Sentenza n.96 del 1980
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SENTENZA N.96

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente  

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, conv. con modif., in legge 19 dicembre 1973, n. 823, e dell'art. 2, lett. a), della legge 19 dicembre 1973, n. 823 (Norme per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 21 maggio 1975 dalla Commissione tributaria di 1° grado di Ragusa sul ricorso di Giummarra Giovanni ed altro, iscritta al n. 315 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 249 del 17 settembre 1975;

2) ordinanza emessa il 31 marzo 1976 dalla Commissione tributaria di 1° grado di Bolzano sul ricorso di Stuflesser Wielfried, iscritta al n. 605 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 294 del 3 novembre l976;

3) ordinanza emessa il 31 maggio 1977 dalla Commissione tributaria di 2° grado di Ravenna sul ricorso di Baldini Giuseppina, iscritta al n. 425 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 306 del 9 novembre 1977;

4) ordinanza emessa il 3 maggio 1977 dalla Commissione tributaria di 1° grado di Napoli sul ricorso di Palumbo Alberto, iscritta al n. 198 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 172 del 21 giugno 1978.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 aprile 1979 il Giudice relatore Leopoldo Elia;

udito l'avvocato dello Stato, Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Le quattro questioni, riguardando tutte il regime temporale per l'applicabilità delle norme miranti ad agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria (d.l.5 novembre 1973, n. 660 convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1973, n. 823), possono essere esaminate congiuntamente e decise con unica sentenza.

2. - La Corte è chiamata innanzitutto ad accertare se l'art. 6 del decreto-legge, nel testo risultante dalla legge di conversione, non contrasti con l'art. 3 Cost. nella parte in cui limita la definizione agevolata delle controversie per l'applicazione delle imposte di registro ed ipotecarie, dei diritti catastali e delle relative addizionali per atti formati anteriormente al 1° gennaio 1973, alle sole controversie pendenti alla data di entrata in vigore del decreto. Più in particolare, questa norma produrrebbe disparità di trattamento tra contribuenti che si trovano nella stessa situazione (quanto ad inosservanza in uno stesso periodo di tempo dei precetti fiscali), a seconda che abbiano o meno ricevuto notifica dagli uffici delle imposte di accertamenti di valore o ingiunzioni di pagamento.

Le tre questioni sollevate rispettivamente dalla Commissione tributaria di 1° grado di Ragusa, dalla Commissione tributaria di 2° grado di Ravenna e dalla Commissione tributaria di 1° grado di Napoli (e che possono sintetizzarsi nei termini sopra riferiti) non sono fondate.

E' necessario premettere che il c.d. condono previsto negli atti legislativi già citati si differenzia profondamente (come precisato da questa Corte con la sentenza n. 32 del 1976) dai condoni in materia tributaria per sanzioni di natura non penale disposti con d.lgs. 31 gennaio 1948, n. 109, legge 30 luglio 1959, n. 559, legge 31 ottobre 1963, n. 1458 e legge 23 dicembre 1966, n. 1139. Si tratta infatti, nel caso in esame, di un provvedimento che intende creare le migliori condizioni per l'avvio della riforma tributaria, agevolando, prima ancora che la regolarizzazione mediante sanatoria di situazioni contra legem, la definizione con metodo semplificato delle controversie e pendenze esistenti al momento dell'entrata in vigore del decreto legge. A tal fine (e a differenza di quanto era preveduto negli atti di condono sopra menzionati) non si condiziona l'abbandono delle sanzioni alla definizione, in regime ordinario, dei redditi imponibili e dei debiti d'imposta, definizione da conseguirsi mediante l'opera dell'amministrazione e del contribuente entro un periodo di alcuni mesi, talvolta di un anno.

Ciò era incompatibile con gli obbiettivi di rapidità, anzi di automaticità, che intendeva raggiungere il legislatore del 1973; il vecchio metodo sarebbe stato poi in contrasto con lo spirito della riforma, che aveva eliminato l'istituto del concordato tributario anche nella forma dell'adesione del contribuente all'accertamento dell'ufficio (artt. 42 e 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). Il contribuente può soltanto presentare domanda irrevocabile per l'applicazione del provvedimento, quando ritiene che la definizione così realizzata sia più conveniente di quella conseguibile in regime ordinario. L'amministrazione, dal canto suo, deve limitarsi ad applicare gli schemi di definizione, analiticamente predisposti dal legislatore, con riduzioni e maggiorazioni forfettariamente previste per le diverse imposte.

D'altra parte il vecchio metodo, dopo le sentenze di questa Corte n. 85 del 1965 e 121 del 1967, comportava ormai un periodo < aperto > (e cioè senza termini di chiusura) per la definizione in via amministrativa dell'accertamento, come si trae, del resto, dalla disciplina contenuta nell'ultimo comma dell'art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1139.

Pertanto il legislatore del 1973, per ottenere una rapida eliminazione del contenzioso pendente e per realizzare un sollecito introito nelle casse dello Stato, durante la delicata fase di avvio della riforma, doveva stabilire un punctum temporis, cui riferire rigidamente la possibilità di utilizzare le norme del provvedimento di condono. In altre parole, in questo quadro di esigenze eccezionali, il principio di eguaglianza non poteva essere attuato realizzando la parità di trattamento in ordine alle situazioni iniziali che avevano provocato la controversia o la pendenza tributaria, ma solo estendendo al massimo la possibilità per tutti i contribuenti quale che fosse la fase della loro vicenda tributaria di chiedere l'applicazione, con modalità e risultati parzialmente differenziati, del provvedimento agevolativo.

É quanto è stato realizzato, con indubbia coerenza, nelle varie disposizioni del decreto legge, conseguendo l'obbiettivo di non escludere dall'ambito di applicabilità del provvedimento nessun contribuente a causa di ritardi nell'attività degli uffici competenti ad accertare i redditi o a liquidare le imposte.

Non interessa, ovviamente, verificare qui se alle speranze del legislatore siano stati pari i risultati (le operazioni per sistemare le vecchie pendenze essendosi concluse soltanto nel corso del 1977). Preme solo rilevare che l'art. 3 Cost., inteso come divieto di disparità di trattamento di situazioni simili e come esclusione di discriminazioni irragionevoli, non può ritenersi violato nella fattispecie, perchè il provvedimento esclude dalla sfera di applicazione soltanto i contribuenti che abbiano già definito le controversie o pendenze in ordine alle imposte considerate. Per tutti gli altri, si ripete, nessuna preclusione discende dalla normativa adottata, giacché il concetto di < controversia > è stato sempre affiancato da quello di situazione non definita, anche in difetto di procedimento contenzioso, di notifica dell'accertamento di valore o di ingiunzione di pagamento.

3. - Questi dati normativi non sono stati tenuti presenti dalle Commissioni di Ragusa e di Ravenna, che hanno del tutto trascurato la possibilità di definizione delle pendenze offerta dall'art. 6, primo comma, ultima parte, anche ai contribuenti per i quali non fosse in corso una < controversia >, essendo mancata nei loro riguardi una notifica di accertamento di valore e una ingiunzione di pagamento. t vero che le norme in proposito erano più chiaramente formulate nel testo del decreto legge, mentre le modifiche in sede di legge di conversione, coinvolgendo nelle stesse proposizioni la disciplina per le imposte successorie, hanno reso meno limpido il collegamento alternativo tra le situazioni di < controversia > e le situazioni non caratterizzate da accertamenti dell'amministrazione. Tuttavia le due fattispecie sono ben presenti nel primo comma dell'art. 6, indicandosi la definizione della controversia nella riduzione del 50% della imposta liquidata sulla base dell'accertamento compiuto dall'amministrazione; e successivamente (ultima parte del comma) indicandosi l'eliminazione della pendenza, in difetto di notifica dell'accertamento di maggior valore, nella liquidazione dell'imposta sulla base del valore dichiarato dal contribuente, aumentato forfettariamente del 20% (in entrambi i casi senza applicazione di sopratasse e pene pecuniarie).

La considerazione di queste premesse avrebbe forse potuto indurre le due Commissioni, ma anche, da altro punto di vista, quella di Napoli, a ravvisare nelle fattispecie sottoposte al loro giudizio piuttosto che elementi per enucleare una questione di legittimità costituzionale, problemi di carattere interpretativo-applicativo dell'art. 6 del provvedimento in esame . Ma ciò non fa venir meno la rilevanza delle questioni, che devono essere esaminate nei termini proposti dalle ordinanze.

4. - La Commissione di Ragusa motiva l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 6 con il rilievo che esso < non prevede l'applicazione del condono tributario per gli atti formati anteriormente al 1° gennaio l973 ma sui quali la richiesta di imposta suppletiva di registro è stata avanzata dall'Amministrazione finanziaria in epoca successiva alla scadenza del termine del 28 febbraio 1974 >. In proposito si citano anche le sentenze di questa Corte del 22 dicembre 1965, n. 85 e 23 novembre 1967, n. 121, che dichiaravano la illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma terzo, legge 30 luglio 1959, n.559 e dell'articolo 2, comma terzo, legge 31 ottobre 1963, n. 1458.

Com'é noto, queste disposizioni condizionavano l'applicazione del condono tributario in senso proprio al verificarsi della definizione amministrativa dell'accertamento degli imponibili per le imposte dirette rispettivamente entro un anno ed entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge: e la Corte le ritenne illegittime, in quanto facevano dipendere dalla maggiore o minore diligenza dell'amministrazione, dal maggiore o minor carico del suo lavoro, la possibilità per i contribuenti di beneficiare del condono.

Ma la fattispecie disciplinata dal denunziato primo comma dell'art. 6 è profondamente diversa. Infatti, nel quadro di questa normativa, il ritardo dell'amministrazione nel notificare la revoca di un beneficio già concesso e nel richiedere una imposta suppletiva di registro può costituire semplicemente un motivo che spiega perchè il contribuente non abbia presentato in termini la domanda prevista nell'ultima parte del primo comma dell'art. 6. Tuttavia, non essendo il rapporto tributario ancora concluso, nulla impediva al contribuente stesso di tutelarsi rispetto ad ulteriori vicende del rapporto, chiedendo che l'imposta dovuta fosse liquidata sulla base del valore da lui dichiarato, aumentato del 20 %, senza applicazione di sopratasse e pene pecuniarie.

5. - Più complessa è la fattispecie sottostante all'ordinanza della Commissione di Ravenna.

Non a torto l'Avvocatura dello Stato prospetta l'ipotesi della inammissibilità della questione sollevata, dal momento che nella ordinanza stessa assai lacunosa la Commissione si dichiara favorevole ad una interpretazione adeguatrice dell'articolo 6, primo comma parte prima, che farebbe venir meno la rilevanza della eccezione (e secondo cui le controversie pendenti includerebbero situazioni caratterizzate da violazioni delle norme tributarie, anche in difetto di accertamento da parte degli uffici). Peraltro, è da ritenere che in concreto la Commissionefosse tutt'altro che sicura della accennata interpretazione, come si ricava anche dalla circostanza che la Commissione stessa ha poi sollevato la questione di legittimità costituzionale.

In questo caso il contribuente aveva presentato in termini la domanda prevista dall'art. 6, effettuando contestualmente il versamento delle imposte di registro, trascrizione ed addizionali per un atto di vendita di un'aerea edificabile stipulato e regi strato entro il 31 dicembre 1972 (come risulta dai documenti inclusi nel fascicolo di causa, tra i quali non figura tuttavia copia della domanda di condono).

Non spetta a questa Corte accertare se il comportamento del contribuente, concretatosi oltretutto nel versamento di una somma < chiesta bonariamente > dall'ufficio (che peraltro ignorava la decadenza incorsa nel frattempo dai benefici della legge n. 408 del 1949), possa rientrare, se non nello schema della < controversia pendente > dell'art. 6, primo comma prima parte, quantomeno, da un punto di vista sostanziale, nella ipotesi di cui all'art.6, primo comma ultima parte: e cioè nella liquidazione dell'imposta, sulla base del valore dichiarato dal contribuente, aumentato del 20%, senza applicazione di sopratasse e pene accessorie; o, infine, se tale condotta, per le sue peculiarità, non si lasci inquadrare in nessuna delle previsioni contenute nell'art. 6.

Appare comunque evidente che la questione proposta nella ordinanza (violazione dell'art. 3 Cost. per disparità di trattamento a danno dei contribuenti i quali, coeteris paribus, non siano parte in una concreta controversia pendente) è priva di fondamento, perchè l'art. 6 consente in ogni caso ai contribuenti che si conformino alle sue prescrizioni di ottenere o la definizione agevolata della controversia o la liquidazione dell'imposta sulla base, forfettariamente maggiorata, del valore dichiarato dai contribuenti stessi.

6. - La questione sollevata della Commissione di Napoli trae origine da un dubbio interpretativo-applicativo che resta all'interno dell'art. 6, primo comma prima parte.

L'amministrazione richiede con ingiunzione il pagamento di imposta suppletiva ipotecaria, malgrado la domanda di condono tempestivamente presentata e in un primo tempo accolta (con riduzione del 50% dell'imposta), perchè le richieste di imposta formulate con il solo avviso bonario Mod. 11 non integrano gli estremi della controversia pendente, debitamente notificata alle parti; mentre il contribuente sostiene (come risulta dal fascicolo di causa, che peraltro non include il modulo dell'avviso) che l'invito di pagamento Mod. 11 reca un preciso termine, trascorso il quale l'ufficio procederà in via coattiva.

Lasciando a chi spetta di risolvere questo problema (secondo l'ordinanza si tratterebbe di conoscenza < non formale > da parte del contribuente < della maggior pretesa patrimoniale dell'ufficio >), è ovvio, per le considerazioni già svolte, che l'art. 6, primo comma, non viola l'art. 3 Cost., in quanto prevede, anche al di fuori dell'ipotesi della < controversia pendente >, la possibilità di usufruire di una liquidazione agevolata della imposta.

7. - La Corte è infine chiamata ad accertare se contrasti con l'art. 3 Cost. l'art. 2, lett. a) del d.l. 5 novembre 1973, n. 660 convertito nella legge 19 dicembre 1973, n. 823. L'eccezione è sollevata dalla Commissione tributaria di 1° grado di Bolzano, su ricorso proposto da un professionista che non aveva potuto usufruire delle modalità di determinazione delle imposte di ricchezza mobile e complementare secondo l'art. 2, lett. d). Tale impossibilita, derivata dalla tardiva notifica di una decisione della Commissione distrettuale imposte dirette di Bolzano dopo il 31 ottobre 1973, aveva fatto sì che il contribuente vedesse determinate le sue imposte con la riduzione dell'imponibile accertato dall'ufficio di un importo pari al 40% della differenza tra l'imponibile stesso e quello dichiarato dal professionista e di un ulteriore importo pari al 25% di quest'ultimo; se la notifica della decisione adottata dalla Commissione distrettuale fosse avvenuta in tempo utile, la liquidazione dell'imposta si sarebbe realizzata in condizioni più vantaggiose per il contribuente, cioè riducendo l'imponibile risultato non dall'accertamento dell'ufficio, ma dalla decisione della Commissione di un importo pari al 40 % della differenza tra l'imponibile stesso e quello dichiarato dal professionista, e di un ulteriore importo pari al 25% di quest'ultimo.

Il contrasto dell'art. 2 lett. a) con l'art. 3 Cost. deriverebbe appunto dalla circostanza che tale metodo meno favorevole di determinazione dell'imposta si imporrebbe anche a quei contribuenti che, ove non ricorressero eventi ad essi non attribuibili, potrebbero fruire della più vantaggiosa soluzione prevista dall'art. 2, lett. d).

La questione non è fondata.

Si tratta invero di una normativa strettamente collegata alle finalità di massima semplificazione degli accertamenti e delle operazioni per la liquidazione delle imposte (v. supra n. 2), sulla base degli elementi acquisiti anteriormente all'entrata in vigore del provvedimento legislativo, inteso ad agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria. Il termine del 31 ottobre 1973, fissato per l'acquisizione di tali elementi (tra cui rientrano le decisioni delle Commissioni tributarie), appare del tutto ragionevole e tale da non discriminare le situazioni dei contribuenti, che vanno necessariamente riferite alle diverse fasi del rapporto tributario (amministrative e contenziose), come risultavano venute in essere alla data prescelta: a nulla rilevando, anche dal punto di vista del sindacato di costituzionalità, le ragioni per le quali al 31 ottobre 1973 doveva considerarsi raggiunto l'uno e l'altro stadio dell'iter di accertamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, lett. a) del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, così come convertito nella legge 19 dicembre 1973, n. 823, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di 1° grado di Bolzano, con l'ordinanza in epigrafe indicata e, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 del decreto-legge 5 novembre 1973, n. 660, nel testo modificato dalla legge di conversione 19 dicembre 1973, n. 823, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalle Commissioni tributarie di 1° grado Ragusa, di 2° grado di Ravenna, di 1° grado di Napoli, con le ordinanze indicate in epigrafe. 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/06/80.

Leonetto AMADEI – Edoardo  VOLTERRA – Guido  ASTUTI – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Guglielmo  ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI

Giovanni  VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 25/05/80.