Sentenza n. 140 del 1979
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 140

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Avv. Leonetto AMADEI , Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto legislativo luogotenenziale 18 gennaio 1945, n. 39 (Disciplina del trattamento di riversibilità delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per la invalidità e la vecchiaia) promossi con le seguenti ordinanze:

1. - ordinanza emessa il 25 gennaio 1977 dal pretore di La Spezia nel procedimento civile vertente tra Maggiani Miria e I.N.P.S., iscritta al n. 104 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 107 del 20 aprile 1977;

2. - ordinanze emesse il 7 febbraio 1978 dal pretore di Brescia nei procedimenti civili vertenti tra Bonichini Gemma e Bertoni Maria Delfina e I.N.P.S., iscritte ai nn. 201 e 202 del registro ordinanze 1978 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 172 del 21 giugno 1978;

3. - ordinanza emessa il 23 febbraio 1978 dal pretore di Ascoli Piceno nel procedimento civile vertente tra Venegoni Teresa e I.N.P.S., iscritta al n. 256 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 215 del 2 agosto 1978;

4. - ordinanza emessa il 14 novembre 1978 dal pretore di Piacenza nel procedimento civile vertente tra Cantarini Angela Maria e I.N.P.S., iscritta al n. 35 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 80 del 21 marzo 1979;

5. - ordinanza emessa il 30 gennaio 1979 dal pretore di Grosseto nel procedimento civile vertente tra Rotini Flavia e I.N.P.S., iscritta al n. 293 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 168 del 20 giugno 1979.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 ottobre 1979 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con numerose ordinanze di rimessione, emesse dai pretori di La Spezia, di Brescia, di Ascoli Piceno, di Piacenza e di Grosseto ed iscritte nel registro generale di questa Corte ai numeri 104 del 1977; 201,202,256 del 1978, e 35,293 del 1979, é stata sollevata, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 3, lett. a) del d.lg.luog. 18 gennaio 1945, n. 39, secondo cui le figlie del pensionato della previdenza sociale perdono il diritto alla pensione di riversibilità nel caso di susseguente matrimonio.

Premesso che la pensione di riversibilità spetta alle figlie inabili al lavoro che al momento della morte dell'assicurato o del pensionato risultino ancora a carico dei medesimi - l'ulteriore requisito della condizione di nubile essendo stato dichiarato illegittimo con sentenza di questa Corte n. 164 del 1975 - i giudici a quibus censurano l'impugnato disposto normativo per la parte in cui stabilisce, pur dopo la sentenza ora citata, che in caso di matrimonio successivo alla morte del pensionato o dell'assicurato, la figlia perda il già acquisito diritto alla pensione di riversibilità.

Osservano i giudici a quibus che gli argomenti svolti da questa Corte nella citata decisione dovrebbero condurre alla declaratoria d'illegittimità costituzionale della norma oggi impugnata, giacché in quella occasione la Corte dichiarò l'illegittimità dell'art. 2 dello stesso d.lg.luog. n. 39 del 1945, nella parte in cui escludeva dalla pensione di riversibilità le figlie maritate, pur se riconosciute inabili al lavoro ed ancora a carico del genitore al momento del decesso di quest'ultimo. Analoga disposizione caducatoria non sussisteva né sussiste per i figli titolari di pensione di riversibilità, né sarebbe determinante, ai fini della censurata revoca, il momento in cui le figlie abbiano contratto matrimonio, se prima o dopo il decesso del genitore.

Alcune delle ordinanze di rimessione soggiungono che la norma é conforme ad una realtà sociale e giuridica superata dal tempo, quella secondo cui la figlia, sposandosi, perderebbe la pensione perché l'obbligo del suo mantenimento passa a carico del marito; per converso il figlio che, con il matrimonio, assumeva l'obbligo di mantenere la moglie, conservava la pensione, concorrendo gli altri requisiti.

Con l'entrata in vigore del nuovo diritto di famiglia, secondo cui entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia, e della legge 903 del 1977, recante norme sulla assoluta parità tra uomini e donne in materia di lavoro, la disposizione impugnata non avrebbe più il suo fondamento sociale e razionale, e risulterebbe illegittima perché la diversità di disciplina che ne deriva, rispettivamente per i figli maschi o femmine, contrasterebbe inevitabilmente con l'art.3 Cost. risultando fondata soltanto sulla distinzione dei sessi.

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con atti di deduzioni depositati rispettivamente il 10 maggio 1977, l'11 luglio 1978; il 17 agosto 1978; il 10 aprile 1979; 10 luglio 1979, chiedendo dichiararsi l'infondatezza della questione proposta.

Osserva la difesa dello Stato che i mutamenti legislativi richiamati da taluni dei giudici a quibus appaiono ininfluenti nel caso di specie. L'art. 143 nuovo testo del c.c. fa riferimento alle sostanze e alla capacità professionali dei coniugi, mentre il presupposto della pensione di riversibilità é proprio l'assenza di sostanze e l'inabilità al lavoro; per lo stesso motivo la legge 903 del 1977 non é produttiva di effetti nella fattispecie che concerne i soli inabili al lavoro.

La difesa dello Stato contesta che i motivi posti a fondamento della decisione 164 del 1975 della Corte valgano a dimostrare l'illegittimità della norma oggi impugnata. Invero nella specie allora esaminata, la Corte rilevò che il matrimonio della figlia - permanendo le altre condizioni per l'acquisto della pensione di riversibilità - non poteva costituire elemento discriminativo diretto ad impedire il diritto alla pensione perché inidoneo, in sé e per sé considerato, ad escludere la vivenza a carico del genitore della figlia maritata, che anzi, nonostante le precedenti nozze, a seconda delle condizioni fisiche ed economiche del marito, poteva permanere a carico dell'assicurato o del pensionato al momento del suo decesso.

In tal caso appariva non razionale "che il figlio abbia riconosciuto il diritto e possa provare (la propria inabilità al lavoro e) la detta vivenza a carico, e che invece lo stesso diritto sia negato alla figlia e questa tale prova utilmente non possa fornire" (cit. sentenza n. 164/75).

Prosegue l'Avvocatura Generale rilevando che, in ogni caso, é il marito che deve provvedere al mantenimento della moglie inabile al lavoro e priva di sostanze; che nella normalità dei casi, ancor oggi, l'obbligo di contribuire alla necessità della famiglia grava principalmente sul marito e non sulla moglie; che la citata sentenza della Corte consente al massimo di distinguere tra i casi in cui il susseguente matrimonio avvenga con un marito idoneo o non idoneo ad assumere a suo carico la moglie. Da ciò l'infondatezza della questione così come prospettata.

Considerato in diritto

1. - Le sei ordinanze prospettano la medesima questione, sicché i relativi giudizi vanno riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - La Corte é chiamata a decidere se contrasti o meno con il principio costituzionale d'eguaglianza, l'art. 3 lett. a) del d.lg.luog. 18 gennaio 1945, n. 39, secondo cui il diritto a pensione di riversibilità dell'I.N.P.S., spettante, nel concorso dei requisiti di legge, alle figlie dell'assicurato o del pensionato defunto, cessa per effetto di susseguente matrimonio. Si dubita infatti che ciò realizzi un'ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei figli maschi, i quali, perdurandone i presupposti, mantengono la pensione di riversibilità in caso di matrimonio.

3. - La questione é fondata.

Le ordinanze di rimessione richiamano, a sostegno della illegittimità della norma oggi impugnata, le argomentazioni svolte dalla Corte nella sentenza n. 164 del 1975, con la quale venne dichiarata l'illegittimità dell'art. 2, secondo comma, del d.lg.luog. 18 gennaio 1945, n. 39, che richiedeva, ai fini dell'acquisizione della pensione di riversibilità per la figlia maggiorenne l'ulteriore qualità di nubile, oltre ai requisiti, comuni ai figli maschi, di inabilità al lavoro e di vivenza a carico del genitore al momento del suo decesso. Tale illegittimità é stata dichiarata dalla Corte proprio per eliminare una condizione diversificatrice tra orfane ed orfani, fondata esclusivamente sulla differenza di sesso.

La disposizione oggi censurata egualmente distingue tra orfani ed orfane giacché, una volta che sia stata riconosciuta la titolarità della pensione di riversibilità, commina la perdita di essa per susseguente matrimonio a carico della figlia e non del figlio. La norma, cosi discriminando, presuppone in maniera evidente che l'orfano, inabile al lavoro, titolare di pensione di riversibilità, deve conservare tale diritto ove si sposi per poter mantenere la moglie e la famiglia che viene a costituire. Viceversa il legislatore dell'epoca ritenne che l'orfana che fosse passata a nozze sarebbe stata mantenuta dal marito e quindi dovesse perdere la precedente pensione. Tale differenziazione non trova più giustificazione nella attuale realtà giuridica e sociale. Dopo l'entrata in vigore del nuovo diritto di famiglia e della legge 903 del 1977, i rapporti patrimoniali tra coniugi sono radicalmente mutati, essendo improntati a criteri di parità.

Comunque, ai fini del decidere assume rilievo determinante la circostanza che il figlio che si sposa mantiene la pensione di riversibilità, qualunque siano le capacità patrimoniali e lavorative della moglie, mentre la figlia perde in ogni caso tale diritto per susseguente matrimonio. É quindi evidente che la denunciata disparità di trattamento, essendo fondata meramente sulla diversità del sesso, risulta costituzionalmente illegittima, alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 lett. a) del d.lg.luog. 18 gennaio 1945, n. 39, nella parte in cui prevede la perdita della pensione di riversibilità alle figlie quando contraggono matrimonio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 novembre 1979.

Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 6 dicembre 1979.