Sentenza n. 99 del 1979
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SENTENZA N. 99

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Avv. Leonetto AMADEI , Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 5, lett. F, e 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283, modificata con legge 26 febbraio 1963, n. 441 (disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 dicembre 1974 dal Pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Berardi Caterina ed altro, iscritta al n. 82 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 88 del 2 aprile 1975;

2) ordinanze emesse il 3 e 12 novembre 1977 dal Pretore di Padova nei procedimenti penali a carico di Luni Angelo, Nalon Vero, Omeri Renzo, iscritte ai nn.92, 93, 94 del registro ordinanze 1978 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 109 del 19 aprile 1978.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1979 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Il Pretore di Roma, con ordinanza in data 19 dicembre 1974, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., degli artt. 5 lett. f e 6 legge 30 aprile 1962, n. 283, modificati con legge 26 febbraio 1963, n.441, laddove queste norme puniscono con arresto e ammenda la omessa indicazione a carattere chiaro e ben leggibile, della colorazione di sostanze alimentari.

Nella specie gli imputati erano accusati in base alle norme sopraindicate, per non aver indicato la colorazione artificiale di paste fresche che essi avevano preparato con l'impiego di un colorante consentito.

Il giudice a quo, ritenendo applicabili le pene previste dal citato art. 6 (ammenda ed arresto cumulativamente applicati), ha rilevato che tale trattamento sarebbe più grave di quello previsto per l'ipotesi di impiego di un colore non autorizzato in un alimento di cui sia consentita in genere la colorazione (ammenda, ai sensi dell'art. 10, terzo comma, della legge n. 283/62, modificato dalla legge n. 441/63). Ciò comporterebbe il superamento del limite della razionalità, nella pur discrezionale previsione dei trattamenti sanzionatori, con conseguente lesione del principio d'uguaglianza.

Le ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.

Nel giudizio avanti la Corte costituzionale é intervenuta l'Avvocatura dello Stato, osservando che "la disparità rilevata dal pretore di Roma fra il disposto degli artt. 5 lett. f) e 10 ultimo comma della legge 283/1962 é solo apparente in quanto la previsione dell'art. 10 ultimo comma per quanto riguarda le sostanze alimentari é già contenuta nell'art. 5 lett. f). Infatti, tali articoli, per la parte che interessa, stabiliscono, rispettivamente: "Chiunque produce, vende o comunque mette in commercio sostanze alimentari..., colorate con colori non autorizzati, é punito con l'ammenda da lire 200.000 a lire 5.000.000" (art. 10 u. c.) e "É vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari... f) colorate artificialmente quando la colorazione non sia autorizzata o, nel caso che sia autorizzata, senza l'osservanza delle norme prescritte e senza l'indicazione a caratteri chiari e ben leggibili, della colorazione stessa".

Da quanto predetto, in virtù del principio di specialità di cui all'art. 15 cod. pen., nel caso in esame, é il disposto dell'art. 5 lett. f), le cui pene sono previste nell'art. 6, che si applica e non quello dell'art. 10 ultimo comma, che, per evidente errore di tecnica legislativa, prevede una pena edittale diversa da quella già prevista, in misura più grave, dall'art. 5 lett. f) e art. 6.

2. - Un diverso profilo di contrasto con il principio di uguaglianza, in relazione agli stessi artt. 5, lett. f), e 6 della legge n. 283/62, é stato prospettato dal Pretore di Padova con tre ordinanze di identico contenuto, emesse il 3 e il 12 novembre 1977, in procedimenti penali a carico di persone imputate per avere omesso la indicazione dell'impiego di coloranti autorizzati.

Osserva il Pretore che, in forza delle norme in questione, sono puniti con la stessa pena il fatto grave dell'impiego di coloranti non autorizzati, che mette in pericolo la salute pubblica (l'autorizzazione é negata infatti ai coloranti nocivi), bene fondamentale della collettività, e l'omissione della formalità di indicazione dei coloranti consentiti, nonché il mancato rispetto delle norme regolamentari per l'impiego dei coloranti consentiti. E tanto maggiore appare l'ingiustizia del medesimo trattamento sanzionatorio, se si considera che tutte le altre fattispecie previste dall'art. 5 della legge citata (punite dall'art. 6) consistono in comportamenti che mettono in pericolo la salute pubblica. Inoltre, se per l'omessa osservanza delle norme sulle modalità di impiego, essendo almeno potenzialmente lesiva della salute pubblica, potrebbe in qualche modo giustificarsi il severo trattamento sanzionatorio, esso appare del tutto sproporzionato per l'omessa indicazione dei coloranti consentiti.

Vi sarebbe inoltre, secondo il giudice a quo, un'ulteriore ingiustificata disparità di trattamento, rispetto alle violazioni del regolamento generale d'esecuzione della legge n. 283/62 e dei vari regolamenti speciali, punite con l'ammenda fino a lire 500.000 in base all'art. 17 della legge citata. Ma poiché la violazione delle norme che riguardano l'impiego dei coloranti autorizzati e l'indicazione dell'impiego stesso sono sanzionate direttamente dall'art. 6 quarto comma, le violazioni al d.m. 22 dicembre 1967 in materia di impiego di coloranti sono punite dal citato art. 6 quarto comma e non dall'art. 17.

Orbene, vi sarebbe una disparità di trattamento ingiustificata tra i destinatari delle norme del citato regolamento, che ove violino dette norme sono soggetti alla sanzione dell'art. 6 quarto comma; e i destinatari delle norme degli altri regolamenti, soggetti alla più mite sanzione dell'art. 17.

L'Avvocatura dello Stato é intervenuta chiedendo il rigetto della questione di costituzionalità, pur concordando col giudice a quo sul punto che le norme denunciate puniscono con la stessa pena edittale violazioni più gravi e violazioni meno gravi rispetto al bene protetto.

Non si può trascurare, infatti, che anche le norme contenenti prescrizioni formali sono preordinate alla tutela della salute pubblica in quanto consentono il controllo da parte dei consumatori sull'uso di sostanze non autorizzate e sono dirette, rispetto ai divieti sostanziali, a prevenire anche situazioni di pericolo.

La diversa gravità dei fatti considerati, d'altra parte, potrà essere opportunamente valutata dal giudice nell'ambito della erogazione della pena, all'interno dei limiti edittali.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Roma, con ordinanza in data 19 dicembre 1974 e il Pretore di Padova, con tre ordinanze di identico contenuto in data 3 e 12 novembre 1977, sollevano, pur sotto profili diversi, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 lettera f) e 6 della legge 30 aprile 1962 n. 283, modificata dalla legge 26 febbraio 1963 n. 441, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

I quattro giudizi vanno, quindi, riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Per una corretta valutazione delle censure mosse dai giudici a quibus, giova riprodurre il testo delle disposizioni di legge denunziate, nonché di quelle la cui comparazione sorregge il dubbio di costituzionalità in relazione all'art. 3, primo comma, della Costituzione.

a) l'art. 5 lettera f) della legge 283 del 1962, fa divieto di "impiegare nella preparazione di alimenti e bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari:

...f) colorate artificialmente, quando la colorazione artificiale non sia autorizzata o, nel caso sia autorizzata, senza la osservanza delle norme prescritte e senza l'indicazione a caratteri chiari e ben leggibili della colorazione stessa.

Questa indicazione, se non espressamente prescritta da norme speciali, potrà essere omessa quando la colorazione é effettuata mediante caramello, infuso di truciolo di quercia, enocianina od altri colori naturali consentiti";

b) l'art. 6 della legge 283 del l962, sostituito dall'art. 4 della legge 26 febbraio 1963 n. 441, al quarto comma, recita:

"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, i contravventori alle disposizioni del presente articolo e dell'articolo precedente sono puniti con l'arresto fino ad un anno e con l'ammenda da lire 200.000 a lire 20.000.000".

c) l'art. 10, terzo comma della medesima legge 283/ 1962, modificata dalla legge 441/63, stabilisce: "Chiunque produce vende o comunque mette in commercio sostanze alimentari... colorate con colori non autorizzati é punito con l'ammenda da lire 200.000 a lire 5.000.000".

d) l'art. 17 della medesima legge 283/1962 dispone:

"I contravventori delle disposizioni contenute nel regolamento generale di esecuzione della presente legge e ai vari regolamenti generali sono puniti con l'ammenda fino a lire 500.000".

3. - Nell'interpretazione giurisprudenziale, presupposta anche dalle ordinanze di rimessione, l'art. 5 prevede come reato, nei casi di colorazione artificiale consentita, due distinte ipotesi: l'una consiste nell'inosservanza delle norme prescritte, e l'altra nell'omessa indicazione, a caratteri chiari e ben leggibili, della colorazione stessa. Quest'omissione é dunque già di per sé sufficiente a integrare il reato previsto dalla norma in esame. É stato inoltre chiarito che - ove la colorazione artificiale sia stata indicata, ma non con la formula "colorato con..." tassativamente prevista dal d.m. 22 dicembre 1967, art. 3 - la sanzione applicabile é quella di cui all'art. 17 della legge 30 aprile 1962, n. 283.

4. - La questione di costituzionalità degli artt. 5 lettera f) e 6 della legge 283/1962 e successive modificazioni, viene sollevata:

- dal Pretore di Roma, perché il fatto di chi colora sostanze alimentari colorabili, usando un colorante autorizzato, ma senza la prescritta indicazione (art. 5 lettera f) seconda ipotesi, seconda parte) sarebbe punito più severamente (con l'arresto e con l'ammenda, art. 6) del fatto di chi colora sostanze alimentari colorabili impiegando un colorante non autorizzato (sola ammenda, art. 6);

- dal Pretore di Padova (che conosce l'ordinanza di rimessione del Pretore di Roma e si astiene, perciò, dal riproporne il profilo) perché:

- l'art. 5 lettera f) prevede due distinte fattispecie punite, ex art. 6, con la medesima pena edittale; nonostante la loro ben diversa gravità, consistendo la prima nell'impiego di coloranti non autorizzati e la seconda nell'omissione della formalità di indicazione dei coloranti consentiti, nonché nell'inosservanza delle norme regolamentari per l'impiego dei coloranti consentiti;

- l'art. 6 punisce la violazione delle norme che regolano l'impiego dei coloranti autorizzati e l'indicazione dell'impiego stesso, contenute nel d.m. 22 dicembre 1967, più severamente di quanto l'art. 17 punisce l'inosservanza delle norme del regolamento generale e dei regolamenti speciali.

La questione, nei termini prospettati, non é fondata.

5. - Anzitutto, l'interpretazione dei disposti della legge 283/1962 presupposta dal Pretore di Roma non può essere condivisa. Tra le contravvenzioni di cui all'art. 10, terzo comma e quelle previste dall'art. 5 lettera f) non vi é concorso di norme, ma possibile concorso di reati. L'impiego di coloranti non autorizzati, infatti, illecito di per sé, non é concepibile se non in relazione (per quanto qui interessa) a sostanze alimentari e queste ultime si differenziano a seconda che ne sia consentita oppure no la colorazione. Perciò, quando taluna delle contravvenzioni previste dall'art. 5 lettera f) sia commessa con l'impiego di un colorante non autorizzato, si avrà concorso materiale di reati con la contravvenzione prevista dall'art. 10, terzo comma.

La comparazione proposta dal Pretore di Roma non é dunque idonea a configurare una irrazionalità della scelta legislativa e la sollevata questione di legittimità costituzionale deve dichiararsi infondata.

6. - Il Pretore di Padova, chiamato a giudicare soggetti imputati della contravvenzione di cui all'art. 5 lettera f) per aver messo in commercio sostanze alimentari colorabili, colorate con colorante autorizzato, ma senza l'indicazione del colorante usato, solleva la stessa questione di costituzionalità sotto due ulteriori e diversi profili.

Da un lato egli ritiene irrazionale che il fatto di chi colori sostanze delle quali sia autorizzata la colorazione, impiegando coloranti autorizzati ma senza osservare la norma prescritta e senza l'indicazione del colorante usato sia punito (a sensi dell'art. 6) più gravemente di quello di chi violi ogni altra disposizione del regolamento generale di esecuzione e dei vari regolamenti in materia. Dall'altro ravvisa una irrazionale parità di trattamento punitivo tra la fattispecie già descritta e quella di chi abbia impiegato coloranti non autorizzati. In quest'ultimo caso é evidente l'errore nella prospettazione del giudice a quo, posto che la prima parte dell'art. 5 lettera f) fa riferimento alla colorazione di sostanze alimentari delle quali non é autorizzata la colorazione e non all'uso di coloranti non autorizzati. Ma anche ricondotta la questione nei suoi termini esatti, ponendo cioé a confronto il fatto di chi colori con coloranti autorizzati sostanze delle quali non é autorizzata la colorazione e il fatto di chi colori sostanze delle quali é autorizzata la colorazione impiegando coloranti autorizzati ma senza osservare le norme prescritte o omettendo l'indicazione del colorante usato, non é dato ravvisare irrazionalità alcuna nell'eguale trattamento sanzionatorio previsto per le differenti fattispecie.

7. - Le disposizioni della legge n. 283 del 1962 e quelle del d.m. 22 dicembre 1967, e successive modificazioni, concernono "la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande". Le prescrizioni in esse contenute tendono a garantire la genuinità, il buono stato di conservazione, la pulizia, la innocuità delle manipolazioni consentite dei prodotti alimentari e impongono, perciò, l'osservanza di regole, ritenute generalmente valide, alla stregua dell'esperienza e delle conoscenze tecnico-scientifiche acquisite, al fine di scongiurare ogni pericolo per la salute. Nello stesso tempo, le norme in esame vogliono consentire agli organi di vigilanza, ma anche ai consumatori, di conoscere immediatamente e facilmente, se le sostanze alimentari sono state oggetto di manipolazioni, ad esempio, con l'impiego di coloranti, e di quali, per una scelta consapevole, anche in relazione alle condizioni soggettive del singolo consumatore.

Basta leggere l'elenco delle sostanze coloranti autorizzate, (Sez. A/I) allegato al regolamento emanato con d.m. 22 dicembre 1967 (in G.U. n. 28 del 1 febbraio 1968), le prescrizioni sulle caratteristiche fisico-chimiche e sui requisiti generali e specifici di purezza che tali coloranti devono possedere (Sez. A/II e A/III) l'indicazione dei diluenti (Sez. A/IV) per rendersi conto della delicatezza dei processi chimici che attraverso l'addizione dei coloranti vengono o possono essere determinati nelle sostanze alimentari; basta ancora por mente alla rapidità con cui nuove cognizioni scientifiche vengono ad aggiungersi alle precedenti, talvolta anche in modi radicalmente confliggenti, per riconoscere la opinabilità di qualsiasi valutazione comparativa, in termini di gravità, tra le diverse fattispecie di reato previste dalla legge 283/1962, in particolare quelle ivi definite all'art. 5 lettera f).

8. - Vero é che le contravvenzioni delle quali si tratta, costituiscono altrettanti reati formali, di pericolo presunto, essendo oggetto specifico della tutela penale la salute pubblica. Esse rappresentano una prima linea di difesa, superata la quale possono configurarsi (in presenza di un pericolo concreto) le ipotesi di reato previste, a tutela del medesimo bene, dal codice penale (artt. 440,442,444,452, secondo comma, ma anche 516 cod. pen.). Non é perciò irrazionale attribuire un analogo potenziale pericoloso a condotte che, pur nella loro diversità, sono ugualmente idonee ad indebolire taluno dei presidii avanzati posti dal legislatore a difesa della salute pubblica.

Ancora di recente (con sent. n. 26 del 1979) questa Corte, in armonia con le proprie precedenti decisioni sull'argomento, ha ribadito che "la configurazione della fattispecie criminosa e la valutazione della congruenza fra i reati e le pene appartengono alla politica legislativa: salvo, però, il sindacato giurisdizionale sugli arbitri del legislatore, cioé sulle sperequazioni che assumano una tale gravità da risultare radicalmente ingiustificate".

Questo non é certamente, per le ragioni indicate, il caso delle norme censurate, mentre la naturale diversa gravità dei fatti sui quali il giudice é chiamato a pronunciarsi, ben può essere apprezzata, attraverso una irrogazione differenziata della pena, entro i margini di discrezionalità consentiti al giudice medesimo.

Ai fini del presente giudizio, e con riferimento alle disposizioni di legge denunziate, alla stregua dell'invocato parametro, é sufficiente il rilievo che né l'uguale pena edittale comminata per differenti fatti di reato, né le eventuali disarmonie tra la, ritenuta ed opinabile, gravità comparativa di diverse figure d'illecito e la qualità e misura delle pene previste, appaiono tali da concretare quella oggettiva irragionevolezza delle norme considerate che sola potrebbe dar luogo ad una affermazione di incostituzionalità per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, lettera f), e 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283 (modificata dalla legge 26 febbraio 1963, n. 441), con riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1979.

Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 26 luglio 1979.