito nel tempo, di una prolungata prestazione lavorativa svolta durante il cessato rapporto di lavoro.

Sotto l'altro profilo, altrettanto ingiustificata è la maggior tutela accordata ai titolari di pensione diretta dello Stato, che chiedano all'INPS la integrazione della pensione di invalidità, rispetto ai titolari della stessa pensione diretta (dello Stato, dell'Istituto post-telegrafonici e di enti locali) che chiedano al medesimo istituto l'integrazione della pensione di vecchiaia, attesa l'identica natura e funzione delle due pensioni dirette erogate dallo stesso INPS. Infatti sia il trattamento per invalidità sia quello per vecchiaia discendono dallo stesso presupposto: la diminuita capacità di guadagno per infermità o per età, che rende il soggetto meritevole di uguale protezione.

Osserva inoltre la Corte che in più occasioni il legislatore ha mostrato di voler salvaguardare la funzione eminentemente sociale e solidaristica della pensione minima INPS, indipendentemente dal percepimento di altri redditi di lavoro da parte del titolare;

come nella normativa che consente, limitatamente alla quota corrispondente al trattamento minimo, il cumulo delle pensioni di vecchiaia e invalidità con la retribuzione percepita dai lavoratori dipendenti (artt. 20 legge n. 153 del 1969 e 10 legge n. 160 del 1975); norma questa che ha superato il vaglio della Corte costituzionale (sentenza n. 30/1976) e che realizza l'intervento solidaristico in ipotesi nelle quali i bisogni vitali del lavoratore sono certamente già soddisfatti assai più che nel caso in esame di cumulo di pensione diretta di vecchiaia INPS con altra pensione diretta; o in quella contenuta nel decreto P.R.29 dicembre 1973, n.1032, che all'art. 11 consente il cumulo della pensione sociale - che ha funzione analoga al trattamento minimo - con gli assegni vitalizi, come viene ricordato nelle citate sentenze della Corte costituzionale n. 230/1974 e n. 263/1976; o infine nella disciplina riguardante le pensioni al clero secolare e agli altri ministri di culto, che, in ipotesi del tutto identiche a quelle che formano oggetto dell'attuale questione di costituzionalità, garantisce il trattamento minimo della pensione diretta INPS in caso di cumulo con pensioni dirette a carico dello speciale Fondo di previdenza per i ministri di culto (art. 18 legge 22 dicembre 1973, n. 903).

C'è inoltre da osservare che ai pensionati dello Stato devono essere equiparati, ai fini dell'esame della questione così sollevata, i pensionati della C.P.D.E.L., e dell'Istituto post telegrafonici non essendovi motivi razionali per discriminare le tre situazioni.

Da quanto precede emerge chiaramente che la norma effettivamente impugnata è soltanto l'art. 2, secondo comma, lett. a) della legge 1338 del 1962 - come correttamente è stato indicato nella maggior parte delle ordinanze - e non anche l'art. 23 della legge n. 153 del 1969, che appare come semplice elemento di raffronto. E pertanto alla prima norma (art. 2, secondo comma, lettera a) della legge 1338 del 1962) che deve essere limitata la dichiarazione di illegittimità costituzionale.

L'accoglimento della censura relativa alla violazione dell'art. 3 della Costituzione rende superfluo l'esame dell'ulteriore censura relativa all'art. 38 della Costituzione, che rimane pertanto assorbita.

5. - Con la seconda questione proposta alla Corte si pone il dubbio se contrasti con gli artt. 3 e 38 della Costituzione il citato art. 2, secondo comma, lett. a) della legge n. 1338 del 1962, nella parte in cui esclude l'integrazione al minimo della pensione diretta di invalidità a carico dell'INPS. ai titolari di pensioni dirette della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali (C.P.D.E.L.), qualora per effetto del cumulo l'importo delle due pensioni superi il trattamento minimo.

La questione è fondata. La norma impugnata, infatti, determina, dopo la citata sentenza n. 263/1976 della Corte costituzionale, una disparità di trattamento tra titolari di una identica pensione di invalidità erogata dall'INPS e di un'altra pensione diretta, discriminandoli a seconda che quest'ultima sia a carico dello Stato o della C.P.D.E.L. Nel primo caso, infatti, viene concessa l'integrazione al minimo della pensione INPS, che viene invece negata nel secondo caso.

La minore tutela garantita ai pensionati degli enti locali rispetto ai pensionati dello Stato, relativamente alla stessa pensione di invalidità erogata dall'INPS, è priva, infatti, di una razionale giustificazione, non trovando alcun riscontro in una obiettiva diversità di condizioni sociali ed economiche, alla luce dei criteri sopra enunciati.

Anche sotto questo ulteriore profilo, pertanto, l'art. 2, secondo comma, lettera a) della legge n. 1338 del 1962 è viziato di illegittimità costituzionale.

E' superfluo a questo punto, per le considerazioni già svolte nel precedente paragrafo, esaminare l'ulteriore censura relativa all'art. 38 Cost.

6. - La terza questione (ordinanza n. 442/77 del Pretore di Milano) sulla quale la Corte costituzionale è chiamata a decidere, è se sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione il combinato disposto delle norme già denunciate (artt. 2 legge 1338 del 1962 e 23 legge 153 del 1969) nella parte in cui esclude l'integrazione al minimo di altra pensione indiretta erogata da enti diversi, qualora per effetto del cumulo venga superato il trattamento minimo garantito.

Nell'ordinanza di rimessione si dubita che tale esclusione realizzi un'ingiustificata disparità di trattamento tra titolari di due pensioni ugualmente di riversibilità corrisposte dall'INPS per il fatto che ad alcuni superstiti una delle pensioni perviene calcolata sulla base di una pensione diretta, per la quale il pensionato defunto aveva già ottenuto l'integrazione al minimo, mentre ad altri la stessa pensione di riversibilità perviene sulla base di una pensione diretta non integrata, rimanendo esclusa per effetto delle norme impugnate.

La questione è fondata, in quanto la denunciata disparità di trattamento è priva di ogni giustificazione, discriminando tra cittadini che si trovano in analoga condizione sociale ed economica: entrambe le categorie messe a raffronto godono, infatti, di due pensioni di riversibilità che hanno lo stesso titolo, cosicché la differenza di tutela discende da una circo stanza estrinseca meramente casuale: l'avere o meno il pensionato defunto provveduto, mentre era in vita, a chiedere l'integrazione al minimo della sua pensione diretta. Ritiene la Corte che non possa il legislatore sancire discriminazioni all'interno di categorie sostanzialmente omogenee, in base a presupposti giuridici puramente formali, senza violare il principio di uguaglianza.

Anche in questo caso la norma che risulta effettivamente in contrasto con l'art. 3 Cost. è l'art. 2, secondo comma, lett. a) della legge n. 1338/1962, e non l'art. 23 della legge n. 153/1969, in quanto la denuncia del giudice a quo non è diretta ad eliminare la tutela accordata dal citato art. 23, ma ad estendere tale tutela al di là dei limiti previsti dall'art. 2, secondo comma, lett. a) della citata legge del 1962.

Va precisato altresì che la predetta norma è viziata di incostituzionalità non perchè esclude che la pensione di riversibilità INPS raggiunga l'importo della pensione diretta integrata al minimo - esclusione che sarebbe conforme alla logica dell'istituto della riversibilità, che attribuisce ai superstiti soltanto una quota determinata della pensione del defunto - ma in quanto impedisce che il calcolo della pensione di riversibilità INPS, in caso di cumulo con altro trattamento di riversibilità, sia rapportato all'importo integrato al minimo della pensione diretta INPS che il defunto avrebbe dovuto percepire se avesse chiesto l'integrazione.

La soluzione della questione sotto il primo profilo esonera la Corte dall'esame dell'ulteriore profilo di censura, relativo all'art. 38 Cost.

7. - Altra questione sulla quale la Corte si deve pronunciare e se contrasti con l'art. 3 Cost. il combinato disposto degli artt. 1, secondo comma, legge 12 agosto 1962, n. 1339 e 23 legge 30 aprile 1969, n. 153, nella parte in cui esclude per i titolari di pensione statale l'integrazione al minimo della pensione di invalidità e vecchiaia erogata dalla Gestione speciale artigiani (legge 4 luglio 1959, n. 463), per la disparità che ne deriva rispetto ai titolari della stessa pensione statale, ai quali è consentita l'integrazione della pensione d'invalidità purché erogata dall'INPS, nonché rispetto ai titolari di qualunque pensione di riversibilita, che hanno diritto all'integrazione della pensione diretta INPS.

La questione così proposta è fondata.

Invero il secondo comma dell'art. 1 della legge n. 1339 del 1962 riproduce per la Gestione speciale artigiani una norma identica a quella dettata dall'art. 2, secondo comma, lettera a), della legge n. 1338 del 1962, sopra esaminata.

Dall'accoglimento delle censure ad essa relative discende, infatti, l'illegittimità costituzionale del diniego del trattamento minimo garantito sulle pensioni dirette INPS, sia di invalidità che di vecchiaia, a chi sia già titolare di altra pensione di riversibilità o di altra pensione diretta a carico dello Stato, o di altri fondi.

Alla luce di quanto si è già rilevato, a proposito della estensione del diritto alla integrazione al minimo delle pensioni poste a carico dell'INPS, del tutto priva di giustificazione razionale si rivela la persistente esclusione di tale diritto per la pensione diretta (vecchiaia o invalidità) erogata dalla Gestione speciale per i lavoratori autonomi, dal momento che la pensione suddetta assolve, per la particolare categoria degli artigiani, esattamente la stessa funzione svolta per gli altri lavoratori dalla pensione diretta a carico dell'assicurazione ordinaria INPS.

L'identità della funzione dei due trattamenti, che è quella di assicurare al lavoratore anziano o invalido un minimo vitale, rende arbitraria la diversità di disciplina data a due identici istituti a seconda che il pensionato sia assicurato dall'INPS o dalla gestione speciale lavoratori autonomi sempre gestita dall'INPS, non essendovi alcun motivo economico o sociale che valga a spiegare una discriminazione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi in riferimento al minimo vitale.

Deve essere, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge 1339 del 1962 sotto il profilo proposto. Va invece esclusa ogni pronuncia in ordine all'art. 23 della legge 153 del 1969, per i motivi già esposti X nell'esame delle precedenti questioni.

8. - L'ultima questione sottoposta al vaglio della Corte costituzionale riguarda il dubbio se contrasti con gli artt. 3 e 38 Cost. il combinato disposto dell'art. 10 legge 4 aprile 1952, n. 218 (modificato dagli artt. 3, secondo comma, lett. a) e 8 legge n. 1338 del 1962), e dell'art. 23 legge 30 aprile 1969, n. 153, nella parte in cui esclude l'integrazione al minimo di pensione diretta a carico dell'INPS ai titolari di pensioni estere, e in particolare dell'AVS svizzera, sempre qualora per effetto del cumulo si superi il minimo garantito.

Nell'ordinanza di rimessione si dubita in primo luogo che tale esclusione realizzi una ingiustificata disparità di trattamento in rapporto al diritto all'integrazione sempre riconosciuto ai titolari di pensioni di riversibilità da qualsiasi ente erogate, o di pensione di invalidità INPS, e che contrasti inoltre con il principio dell'adeguatezza dei mezzi di sostentamento.

La questione non è fondata, in quanto il combinato disposto delle norme impugnate non comporta affatto l'esclusione del trattamento minimo lamentato nell'ordinanza di rimessione. Il divieto di integrazione al minimo della pensione diretta a carico dell'INPS contenuto nell'impugnato art. 10 della legge n. 218 del 1952, modificato dalla legge 1338 del 1962, riguarda, infatti, l'ipotesi del cumulo di una pensione diretta INPS con le varie forme di previdenza disposte dall'ordinamento italiano, nelle quali non può farsi rientrare, secondo i corretti criteri di interpretazione giuridica, una forma previdenziale a carico di un sistema estero, salvo quanto eventualmente disposto nei regolamenti comunitari europei. Per quanto riguarda in particolare il caso di cumulo con rendite a carico del sistema previdenziale svizzero - anche tenendo conto delle vigenti convenzioni italo- elvetiche che regolano la materia - il diritto all'integrazione della pensione diretta INPS viene sempre riconosciuto a chi sia anche titolare di un trattamento pensionistico svizzero. In tal senso si è ormai pacificamente consolidata la più recente giurisprudenza ordinaria.

Scopo del citato art. 10, invero, è di limitare l'onere del sistema previdenziale italiano, pur assicurando in ogni caso il minimo a tutti i pensionati, non già di impedire all'assicurato, che di tale minimo fruisca o possa fruire, di godere di altra forma di previdenza a carico di un sistema previdenziale straniero.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

l. - dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, lettera a) della legge 12 agosto 1962, n. 1338, nella parte in cui esclude il diritto all'integrazione al minimo della pensione diretta a carico dell'INPS, sia essa di vecchiaia che di invalidità, per chi sia già titolare di pensione diretta dello Stato, dell'Istituto Post-telegrafonici e della Cassa di previdenza dipendenti enti locali, qualora per effetto del cumulo sia superato il trattamento minimo garantito; nonché nella parte in cui preclude che la pensione di riversibilità INPS sia calcolata in proporzione alla pensione diretta INPS integrata al minimo, che il titolare defunto avrebbe avuto diritto di percepire;

2. - dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. l, secondo comma, della legge 12 agosto 1962, n. 1339, nella parte in cui esclude il diritto all'integrazione al minimo della pensione di invalidità e vecchiaia erogata dalla Gestione speciale lavoratori autonomi per chi sia già titolare di pensione a carico dello Stato;

3. - dichiara non fondata nei sensi di cui in motivazione la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 10 della legge 4 aprile 1952, n. 218 (modificato dagli artt. 2, secondo comma, lettera a) e 8 della legge 12 agosto 1962, n. 1338), e dall'articolo 23 della legge 30 aprile 1969, n. 153, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Como con ordinanza n. 98 del 1978.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/02/81.

Leonetto AMADEI – Giulio  GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 26/02/81.