Sentenza n.34 del 1980
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SENTENZA N.34

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma sesto, della legge 26 novembre 1969, n. 833, promosso con ordinanza emessa l'8 novembre 1977 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra la S.p.a. Ceresio Prealpina Fondiaria e Montagnoli Lino, iscritta al n. 97 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 115 del 26 aprile 1978.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Stabilisce l'art. 4, comma sesto, della legge 26 novembre 1969, n. 833 che < nel provvedimento che dispone il rilascio per morosità di un immobile destinato ad uso di abitazione può essere concesso al conduttore un termine non inferiore a venti e non superiore a sessanta giorni per il pagamento delle pigioni scadute > e che < il provvedimento perde la sua efficacia qualora il conduttore paghi le somme dovute entro il termine precedentemente fissato >.

La norma come in narrativa detto viene denunziata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dubitandosi che < ai fini della risoluzione del rapporto ex art. 1456 codice civile >, essa dia luogo ad una ingiustificata ed irrazionale disparità di trattamento in danno del conduttore che abbia sanato integralmente la morosità in corso di causa. Poiché questi, non ostante appaia per tale suo comportamento meritevole di maggior favore, si troverebbe a non poter fruire del termine c.d. di grazia, di cui può invece beneficiare il conduttore tuttora moroso al momento della emissione del provvedimento di rilascio, anche se al contratto sia stata apposta clausola risolutiva espressa.

2. - Eccepisce preliminarmente l'Avvocatura dello Stato l'inammissibilità di detta questione, per difetto di rilevanza, argomentando che l'ipotesi (di integrale pagamento dei canoni scaduti prima del momento in cui dovrebbe emettersi il provvedimento di rilascio), rispetto a cui il giudice a quo formula il quesito di legittimità, non troverebbe riscontro nella fatti specie concreta. In cui il conduttore avrebbe invece pagato soltanto i canoni indicati nell'atto di citazione; per modo che non vi sarebbe ostacolo alla concessione del termine di grazia, con riguardo al pagamento dei canoni successivamente maturatisi.

L'eccezione non ha fondamento, giacche, contrariamente all'assunto dell'Avvocatura, risulta documentato nel fascicolo processuale ed anche il pretore ne dà atto nella premessa in fatto dell'ordinanza di rinvio che il convenuto aveva in effetti pagato tutte le somme dovute per contratto sino alla udienza di precisazione delle conclusioni.

3 -Ne l merito, la questione è fondata.

Con la precedente sentenza n. 150 del 1973, che il giudice a quo non ha mancato di ricordare, questa Corte, chiamata una prima volta a pronunziarsi sulla legittimità dell'art. 4, comma sesto, della legge 833 citata, ha invero escluso il già allora dedotto contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sostanzialmente in base al rilievo che il comportamento del conduttore che spontaneamente paghi nel corso del giudizio le pigioni scadute pur non rilevando ai fini della concessione del termine di grazia (effettivamente prevista con riguardo alla sola ipotesi di morosità persistente) resta comunque valutabile nel sistema emergente dall'art. 1453 e seguenti del codice civile, al fine della (eventuale) esclusione dell'importanza dell'inadempimento, cui è subordinata la risoluzione del contratto (art. 1455 cod. civ.).

Ma, rispetto alla situazione esaminata nella decisione citata, la fattispecie odierna riveste una connotazione del tutto peculiare, che dipende dalla presenza in contratto della clausola risolutiva espressa.

Il meccanismo di detta clausola (pacificamente applicabile alle locazioni anche in regime di proroga), comporta, infatti, che ove la parte interessata dichiari di avvalersene, il contratto per ciò solo si risolve di diritto (art. 1456 cod. civ.). Con la conseguenza che non può quindi il giudice, che la risoluzione è chiamato a dichiarare, prendere in alcuna considerazione l'eventuale scarsa importanza dell'inadempimento e, in tale contesto, il pagamento pur integrale dei canoni scaduti effettuato in corso di causa dal conduttore.

Per contro, nella stessa ipotesi di locazione con clausola risolutiva espressa, in quanto per costante giurisprudenza l’apposizione della detta clausola non è di ostacolo alla con cessione del termine di grazia ex art. 4 legge 833/1969, accade che l'inquilino rimasto moroso può essere ammesso a purgare la mora, con conseguente perdita di efficacia della sentenza.

Deve concludersi allora che effettivamente così come dal pretore rilevato si verifica, nel caso particolare del contratto di locazione con apposta clausola risolutiva espressa, una immotivata ed irragionevole disparità di disciplina, per Cui quelle stesse ragioni (quali le precarie condizioni economiche del conduttore insorte dopo la stipulazione del contratto), che possono in ipotesi, secondo l'apprezzamento del giudice, giovare al conduttore moroso per essere rimesso in termine a sanare la mora, non valgono invece ad evitargli la risoluzione della locazione ove egli già in corso di causa abbia spontaneamente pagato i canoni scaduti.

Nei limiti e nei termini indicati va, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma impugnata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara illegittimo l'art. 4, comma sesto, della legge 26 novembre 1969, n. 833 (Norme relative alle locazioni degli immobili urbani) in quanto, ricorrendo l'ipotesi di clausola risolutiva espressa, non consente al giudice di tener conto, ai fini del diniego del rilascio dell'immobile locato, e con gli stessi poteri di valutazione esercitabili per la concessione del termine di grazia, del pagamento integrale delle pigioni scadute effettuato dal conduttore nel corso del giudizio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/03/80.

Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo  VOLTERRA – Guido  ASTUTI – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Guglielmo  ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI

Giovanni  VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 25/03/80.