Sentenza n.119 del 1980
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SENTENZA N.119

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1973, n. 823 (Norme per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), promosso con ordinanza emessa il 18 marzo 1977 dalla Commissione tributaria di 1° grado di Milano, sui ricorsi riuniti proposti dalla s.r.l. Immobiliare Vicoforte ed altri contro l'Ufficio del Registro affitti e assicurazioni di Milano, iscritta al n. 504 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 353 del 28 dicembre 1977.

Visti l'atto di costituzione delle Società Vicoforte, Marciano e Quartiere Monforte e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 aprile 1979 il Giudice relatore Leopoldo Elia;

uditi l'avv. Ferruccio Carboni Corner (in sostituzione dell'avv. Ettore Maupoil) per le Società Vicoforte, Marciano e Quartiere Monforte e l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria di 1° grado di Milano è stata ritenuta non fondata da questa Corte allorché venne proposta in ordine ad altro provvedimento di condono (sent. n. 148 del 1967) .

Si tratta ora di esaminare i nuovi argomenti addotti a sostegno della fondatezza e la diversa prospettazione che emerge dall'ordinanza del giudice a quo.

Infatti l'ordinanza del tribunale di Bologna 4 marzo 1966 (che provocò la sentenza n. 148 del 1967) motivava la non manifesta infondatezza della quaestio dell'art. 2, ultimo comma, della legge 30 luglio 1959, n. 559, con ragioni che andavano ben al di là della esclusione dal condono delle soprattasse e pene pecuniarie dovute per accertamenti già definiti alla data di entrata in vigore della legge stessa. Invero l'ordinanza contestava la non applicabilità del condono agli accertamenti già definiti, ritenendo che la definizione (o la sua mancanza) dipendesse spesso non già dal comportamento del contribuente, ma da diverse cause.

Perciò il problema dell'applicazione del condono alle sole soprattasse non era autonomamente considerato, essendo assorbito, per così dire, in una contestazione che si avvaleva ad altro fine degli argomenti addotti nella sentenza n. 85 del 1965 di questa Corte.

Questa volta il giudice a quo pone invece in termini puntuali la questione dell'osservanza dell'art. 3 Cost., mettendo bene in rilievo la disparità fra il trattamento del contribuente che definisce l'accertamento usufruendo del condono (inclusa l'esenzione dalle eventuali sanzioni accessorie) e quello del contribuente il quale, ad accertamento già definito dell'obbligazione tributaria, contesti l'obbligo delle prestazioni pecuniarie, previste come contenuto di sanzioni accessorie (nella fattispecie soprattasse) per ritardato pagamento dell'imposta di registro.

Per la Commissione di Milano sarebbe irragionevole trattare in modo diverso la pendenza relativa all'accertamento del tributo (inclusa nel condono) e la controversia sulla sanzione accessoria (esclusa dal beneficio): e ciò in ordine alla finalità del provvedimento di cui al decreto-legge 5 novembre 1973, n. 660 ed alla sostanziale omogeneità delle due situazioni se riferita alla ratio legis.

Peraltro, gli argomenti addotti dalla ordinanza e dalla difesa delle parti private non risultano convincenti, e la questione non è fondata.

2. - Conviene anzitutto eliminare un equivoco che si ravvisa nella memoria di parte privata, allorché sul thema decidendum si contrappongono i precedenti provvedimenti di condono a quello del 1973. Come è stato messo in rilievo anche di recente (sent. n. 96 del 1980 di questa Corte, ma prima ancora sent. n. 32 del 1976), veramente nuove sono le caratteristiche strutturali e le finalità funzionali della normativa adottata con il d.l. 5 novembre 1973, n. 660, (convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1973, n. 823), intesa ad agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria. Ma la originalità del provvedimento, collegata storicamente all'avvio della riforma tributaria, non tocca l'assoluta identità della soluzione accolta a proposito di pendenze e di controversie in ordine a sanzioni accessorie, quando l'accertamento della obbligazione tributaria sia stato definito.

A partire dal 1959, i testi normativi sul condono in materia tributaria per sanzioni non aventi natura penale contengono una disposizione del seguente tenore: il condono < non si applica inoltre per le soprattasse e le pene pecuniarie dovute per accertamenti già definiti alla data di entrata in vigore della presente legge > (art. 2, ultimo comma, ultima parte, legge 30 luglio 1959, n. 559; art. 2, terzo comma, ultima parte, legge 31 ottobre 1963, n. 1458; e art. 2, secondo comma, ultima parte, legge 23 dicembre 1966, n. 1139). Il decreto legge n. 660 del 1973 non contiene questa disposizione, ma, per generale riconoscimento, adotta tacitamente la stessa soluzione, in quanto collega l'abbandono da parte del fisco delle proprie pretese circa le sanzioni accessorie o all'accertamento da definirsi di un imponibile o alla liquidazione o al pagamento di un'imposta (eccettuate le penalità derivanti da violazioni di norme sulle imposte dirette che non si riferiscono all'assolvimento del debito d'imposta art. 5, ultimo comma).

Orbene, ritenere che nei provvedimenti di condono del passato si discriminasse razionalmente tra situazioni pendenti e situazioni definite, mentre il decreto legge del 1973 discriminerebbe tra situazioni tutte pendenti, ammettendo od escludendo irragionevolmente dal condono, è assunto privo di fondamento: anche in passato (e la presenza di apposite disposizioni rendeva più evidente questo aspetto) era possibile riscontrare pendenze relative ad accertamenti di imponibili o a liquidazioni di imposte, tutte suscettibili di applicazione del condono, e pendenze concernenti soltanto soprattasse e pene pecuniarie, sottratte invece ad ogni incidenza dello stesso provvedimento.

Anzi, nel decreto-legge del 1973, l'avvio della riforma tributaria fornisce una giustificazione specifica alla soluzione che limita il condono alle controversie e pendenze relative a tributi soppressi o comunque riformati.

In definitiva, la difesa di parte privata ha esattamente identificato nella sentenza n. 148 del 1967 il precedente giurisprudenziale più significativo sul thema decidendum, in ciò concordando con l'Avvocatura generale dello Stato: ma ha tentato invano di delimitarne la portata, ritenendo tale pronuncia non influente per la normativa del 1973.

3. - Nessuno può negare la diversità tra le situazioni di < pendenza > o di controversia che abbiano per oggetto l'an e il quantum di una obbligazione tributaria e quelle che si riferiscano alle conseguenze sanzionatorie derivanti dalla infrazione di norme relative al tempestivo assolvimento dell'obbligazione stessa. In realtà le ragioni avanzate dalla Commissione tributaria di Milano non superano l'affermazione di fondo contenuta nella sentenza n. 148 del 1967 (non menzionata nell'ordinanza) e così formulata: < Al fine della decisione della presente causa occorre considerare che la disposizione in esame conferisce rilievo ad una diversa condizione in cui il rapporto tributario viene a trovarsi secondo che esso si colleghi o meno ad un accertamento già definito: di tal che appare certo che la legge, escludendo il condono nel primo caso ed ammettendolo nel secondo, regola situazioni che al momento della sua entrata in vigore si presentavano obiettivamente diverse >.

La diversità di situazioni in cui viene a trovarsi il contribuente è del resto sottolineata dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 109 del 1973), che nega l'applicabilità alle prestazioni pecuniarie, previste a titolo sanzionatorio, del principio della capacità contributiva ex art. 53, primo comma, Cost.

Il tentativo della Commissione tributaria di Milano si fonda sulla messa in ombra delle diversità che distinguono pendenze e controversie sul debito d'imposta e pendenze e controversie sulle sanzioni accessorie: e più ancora fa leva su identità e analogie, che peraltro non appaiono decisive.

Certamente, in entrambi i casi si tratta di pendenze e di controversie nelle quali sono interessati soggetti presi in considerazione dall'ordinamento in quanto contribuenti: ma ciò non toglie che il legislatore possa valorizzare differenze specifiche che emergono anche sotto altri aspetti.

Né si potrebbe correttamente ricorrere alla ratio generale del provvedimento, per recuperare sul piano delle sue finalità una analogia tra situazioni già riscontrate diverse da altri punti di vista: invero il legislatore ha sì voluto che potesse definirsi al più presto il maggior numero possibile di controversie e di pendenze, ma era ben consapevole che un obbiettivo globale era a priori irraggiungibile dal momento che, a torto o a ragione, alcuni contribuenti potevano ritenere per essi non conveniente la soluzione offerta dal decreto-legge n. 660 del 1973. Soprattutto, le controversie in tema di soprattasse rimanevano fuori dell'altro obbiettivo perseguito dal legislatore, consistente nell'acquisire all'erario (meglio se sollecitamente) tutto l'ammontare di imposte corrispondenti a decisioni o a sentenze non impugnate o non impugnabili in via principale dal contribuente (art. 2, ultimo comma): in realtà era facile assimilare in vista di questo obbiettivo le soprattasse ai debiti d'imposta già definiti, in quanto, di regola, si fa valere l'automaticità del meccanismo di applicazione delle sanzioni (quando cioè non sia più possibile eccepire l'insussistenza della stessa obbligazione tributaria, di carattere pregiudiziale rispetto all'obbligazione subordinata o dipendente, che consiste nella prestazione pecuniaria accessoria).

E' così valorizzata una differenza che non è di mero fatto, ma si ricollega anche al diverso grado di incertezza cui possono dar luogo, di solito, le controversie sulla obbligazione subordinata rispetto a quella, ben maggiore, delle controversie sulla obbligazione tributaria principale.

La riprova della non fondatezza della questione è data anche dal tipo di pronuncia, del tutto abnorme, che viene in sostanza sollecitata alla Corte: questa dovrebbe estendere alle controversie sulle soprattasse la normativa emanata per quelle sull'imposta di registro, fissando a suo benevolo arbitrio un quantum di riduzione modellato possibilmente sugli abbuoni previsti dall'art. 6. Prospettare l'ipotesi significa pure respingerla senza necessità di ulteriori considerazioni. Alle esigenze di un trattamento più equo, anche per questi casi marginali di controversia, può eventualmente provvedere soltanto il legislatore.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 del decreto-legge 5 novembre 1973, n. 660, convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1973, n. 823, sollevata con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/07/80.

Leonetto AMADEI – Edoardo  VOLTERRA – Guido  ASTUTI – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Guglielmo  ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI

Giovanni  VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 25/07/80.