Sentenza n.7 del 1980
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SENTENZA N.7

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 13 r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, modificato dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218 (Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie), dell'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale) e dell'art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 26 febbraio 1976 dal pretore di Trento nel procedimento civile vertente tra Matteotti Franco e l'INPS, iscritta al n. 277 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 139 del 26 maggio 1976;

2) ordinanza emessa il 5 marzo 1976 dal pretore di Trieste nel procedimento civile vertente tra De Michelini Nerina e l'INPS, iscritta al n. 361 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 158 del 16 giugno 1976;

3) ordinanza emessa il 22 aprile 1977 dal tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra l'INPS e Sgaramella Rosa, iscritta al n. 285 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 218 del 10 agosto 1977;

4) ordinanza emessa il 18 aprile 1977 dal pretore di Pisa nel procedimento civile vertente tra Lupetti Orilia e l'INPS, iscritta al n. 388 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 286 del 19 ottobre 1977.

Visti gli atti di costituzione di Matteotti Franco, di Sgaramella Rosa e dell'INPS, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 ottobre 1979 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

uditi l'avv. Mattia Persiani, per Sgaramella e l'avv. Paolo Boer, per l'INPS e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.-I quattro giudizi relativi alle ordinanze in epigrafe sollevano la medesima questione di legittimità costituzionale, per cui vengono riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La Corte è chiamata a decidere della legittimità costituzionale dell'art. 13 del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, come modificato dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, a sua volta sostituito dall'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903, per la parte in cui subordina la riversibilità, in favore dei figli maggiorenni invalidi superstiti di lavoratore assicurato o pensionato INPS, alla condizione che l'inabilità sussista < al momento del decesso del genitore >.

Tale disposizione si assume in contrasto con l'art. 3 (dal tribunale di Bari richiamato anche in collegamento all'art. 38) della Costituzione, per l'irrazionale ed ingiustificata esclusione, dal trattamento pensionistico, dei figli superstiti maggiorenni inabili < da data successiva alla morte del genitore >;

argomentando anche dal fatto che l'analoga disciplina stabilita dalla legislazione pensionistica di guerra (art. 63 legge 1950 n. 648 e art. 51 legge 1968, n. 313) ha formato oggetto di declaratoria di illegittimità per contrasto con l'art. 3 della Costituzione e con riguardo proprio alla esclusione di rilevanza della inabilità successiva.

3.- La questione non è fondata.

La diversa valutazione fatta dalla legge, ai fini dell'attribuzione della pensione di riversibilità, della permanente inabilità al lavoro di soggetti maggiorenni, secondo che essa sia pregressa o successiva al decesso di genitore assicurato o pensionato dell'INPS, è invero giustificata dalla sostanziale diversità delle situazioni comparate, quale discende dall'esistenza, nell'un caso e non anche nell'altro, di un nesso di dipendenza causale tra lo stato di bisogno dell'inabile o l'evento morte del rispettivo genitore.

Nel sistema della pensione di riversibilità, lo stato di bisogno si pone, infatti, nei riguardi di categorie di superstiti del lavoratore come i figli maggiorenni e i collaterali, quale presupposto costante del trattamento pensionistico (vedi la sentenza n. 6 in pari data) ed esso viene a dipendere da una situazione pregressa di vivenza a carico del lavoratore defunto (cfr. anche Corte cost. 1963 n. 123) e dalla sua interruzione per effetto, appunto, del decesso.

Il trattamento di riversibilità realizza cioè una garanzia di < continuità > del sostentamento al superstite; in funzione della quale si spiega la decorrenza di detta pensione (non dal momento della domanda, come per le altre forme previdenziali, ma) dal primo giorno del mese successivo a quello in cui è avvenuto il decesso dell'assicurato o pensionato (art. 5 d.l.l. 18 gennaio 1945, n. 39).

Ora è di tutta evidenza che tali presupposti della riversibilità S1 verificano appunto nei riguardi del figlio maggiorenne, inabile al momento del decesso dell'assicurato o del pensionato.

Solo in questa ipotesi la vivenza a carico del genitore, in quanto non consistente in un mero fatto accidentale, ma dipendente dalle condizioni fisiche che impediscono di provvedere al proprio sostentamento, acquista rilevanza ai fini previdenziali in ragione della situazione di bisogno determinata dalla interruzione della detta fonte di sostentamento.

Gli stessi presupposti vengono invece a mancare nei rispetti degli orfani maggiorenni divenuti invalidi in epoca successiva (e potrebbe essere anche di molto) dal decesso del genitore; la eventuale situazione di bisogno dei quali ultimi viene a prospettarsi senza collegamento temporale e causale rispetto all'evento morte del familiare, in dipendenza unicamente della causa invalidante: come tale idonea eventualmente ad attivare altre più specifiche forme di tutela previdenziale.

Né vale in contrario l'argomento (formulato in comparsa e successive deduzioni della parte privata Sgaramella) che, nel caso di figli maggiorenni studenti, si darebbe rilievo, ai fini dell'attribuzione del trattamento di riversibilità, a requisiti verificatisi < anche in momenti successivi alla morte del genitore >. La disposizione all'uopo richiamata (e desunta da una circolare INPS del 24 marzo 1972) secondo cui la corresponsione della pensione a tali soggetti non viene revocata ma soltanto sospesa nei periodi di saltuaria attività lavorativa o di interruzione degli studi poi ripresi entro limiti di età fissati dalla legge attiene con tutta evidenza non già al conseguimento del diritto a pensione, sibbene soltanto agli effetti (valutati come sospensivi e non interruttivi) di determinati eventi o comportamenti rispetto ad un trattamento pensionistico già conseguito.

Infine, del pari privo di consistenza è l'ultimo argomento che si ritiene di trarre dal fatto che nella legislazione pensionistica di guerra, per effetto della ricordata sentenza n. 37 del 1975 di questa Corte, l'inabilità lavorativa rilevi, per i figli maggiorenni, indipendentemente dal momento di insorgenza.

Infatti, come si desume dalla motivazione della stessa sentenza citata, le ragioni poste a base di quella pronuncia sono peculiari al regime delle pensioni di guerra (e non pertinenti al diverso sistema delle assicurazioni generali obbligatorie), essendosi ritenuto che la uniformità di trattamento, senza riguardo all'epoca della insorgenza della inabilita, rispondesse all'esigenza < di ordine naturale ed etico >, propria della legislazione pensionistica di guerra, di assicurare < agli orfani di guerra, quali discendenti immediati del de cuius, un tratta mento di particolare favore >.

4.- Quanto all'art. 24 della legge 1969 n. 153, va osservato che esso, erroneamente richiamato dal pretore di Trento non attiene alla disciplina impugnata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636 (contenente disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria) modificato dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e sostituito dall'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), nella parte in cui subordina il diritto a pensione di riversibilità degli orfani maggiorenni inabili al lavoro alla condizione che l'inabilità sussista < al momento del decesso > del genitore, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione con le ordinanze in epigrafe indicate.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/01/80.

Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo  VOLTERRA – Guido  ASTUTI – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Guglielmo  ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI

Giovanni  VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 30/01/80.