Sentenza n.24 del 1981
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SENTENZA N.24

ANNO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI, Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio sull'ammissibilità ai sensi dell'art. 2, comma primo, legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 42 comma terzo (il questore ha facoltà di dare licenza per porto d'armi lunghe da fuoco e il prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65) del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) e successive modificazioni (n. 17 reg. ref.).

Vista l'ordinanza 2 dicembre 1980 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la suddetta richiesta;

udito, nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981, il Giudice relatore Antonino De Stefano;

uditi l'avv. Mauro Mellini, per il Comitato promotore del referendum e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

Oggetto della richiesta di referendum abrogativo, dichiarata legittima con ordinanza del 2 dicembre 1980, in applicazione dell'art. 32 della legge 25 maggio 1970, n. 352, dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, è l'art. 42, comma terzo (unico comma rimasto in vigore, dopo che il primo ed il secondo sono stati abrogati dall'art. 4, comma nono, della legge 18 aprile 1975, n. 110) del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni.

La norma, della quale si propone l'abrogazione, stabilisce che < il questore ha facoltà di dare licenza per porto d'armi lunghe da fuoco e il prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati, la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65 >. Con essa viene, cioè, prevista la possibilità di essere autorizzati al porto d'armi fuori della propria abitazione, in deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale, e dall'art. 4, comma primo, della legge n. 110 del 1975. Il quesito che si vuol sottoporre al corpo elettorale è perciò chiaro ed univoco: se debba permanere o meno siffatta possibilità di sottrarsi legittimamente al divieto, a nulla rilevando sotto tale profilo il motivo per cui può in atto esser concessa la licenza (per difesa personale o anche per uso di caccia).

Può, dunque, considerarsi soddisfatta quella imprescindibile esigenza di < omogeneità > del quesito, che devesi in primo luogo accertare, secondo quanto affermato dalla Corte nella sentenza n. 16 del 1978.

Né si riscontra alcuna delle altre ragioni di inammissibilità enunciate dalla Corte in quella occasione. L'Avvocatura dello Stato ha in proposito eccepito che, essendo la concessione della licenza di porto d'armi subordinata all'accertata necessità di difendere da violente aggressioni la vita umana e la proprietà, il divieto assoluto, conseguente ad un favorevole risultato del referendum, si porrebbe in contrasto con due precetti costituzionali: con l'art. 2, che garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, e con l'art. 42, che garantisce la proprietà privata.

Ma la prospettata illegittimità costituzionale di tale divieto assoluto non può esser presa in considerazione e vagliata al fine di pervenire ad una pronuncia d'inammissibilità del quesito referendario. In questa sede ed a tal fine, secondo quanto si desume dai principi cui sono ispirate le sentenze di questa Corte n. 251 del 1975 e n. 16 del 1978, non viene di per sè in rilievo l'eventuale effetto abrogativo del referendum: tanto più che la conseguente situazione normativa potrebbe dar luogo, se e quando si realizzi, ad un giudizio di legittimità costituzionale, nelle forme, alle condizioni e nei limiti prescritti. Quando la Corte giudica, invece, dell'ammissibilità di una richiesta di referendum abrogativo, porta il suo esame su taluni profili (omogeneità ed univocità) inerenti alla struttura del quesito, e sulla natura delle disposizioni che del quesito medesimo formano oggetto. Per quanto concerne quest'ultimo aspetto, la Corte, secondo la puntuale precisazione fornita nella menzionata sentenza n. 16 del 1978, deve accertare innanzi tutto che non si tratti di norme costituzionali, o di altri atti normativi diversi da quegli < atti legislativi dello Stato aventi la forza delle leggi ordinarie >, contro i quali soltanto può rivolgersi il referendum previsto dall'art. 75 della Costituzione. Di questi ultimi, inoltre, sono preclusi alla consultazione referendaria: a) < gli atti legislativi dotati di una forza peculiare, e dunque in suscettibili di essere validamente abrogati da leggi ordinarie successive >; b) le leggi espressamente indicate dal secondo comma del citato art. 75 della Costituzione e le altre disposizioni produttive di effetti collegati all'ambito di operatività delle leggi medesime in modo così stretto, che la preclusione debba ritenersi sottintesa; c) le disposizioni a contenuto costituzionalmente vincolato.

Ora l'art. 42, comma terzo, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, la cui abrogazione viene proposta al corpo elettorale dalla richiesta referendaria in esame, non rientra certamente in veruna delle categorie sopra elencate. In parti colare, non può essere compreso fra quelle norme < a contenuto costituzionalmente vincolato >, il cui nucleo, non potendo < venir alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre leggi costituzionali) >, è sottratto ad ogni intervento abrogativo, totale o parziale, espresso o tacito, del legislatore ordinario, e non può in conseguenza essere oggetto di consultazione referendaria a fini abrogativi. Va infatti escluso che dagli artt. 2 e 42 della Costituzione invocati dall'Avvocatura dello Stato, pur se con riferimento, inaccettabile in questa sede, anziché alla norma oggetto del referendum richiesto, all'effetto della sua eventuale abrogazione possa trarsi, come precetto immediatamente vincolante, la insostituibilità della licenza di porto d'armi prevista dall'art. 42, comma terzo, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Ben vero che la legittima difesa è prevista dall'ordinamento giuridico, nei limiti sanciti dagli artt. 52 e 55 del codice penale, 42 del codice penale militare di pace e 2044 del codice civile, come possibile e lecito mezzo di tutela tanto dell'incolumità fisica quanto dei diritti patrimoniali. Ma la licenza di porto d'armi fuori della propria abitazione non è certo l'unico mezzo, attraverso il quale si realizza imprescindibilmente la difesa privata della persona e degli averi, propri od altrui; non e, dunque, in giuoco la permanenza dello stesso principio della legittima difesa, ma soltanto uno dei vari possibili mezzi apprestati per la sua attuazione. La norma in questione, in altri termini, pone in essere una fra le soluzioni astrattamente possibili per assicurare la privata tutela dei diritti alla vita ed alla proprietà garantiti dalla Costituzione: il suo contenuto non puo, pertanto, considerarsi soggetto ad un < vincolo >, che direttamente derivi da un corrispondente specifico disposto costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 42, comma terzo, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, dichiarata legittima con ordinanza del 2 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/02/81.

Leonetto AMADEI – Giulio  GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 11/02/81.