Sentenza n. 81 del 1979
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SENTENZA N. 81

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Avv. Leonetto AMADEI , Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 10 maggio 1976, n. 352, recante: "Attuazione della direttiva comunitaria sull'agricoltura di montagna e di talune zone svantaggiate", promossi con ricorsi della Regione Valle d'Aosta, delle Province autonome di Trento e Bolzano e della Regione Sardegna, notificati il 1, 3 e 5 luglio 1976, depositati in cancelleria il 9, 12 e 15 successivi ed iscritti ai nn. 26, 27,28 e 30 del registro ricorsi 1976.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 1979 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

uditi l'avvocato Gustavo Romanelli per la Regione Valle d'Aosta, l'avvocato Giuseppe Guarino per le Province autonome di Trento e Bolzano e per la Regione Sardegna ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

La legge 10 maggio 1976, n. 352, detta, in applicazione della direttiva n. 75/268 emanata il 28 aprile 1975 dal Consiglio della C.e.e., un regime di aiuti volto a preservare ed a incrementare l'attività agricola necessaria per il mantenimento di un livello adeguato di popolazione e per la conservazione dell'ambiente naturale delle zone montane e di talune zone svantaggiate. L'art. 1 della legge dispone che le Regioni disciplinino con proprie leggi e pongano in atto l'anzidetto regime: le Regioni a statuto ordinario - é detto nella disposizione testé citata - provvedono al riguardo entro sei mesi, ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonché a norma delle disposizioni poste nella stessa legge n. 352; le Regioni a statuto speciale, e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedono, dal canto loro, ai sensi dell'art. 116 della Costituzione, e a norma dei rispettivi statuti speciali, nonché a norma della direttiva comunitaria, alla quale viene data attuazione. L'art. 2 della legge conferisce, poi, al Consiglio dei ministri la facoltà di adottare i relativi provvedimenti in sostituzione degli organi regionali, qualora risulti, nei modi ivi previsti, un'accertata inattività di tali organi nel disciplinare con legge e nell'attuare il regime prescritto dalla direttiva, al punto di comportare inadempimento agli obblighi comunitari.

Avverso quest'ultima disposizione hanno proposto questione di legittimità costituzionale la Regione Valle d'Aosta, con ricorso 1 luglio 1976, le Province autonome di Trento e Bolzano, con ricorso 3 luglio 1976 e la Regione Sardegna, con ricorso 5 luglio 1976.

La Regione Valle d'Aosta deduce che la previsione del potere, o controllo sostitutivo dello Stato, confliggerebbe con gli artt. 2, 4, 48 del suo statuto speciale di autonomia, nonché con gli artt. 116, 117, 118 e 126 della Costituzione. Le direttive comunitarie, osserva la ricorrente, vincolano immediatamente, anche nella sfera dell'ordinamento interno, i soggetti interessati alla loro osservanza; gli organi regionali sono tenuti ad attuarle - come lo sono gli organi statali - nell'ambito delle rispettive competenze: restando fermo, però, che il rimedio contro le eventuali inadempienze della Regione deve essere compatibile con l'ordinamento costituzionale. Tale sarebbe, sempre che ne ricorrano gli estremi a norma della Costituzione e dello statuto della Valle d'Aosta, lo scioglimento del Consiglio regionale. In nessun caso sarebbe invece consentito, né potrebbe dunque essere introdotto con legge ordinaria, il controllo sostitutivo dello Stato nei confronti della Regione. Sarebbe poi infondata la pretesa, che l'Avvocatura generale ha avanzato in questa e in precedenti controversie, di riconoscere allo Stato il potere di attuare le direttive comunitarie, anche quando si tratti di materia attribuita, secondo Costituzione, alla competenza regionale.

Nella specie, la competenza primaria e costituzionalmente garantita alla Regione in materia di agricoltura, verrebbe progressivamente erosa dal crescente numero, oltre che delle norme, delle stesse direttive della C.e.e., dovendo queste ultime ricevere attuazione nell'ordinamento interno necessariamente per il tramite degli organi centrali.

L'incostituzionalità della disposizione impugnata sarebbe, inoltre, tanto più grave ed evidente, in quanto il potere sostitutivo dello Stato é istituito con riferimento all'inattività sia degli organi amministrativi, sia del legislatore regionale, ma affidato nell'uno e nell'altro caso al Consiglio dei ministri. Con ciò risulterebbe violata la sfera costituzionalmente assegnata alla Regione, e al tempo stesso verrebbe vulnerato, sul piano dell'organizzazione centrale dello Stato, il fondamentale principio della separazione dei poteri: il Governo viene investito di una funzione, la quale, anche se spettasse allo Stato, dovrebbe comunque ritenersi propria degli organi legislativi.

Analoghe considerazioni sono esposte nei ricorsi delle Province autonome di Trento e Bolzano e della Regione Sardegna: anche queste ricorrenti deducono l'incostituzionalità del citato art. 2 della legge 352 del 1976 per asserito contrasto con le norme che nei rispettivi statuti stabiliscono la loro competenza esclusiva in materia di agricoltura, e con il sistema costituzionale dei controlli, che circondano l'esercizio di tale competenza.

La Presidenza del Consiglio si é costituita in giudizio in data 16 luglio 1976, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. Questa Corte, sostiene l'Avvocatura, ha - sin dalla sentenza n. 46 del 1961 - ritenuto incontrovertibile il principio secondo cui spetta allo Stato, ed esclusivamente ad esso, eseguire gli obblighi internazionali nell'ordinamento interno. Essa deduce, dunque, che la competenza statale sussiste, anche quando la materia regolata dalla direttiva dovrebbe, come nel caso in esame, ritenersi attribuita alla Regione, se non operasse il limite degli obblighi internazionali. Questo limite sarebbe previsto negli statuti delle ricorrenti, e comunque connaturato al sistema delle autonomie, nel senso, non di presupporre la competenza delle Regioni, sia pure per vincolarne l'esercizio al rispetto delle prescrizioni comunitarie, ma di escluderla in radice. L'Avvocatura riconosce, tuttavia, che le norme e le stesse direttive comunitarie disciplinano sempre più largamente le materie oggetto delle competenze regionali, e che, dunque, la sfera di queste ultime competenze subisce una progressiva limitazione, mentre viene correlativamente ampliandosi quella delle competenze statali, necessarie per l'attuazione delle prescrizioni comunitarie nell'ordinamento interno. Senonché, proprio per prevenire siffatta conseguenza, la norma impugnata, e quelle analoghe di altre leggi statali di ricezione delle direttive comunitarie, avrebbero provveduto a distribuire le necessarie competenze attuative anche a favore delle Regioni. Così, nella specie, la legge n. 352 del 1976, lungi dal comprimere la sfera delle ricorrenti, sarebbe nel suo complesso diretta ad allargarla, e a meglio garantirla. Quanto al potere sostitutivo dello Stato, esso sarebbe previsto in quanto unico ed indispensabile mezzo per assicurare il rispetto degli obblighi comunitari, nelle ipotesi in cui le Regioni abbiano mancato di adempiervi. La soluzione, in questi termini sancita dal legislatore, troverebbe sicuro fondamento costituzionale nelle responsabilità di cui lo Stato é internazionalmente investito, ed, in definitiva, nel connesso potere di eseguire nell'ordinamento interno gli obblighi comunitari. La competenza statale, sulla quale riposerebbe la norma impugnata, riguarda, si assume, la sfera della legislazione non meno che quella della funzione amministrativa, e costituisce quindi il presupposto del potere sostitutivo riconosciuto al Consiglio dei ministri anche nell'inerzia del legislatore regionale. Si tratterebbe di un potere, di cui lo Stato dispone costituzionalmente, e che esso può delimitare, e demandare alle Regioni, nel modo ritenuto più opportuno. La natura della normativa che le Regioni sono abilitate ad emanare - di attuazione delle direttive comunitarie e, insieme, della legislazione nazionale - consentirebbe, infine, che il potere legislativo sia nella specie attribuito agli organi di Governo, anziché al Parlamento. La Regione Valle d'Aosta ha presentato una successiva memoria, sviluppando le tesi in precedenza sostenute. All'udienza pubblica, la difesa delle ricorrenti e l'Avvocatura dello Stato hanno insistito nelle rispettive deduzioni.

Considerato in diritto

1. - La Regione Valle d'Aosta, le Province autonome di Trento e Bolzano e la Regione Sardegna hanno con i ricorsi in epigrafe sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 10 maggio 1976, n. 352 ("Attuazione della direttiva comunitaria sull'agricoltura di montagna e di talune zone svantaggiate"), così testualmente formulato: "Qualora risulti un'accertata inattività degli organi regionali nel disciplinare con legge e nell'attuare il regime di aiuti prescritto nella direttiva n. 75/268 C.e.e., al punto di comportare inadempimento agli obblighi comunitari, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per l'agricoltura e foreste, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali, sentita la Regione interessata, ha facoltà di prescrivere un congruo termine alla Regione per provvedere, e di adottare, trascorso inutilmente il termine predetto, i provvedimenti relativi in sostituzione dell'amministrazione regionale, proponendo ove occorra le opportune variazioni di bilancio".

Tale disposizione viene censurata per asserito contrasto con gli artt. 116,117, 118 e 126 della Costituzione e con le norme che negli statuti speciali delle ricorrenti prevedono la competenza esclusiva della Regione, o Provincia autonoma, in materia di agricoltura, o governano i controlli dello Stato sull'esercizio dei poteri di autonomia: rispettivamente, gli articoli 2,4,48 dello statuto della Regione Valle d'Aosta; gli articoli 3, comma terzo, 8, n. 21, 16, 26, 33, 38, 49, 51 e 84 dello statuto della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e Bolzano; gli artt. 3, lett. d), 6,27, 31, 32, 34, 37 e 50 dello statuto della Regione Sardegna.

Il potere sostitutivo dello Stato costituirebbe un controllo statale sugli enti autonomi non previsto né consentito dall'ordinamento costituzionale, e abbraccerebbe peraltro l'intero ambito delle loro competenze, essendo previsto che esso operi con riferimento all'inattività non soltanto degli organi amministrativi, ma anche dei legislatori regionali. É inoltre dedotta la violazione del principio della separazione dei poteri: si assume che al Governo, facultato ad intervenire in sostituzione degli organi legislativi delle Regioni, verrebbe nella specie attribuita quella funzione normativa, la quale, posto che essa spetti allo Stato, sarebbe comunque propria del Parlamento. Rimarrebbe, così, anche preclusa la tutela giurisdizionale concessa alla Regione ex art. 32 della legge n. 87 del 1953, mediante l'impugnazione in via di azione delle leggi o degli atti aventi forza di legge dello Stato. Infine, il potere sostitutivo dello Stato sarebbe previsto in luogo dello scioglimento del Consiglio regionale; e con ciò si verrebbe altresì a precludere il ricorso al corpo elettorale, che segue allo scioglimento del Consiglio e che nella Costituzione e negli statuti speciali delle ricorrenti sarebbe preordinato come criterio risolutivo dei più gravi conflitti fra Stato e Regioni, in conformità del principio della sovranità popolare.

Data l'identità della questione, i giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La questione non é fondata. La disposizione censurata prevede il potere sostitutivo dello Stato con riferimento all'inattività vuoi degli organi amministrativi vuoi degli organi legislativi delle Regioni e Province autonome ricorrenti. Essa viene dunque in rilievo sotto due profili. Giova al corretto esame della specie indagarli distintamente.

3. - In altro giudizio, con sentenza n. 182 del 1976, questa Corte ha riconosciuto il fondamento costituzionale del potere sostitutivo del Governo - qual é configurato nell'articolo 27 della legge n. 153 del 9 maggio 1975 ("Attuazione delle direttive comunitarie per la riforma dell'agricoltura"), disposizione della cui legittimità si controverteva - in caso di "persistente inadempimento" degli organi regionali "nello svolgimento delle attività amministrative di attuazione delle direttive comunitarie". L'intervento sostitutivo del Governo, é stato detto con la pronunzia citata, non lede la sfera delle Regioni, nemmeno di quelle a statuto speciale. in quanto trova giustificazione nel generale interesse nazionale ad un puntuale e tempestivo adempimento degli obblighi comunitari nell'intero territorio dello Stato. Diversamente, non vi sarebbe nel nostro ordinamento alcun mezzo per rimediare alla mancata attuazione delle direttive della C.e.e. da parte delle Regioni, né, dunque, per prevenire la conseguente insorgenza di un illecito sul piano dell'ordinamento comunitario, della quale, in quanto soggetto di diritto internazionale, lo Stato é il solo responsabile. D'altra parte, tale considerazione, si impone nella specie a maggior ragione che nel caso previsto dall'art. 27 della legge n. 153 del 1975. Rispetto a quest'ultima norma, la disposizione qui impugnata aggrava infatti, evidentemente al fine di garantire la consultazione ed in definitiva la stessa autonomia della Regione interessata, le modalità richieste per l'intervento sostitutivo del Governo. Così, é prescritto il previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali, lo stesso organo che secondo Costituzione é sentito prima dello scioglimento del corpo legislativo della Regione, atto di penetrante ingerenza dello Stato nella sfera degli enti autonomi. Inoltre, il Governo é tenuto, sentita la Regione interessata, ad assegnarle un congruo termine per provvedere alla attuazione della direttiva, ed é facultato ad intervenire in sostituzione degli organi inadempienti soltanto dopo che detto termine sia inutilmente trascorso. Ed ancora: a giustificare l'intervento sostitutivo del Governo non basta il persistente inadempimento della Regione; deve trattarsi di inattività accertata, e protratta fino "al punto di comportare inadempimento agli obblighi comunitari". Occorre al riguardo osservare che le direttive comunitarie fissano di regola il termine entro il quale gli Stati destinatari sono tenuti ad attuarle nei rispettivi ordinamenti interni. Così accade nella specie. L'art. 17 della direttiva 76/268 del Consiglio della C.e.e., della quale la norma impugnata disciplina l'applicazione, dispone che gli Stati membri "pongono in essere" i necessari provvedimenti di attuazione "entro il termine di un anno a decorrere dalla sua notificazione". Ora, costituisce violazione di un obbligo comunitario, l'inosservanza non soltanto del contenuto precettivo della direttiva, ma anche del termine da essa stabilito per la sua applicazione nell'ordinamento dello Stato destinatario. Se si considera il necessario decorso temporale delle attività che nella specie devono precedere l'intervento del Governo, risulta chiaro che il potere sostitutivo é stato introdotto dove, in effetti, esso diviene indispensabile per sollevare lo Stato dalla responsabilità internazionale: siamo di fronte a un'ipotesi, che é stata rigorosamente circoscritta dal legislatore, e nella quale si può ragionevolmente presumere che - se gli organi dello Stato non fossero in grado di porvi rimedio - l'inadempienza della direttiva, risultante dall'inattività della Regione, sarebbe denunziata ed accertata nelle competenti sedi comunitarie, ai sensi degli artt. 169,170 e 171 del Trattato istitutivo della C.e.e.

Per le ragioni già spiegate nella sentenza n. 182 del 1976, é poi infondata la censura che nella specie sarebbe stato instaurato un controllo statale, non consentito dalla Costituzione e lesivo della sfera dell'autonomia, quindi delle competenze amministrative della Regione. Col prevedere l'intervento sostitutivo dello Stato, il legislatore ordinario non ha illegittimamente alterato il sistema dell'organizzazione costituzionale, e si é d'altronde uniformato ad un orientamento ormai costante della recente prassi normativa statuale con riguardo all'attuazione delle direttive comunitarie. Basta ricordare, in merito, che lo stesso schema della sostituzione del Governo alle amministrazioni regionali inadempienti, così com'é congegnato dalla disposizione censurata, figura, oltre che nel citato art. 27 della legge n. 153 del 1975, in altre disposizioni legislative di carattere generale: l'art. 1, comma terzo n. 5, della legge n. 382 del 22 luglio 1975 ("norme sull'ordinamento regionale e l'organizzazione della pubblica amministrazione"), in virtù della quale il Governo é stato delegato a trasferire alle Regioni, nelle materie a queste spettanti ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, le funzioni amministrative relative all'attuazione dei regolamenti della C.e.e. e di sue direttive; l'art. 6 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, emanato in attuazione della delega suddetta. Nel caso in esame, il legislatore statale ha voluto assicurare il pieno e tempestivo adempimento degli obblighi comunitari, ed ha provvisto gli organi centrali dello strumento che serve a questo scopo: esso ha disciplinato l'esercizio di un potere-dovere, che residua necessariamente allo Stato, anche quando la materia oggetto della direttiva comunitaria cada nell'ambito delle competenze trasferite, e non semplicemente delegate alla Regione. Come la Corte ha affermato nella sentenza n. 142 del 1972, il presupposto giustificativo di "ogni distribuzione" - e così anche del trasferimento - "dei poteri di applicazione delle norme comunitarie, che si effettui a favore di enti minori diversi dallo Stato" sta appunto in ciò, che gli organi centrali devono in ogni caso disporre degli strumenti idonei a rimediare all'eventuale inerzia delle Regioni, e garantire il buon adempimento degli obblighi, di cui lo Stato assume la responsabilità di fronte alla Comunità europea. Il potere sostitutivo del Governo trae così, nell'ambito dell'amministrazione regionale, specifico fondamento dalla competenza riconosciuta agli organi centrali nella sentenza da ultimo citata; e ciò sempre in ragione dei preminenti interessi dell'intera collettività statuale, che presiedono alla conclusione dei trattati internazionali ed alla loro esecuzione nell'ordinamento interno. Va inoltre osservato che il limite derivante dagli obblighi internazionali assunti dallo Stato, inerisce alla competenza di tutte indistintamente le Regioni. Ciò conferma che la norma impugnata non lede lo speciale statuto di autonomia di cui godono le ricorrenti.

4. - Analogo ordine di considerazioni conduce a ritenere l'infondatezza della questione anche con riferimento al potere sostitutivo dello Stato, che é previsto di fronte all'inerzia degli organi legislativi regionali. Le ricorrenti deducono che, così, é lesa la massima delle attribuzioni nella sfera loro riconosciuta e garantita. L'asserita violazione di questa sfera sarebbe, dunque, anche più rilevante che nell'altro caso, in cui il Governo é abilitato ad agire in sostituzione degli organi amministrativi delle Regioni. La difesa dello Stato contesta questa affermazione; essa si richiama all'incontrovertibile principio, enunciato in altra occasione da questa Corte (sentenza n. 46 del 1961), secondo cui l'esecuzione all'interno dello Stato, degli obblighi assunti nei rapporti con altri soggetti di diritto internazionale spetta, anche nelle materie che sarebbero altrimenti attribuite alla competenza regionale, esclusivamente agli organi centrali: e dunque al Parlamento, dove si tratti di modificare la legislazione preesistente, non soltanto dello Stato ma anche delle Regioni.

Senonché, la questione sottoposta alla Corte sorge sul particolare terreno dell'applicazione interna di un atto, che promana da un'organizzazione a carattere sovranazionale. Come é stato in precedenza avvertito (sentenza n. 183 del 1973; sentenza n. 232 del 1975; sentenza n. 182 del 1976), l'adesione dell'Italia alla C.e.e., e le limitazioni che nella sfera statuale ne discendono anche per i poteri degli enti autonomi, sono sicuramente fondate sull'art. 11 della Costituzione. Non si può, tuttavia, ignorare che il fenomeno della normazione, e specificamente delle direttive comunitarie, incide con crescente rilievo - e più largamente e frequentemente degli obblighi scaturenti dal diritto internazionale pattizio - sulle materie riservate alla competenza legislativa della Regione: specialmente nel settore qui considerato dell'agricoltura. Se i poteri necessari per la relativa attuazione nell'ordinamento interno fossero esclusivamente accentrati in capo al legislatore nazionale, ne seguirebbe - come ammette la stessa difesa dello Stato - l'erosione di quella sfera di autonomia che alle Regioni é invece garantita. E, dunque, una esigenza del nostro sistema costituzionale che l'attuazione in via legislativa delle direttive comunitarie non prescinda dall'osservanza dei fondamentali principi dell'autonomia e del decentramento: ma ad avviso della Corte tale esigenza é pienamente soddisfatta dal criterio secondo cui la norma impugnata ha previsto che le competenze normative occorrenti nella specie siano ripartite tra Stato e Regioni. Criterio razionale, peraltro, e suffragato dall'esperienza di sistemi stranieri, anche del tipo federale, nei quali l'intervento sostitutivo é lo strumento di cui dispongono gli organi centrali, se le unità costitutive della federazione non hanno tempestivamente adempiuto agli obblighi internazionali nella sfera delle proprie attribuzioni legislative. Nel nostro caso, il potere sostitutivo del Governo, pur con le opportune e idonee cautele che ne circondano l'esercizio, é il mezzo indispensabile per assicurare il pieno e tempestivo adeguamento della legislazione interna alle prescrizioni comunitarie. Anche qui, come nell'ambito della funzione amministrativa, si tratta dunque di un potere, che non travalica la sfera comunque riservata agli organi centrali: né vale ad inficiarne il fondamento costituzionale il rilievo delle ricorrenti che esso sia stato previsto nei confronti delle Regioni dotate di speciale autonomia, allo stesso modo che per le altre Regioni. Si può del resto osservare, se si guarda al contesto dell'atto legislativo in cui é posta la disposizione censurata, che le Regioni a statuto speciale, o le Province autonome rimaste inattive, disattendono l'obbligo di disciplinare con legge e di rendere operante il regime di aiuti prescritto dalla direttiva, mentre avrebbero potuto e dovuto adempierlo nell'esercizio dei propri poteri: poteri che la legge statale non ha affatto inteso disconoscere. Altra disposizione della legge n. 352 del 1976 distingue infatti, nel distribuire le competenze in attuazione della direttiva comunitaria, tra Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario. Le Regioni a statuto speciale, e le Province autonome di Trento e Bolzano, dispone l'art. 1 di detta legge, provvedono all'attuazione della direttiva "ai sensi dell'art. 116 della Costituzione", nonché "a norma dei rispettivi statuti speciali": il titolo della loro competenza é identificato dal legislatore in un'autonomia, differenziata da quella che é propria delle Regioni a statuto ordinario. In conseguenza, nella disposizione citata é anche detto che queste ultime Regioni provvedono in ordine alla direttiva "ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione". Peraltro, sono soltanto le Regioni a statuto ordinario, nel sistema della legge n. 352 del 1976, a dover attuare la direttiva in conformità delle norme, poste in questa stessa legge in aggiunta alle prescrizioni comunitarie, e che di queste concretano ulteriormente il disposto, sempre al fine di regolarne l'applicazione nell'ordinamento interno.

Fino a quando non opera il potere sostitutivo dello Stato, le ricorrenti sono, dunque, abilitate ad esercitare pienamente la propria autonomia, con il solo ed inevitabile limite del rispetto della direttiva comunitaria.

5. - La norma in esame é censurata anche sotto il riflesso del presunto contrasto con il principio della separazione dei poteri. Dato e non concesso che la competenza ad attuare la direttiva comunitaria possa nella specie legittimamente devolversi allo Stato - si osserva dalle ricorrenti - essa andrebbe comunque riconosciuta agli organi legislativi, laddove ne é investito il Consiglio dei ministri. Anche questa censura non é fondata. Dal combinato disposto della norma impugnata e del citato art. 1 della stessa legge n. 352 del 1976, risulta che le disposizioni poste da questa legge in attuazione delle prescrizioni, dal canto loro già dettagliate, della direttiva comunitaria, vincolano non soltanto le Regioni a statuto ordinario, ma anche il Consiglio dei ministri: e lo vincolano, precisamente, nel momento in cui esso, ricorrendone i presupposti, emana i provvedimenti normativi che rimediano all'inerzia degli organi legislativi di tutte le Regioni inadempienti, non importa se a statuto speciale o a statuto ordinario. L'esercizio del potere sostitutivo dello Stato viene, quindi, necessariamente a concretarsi in una normazione, la quale, per i limiti che ne condizionano la potenzialità precettiva, e per i caratteri di secondarietà e di dipendenza che deve assumere nei confronti della legge statale, non eccede la sfera della competenza regolamentare del Governo.

6. - Nessun fondamento ha poi l'assunto che, una volta emanate le norme di attuazione della direttiva comunitaria da parte del Governo, le ricorrenti rimarrebbero prive della tutela giurisdizionale loro garantita dalla legge 11 marzo 1953, n. 87. É vero che, a norma dell'art. 32 di quest'ultima legge, le Regioni, che lamentino l'invasione della propria sfera di competenza, possono promuovere la questione di costituzionalità soltanto avverso leggi, od atti aventi forza di legge, dello Stato. Le ricorrenti trascurano, tuttavia, che, quando ad invaderne la sfera sia un atto del Governo, é concesso alla Regione di promuovere conflitto di attribuzione, come dispone l'art. 39 della stessa legge n. 87 del 1953 da esse invocata. Infine, é ugualmente infondato che la disposizione censurata, come si assume nel ricorso della Valle d'Aosta, possa in qualche modo confliggere con il principio della sovranità popolare, precludendo il ricorso allo scioglimento del Consiglio regionale, e la conseguente consultazione del corpo elettorale. L'esercizio del potere sostitutivo dello Stato, qual é configurato dalla norma in esame, non può produrre il lamentato effetto preclusivo, né altrimenti influire sullo scioglimento del Consiglio regionale, che é diverso istituto, ha autonoma sfera di applicazione ed altre finalità da quelle perseguite dal legislatore nella specie: né può quindi la norma censurata ostare per alcun verso all'applicazione del principio della sovranità popolare.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 10 maggio 1976, n. 352 "Attuazione della direttiva comunitaria sull'agricoltura di montagna e di talune zone svantaggiate", promossa con i ricorsi indicati in epigrafe dalla Regione Valle d'Aosta, dalle Province autonome di Trento e Bolzano, e dalla Regione Sardegna, in riferimento agli artt. 116, 117,118 e 126 della Costituzione; 2,4,48 dello statuto della Regione Valle d'Aosta; 3, comma terzo, 8, n. 21, 16, 26, 33, 38, 49, 51 e 84 dello statuto della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e Bolzano; 3, lett. d), 6, 27, 31, 32, 34, 37 e 50 dello statuto della Regione Sardegna.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio

Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 26 luglio 1979.