Sentenza n. 38 del 1979
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SENTENZA N. 38

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Leonetto AMADEI, Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 31 maggio 1975, depositato in cancelleria l'11 giugno successivo ed iscritto al n. 18 del registro 1975, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del telegramma del 24 marzo 1975 del Presidente della Regione Puglia e del decreto Presidenziale di pari data relativo allo scioglimento del Consiglio di amministrazione dell'Ente ospedaliero di Campi Salentina.

Visto l'atto di costituzione della Regione Puglia;

udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 1979 il Giudice relatore Edoardo Volterra;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri, e l'avv. Oscar Casini, per la Regione Puglia.

Ritenuto in fatto

Con atto notificato il 31 maggio 1975 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, solleva conflitto di attribuzione contro la Regione Puglia, conflitto derivante dal telegramma del 24 marzo 1975 del Presidente della Regione e dal decreto presidenziale di pari data, relativi allo scioglimento del consiglio di amministrazione dell'Ente ospedaliero di Campi Salentina.

Osserva infatti che il Presidente della Giunta regionale col citato decreto 24 marzo 1975, n. 1223, scioglieva il Consiglio d'amministrazione dell'Ospedale suddetto procedendo alla nomina di un commissario straordinario, a norma dell'art. 17 della legge 12 febbraio 1968, n. 132; che con contestuale telegramma il Presidente della Regione, nel comunicare l'emanazione del decreto, annunciava al commissario del governo che i relativi atti non venivano inviati alla Commissione di controllo in quanto concretizzanti una forma di controllo sostitutivo su enti ospedalieri. Aggiunge che un analogo decreto del Presidente della Regione era stato regolarmente inviato al controllo della commissione, la quale lo aveva annullato. In relazione a tale annullamento la Regione aveva proposto conflitto di attribuzione dichiarato inammissibile per tardività dalla Corte costituzionale con sentenza n. 21 del 1975.

La Regione ha ora riadottato il provvedimento, e, per evitarne l'annullamento, sostiene che esso é sottratto al controllo dello Stato.

Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta la violazione degli artt. 125 della Costituzione e 45 della legge 10 febbraio 1953, n. 62. Rileva infatti che l'art. 125 non distingue tra atti da assoggettare al controllo e, mentre può riconoscersi l'esclusione implicita di certi atti in quanto espressione di potere politico e non amministrativo, non può ammettersi altra forma di esclusione, come si evince anche dal fatto che la legge 6 dicembre 1973, n. 853, ha dovuto positivamente determinare quali atti dei consigli regionali, organi dotati di autonomia organizzativa e politica, siano esenti dalla revisione della Commissione.

Richiama ancora la sentenza della Corte n. 178 del 1973, in merito alla nomina di organi di straordinaria amministrazione, con la quale si é affermato implicitamente la necessità di un controllo di simili atti. Aggiunge infine che, anche sotto un profilo teorico, non é del tutto esatto l'assunto per cui il controllo sostitutivo esercitato dalla Regione non sia una sorta di amministrazione attiva, trattandosi di un'interferenza della Regione sull'organizzazione dell'Ente controllato, realizzandosi così una forma di amministrazione attiva sulle strutture.

2. - Dinanzi alla Corte costituzionale si é costituito il Presidente della Regione Puglia, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Sorrentino, per resistere al ricorso promosso dal Presidente del Consiglio.

La Regione obietta che la legge n. 62 del 1953 riferisce il controllo alle sole deliberazioni, atti di organi collegiali della Regione, in quanto secondo il disegno costituzionale concretizzato dagli Statuti, l'attività amministrativa attiva delle Regioni é svolta da organi collegiali. L'atto individuale del Presidente della Regione Puglia, oggetto del ricorso, sarebbe quindi perciò sottratto al controllo della Commissione dello Stato.

Ma più ampiamente la Regione afferma che é inesatto che la legge non possa escludere dal controllo determinate categorie di atti: al contrario occorre affermare che l'art. 125 della Costituzione affida alla legge stessa la determinazione dei modi e dei limiti del controllo (come del resto ha fatto la legge n. 853/1973). In particolare dovrebbero ritenersi esclusi da ogni forma di controllo - perché, sebbene non espressamente disposto, repugnante al sistema delle autonomie regionali - tutti gli atti di controllo della Regione, equivalendo un controllo sul controllo ad un riesame completo del controllo effettuato in primo grado, che contraddirebbe alla natura dei rapporti tra Stato e Regione. Inoltre accadrebbe che l'organo statale, attraverso la revisione delle manifestazioni di controllo provenienti dalla Regione, finirebbe per controllare gli atti o gli organi degli enti sottoposti al controllo di queste. Il che svuoterebbe di contenuto la potestà regionale e nello stesso tempo altererebbe gravemente il sistema dei controlli previsti dalla Costituzione, la quale ha voluto affidare alla Regione stessa il controllo esclusivo su alcune categorie di Enti. Talché, a questa stregua, dovrebbe ammettersi il controllo sugli atti con cui il Comitato Regionale di controllo annulla o approva i provvedimenti degli Enti locali o di altri Enti soggetti a vigilanza o a tutela regionale.

3. - Il ricorso in oggetto é stato discusso (congiuntamente al n. 20/1975) nell'udienza del 25 febbraio 1976.

La Corte costituzionale, con provvedimento istruttorio n. 74/ 1976, riservata ogni pronuncia sul rito e sul merito della causa, ordinava alla Regione Puglia il deposito del decreto del Presidente della Giunta regionale 24 marzo 1975, n. 1223 e della delibera della Giunta regionale 14 marzo 1975, n. 89/B.

La Regione Puglia provvedeva al deposito di questi atti, in data 10 gennaio 1979 e 15 gennaio 1979.

Considerato in diritto

1. - oggetto del presente conflitto di attribuzione promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri é il telegramma 24 marzo 1975 del Presidente della Regione Puglia, diretto al Commissario di Governo, con il quale si comunicava che con decreto presidenziale 24 marzo 1975, n. 1223, adottato in esecuzione della delibera della Giunta regionale 14 marzo 1975, n. 89/B, era stato sciolto il Consiglio di Amministrazione dell'Ente ospedaliero Campi Salentina ed era stato nominato un commissario per la provvisoria gestione dell'Ente e che entrambi gli atti non erano stati inviati alla commissione di controllo, in quanto, a parere della giunta regionale non sono soggetti al controllo della commissione, concretizzando una forma di controllo sostitutivo su organi ospedalieri, commesso alla regione dall'art. 17 della legge 12 febbraio 1968, n. 132. Con il medesimo ricorso il Presidente del Consiglio impugnava anche il citato decreto del Presidente della regione.

Il provvedimento di scioglimento del consiglio di amministrazione del predetto ente era già stato deciso dalla giunta regionale con atti n. 1434 del 7 settembre 1973; n. 1930 del 12 novembre 1973; n. 138 del 4 febbraio 1974 tutti annullati dalla commissione di controllo con la motivazione che non ricorreva alcuna delle ipotesi previste tassativamente dallo art. 17 della legge n. 132 del 1968.

Contro la deliberazione 12 marzo 1974 con cui la commissione di controllo annullava la citata deliberazione 4 febbraio 1974, n. 138 della giunta regionale e il conseguente decreto del presidente della giunta 20 febbraio 1974, n. 498, questo ultimo proponeva conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato avanti questa Corte, la quale con sentenza n. 21 del 1975 dichiarava inammissibile il ricorso per tardività.

2. - Il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri appare fondato.

La difesa della regione insiste sull'interpretazione dell'articolo 45, primo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62, stabilente che le "deliberazioni" degli organi regionali divengono esecutive se la Commissione di controllo non ne pronunzia l'annullamento nel termine di venti giorni. Assume infatti che il termine "deliberazioni" avrebbe il significato lessicale di risoluzioni adottate da organi collegiali e quindi che in base alla citata norma sarebbero esclusi dal controllo di legittimità gli atti emanati dagli organi monocratici della Regione: in particolare i provvedimenti dei Presidenti delle Giunte.

Tale interpretazione, che investe il problema generale del controllo di tutti gli atti monocratici delle regioni, non é da accogliersi in base a varie e convergenti considerazioni, risultando superfluo addentrarsi nel problema della compatibilità con l'art. 125 della Costituzione di disposizioni che sottraessero al controllo specifiche categorie di atti amministrativi.

a) In primo luogo l'interpretazione in esame non si confà con il significato lessicale del termine. Infatti tanto la parola italiana "deliberazione" quanto la latina deliberatio dalla quale la precedente deriva, indicano una decisione individuale o collettiva effettuata ponderatamente con la libertà di scelta fra più vie da seguire. I filologi, sin dal XVII secolo, danno rilievo all'elemento della libertà (Nam deliberat cui libertas est eligendi aliquid e duobus). Per esempi di scrittori italiani sull'uso della parola ad indicare decisione di un singolo individuo basta citare il Convivio di Dante ("Ad esso (consiglio) m'accostai per più fiate, ch'io deliberai..."). Tommaseo e Fanfani individuano efficacemente il valore lessicale del termine: "Usare la libertà nell'eleggere un partito dopo vedutene le ragioni seco stesso o con altri".

b) Ad escludere l'interpretazione restrittiva dell'art. 45 della legge 62 del 1953 vi é la constatazione che il termine "deliberazioni" é usato dal legislatore italiano in altri testi normativi ad indicare un provvedimento di un organo monocratico e non soltanto nell'ipotesi in cui quest'ultimo si sostituisca all'organo collegiale. Fra l'altro, la stessa legge 62 del 1953, la quale all'art. 55, terzo comma, indica con la parola "deliberazione" un atto del Presidente della Giunta regionale, gli artt. 280, 310, 313, 339, della legge comunale e provinciale del 1934, gli artt. 317 e 324 di quella del 1915; gli artt. 1 e 9 del d.l. 20 ottobre 1942, n. 1182; l'art. 5 della legge 17 luglio 1890, n. 6972; gli artt. 1, 5,8 del D.L.L. del 9 novembre 1945, n. 720.

c) Ma a parte i profili esegetici, motivi d'ordine logico e sistematico portano a ricomprendere nel termine "deliberazioni" di cui al più volte citato art. 45 anche gli atti di organi monocratici. Come giustamente afferma l'Avvocatura dello Stato, sono infatti gli atti degli organi individuali non formati attraverso la dialettica propria degli atti di organi collegiali, a richiedere in misura maggiore il controllo e pertanto sarebbe incongruo escluderlo proprio per la categoria in esame. Inoltre, altrimenti opinando, la Regione, attraverso la distribuzione delle competenze previste nei vari statuti, le attribuzioni di potere, le deleghe e le subdeleghe previste da leggi statali e regionali ad organi regionali individuali (sistema la cui legittimità nella specie non viene in discussione), verrebbe a determinare, in certa misura, quali dei suoi atti debbano essere sottoposti a controllo.

Può anche aggiungersi che tale interpretazione porterebbe ad una non giustificata disparità di trattamento delle regioni a statuto speciale rispetto a quelle a statuto ordinario, essendo le prime sottoposte anche per gli atti amministrativi emanati da organi individuali al controllo di legittimità della Corte dei Conti, le seconde invece esentate da ogni controllo statale per gli atti di qualsiasi natura emanati da organi monocratici.

L'interpretazione restrittiva dell'art. 45 é esclusa infine anche dalla giurisprudenza amministrativa.

3. - Ulteriore questione sollevata dalla difesa della Regione verte sulla legittimità del controllo della Commissione sugli atti compiuti dal Presidente della regione in forza dell'art. 17 della legge 12 febbraio 1968, n. 132. Si osserva infatti che il potere attribuito da questo articolo al Presidente della Regione di sciogliere con decreto motivato il consiglio di amministrazione di un ente ospedaliero si concreterebbe in un'attività di controllo esclusivo assegnata dalla legge al Presidente della regione e pertanto, ove si ammettesse l'assoggettabilità del provvedimento di scioglimento al sindacato della apposita commissione, si riconoscerebbe allo Stato una facoltà di controllo sulla funzione di controllo propria del Presidente della Regione. Ciò equivarrebbe ad ammettere un controllo di secondo grado che importerebbe un riesame completo di quello di primo grado effettuato dalla Regione; il che contraddirebbe alla natura dei rapporti fra Stato e Regione con violazione degli artt. 125 e 130 della Costituzione, svuotando di contenuto la potestà regionale e alterando il sistema costituzionalmente previsto.

Nella specie tale tesi non appare fondata e va pertanto disattesa.

Il citato art. 17 della legge 12 febbraio 1968, n. 132, correttamente interpretato nella sua dizione letterale e nel suo contenuto, attribuisce al Presidente della Regione anche la facoltà di esplicare atti (e tale é quello che viene oggi in considerazione) che questa Corte, con la sentenza n. 178 del 1973, ha definito di amministrazione attiva. Tale funzione costituisce esercizio di potere di supremazia (cfr. sent. numeri 14 del 1960, 40 del 1961 e 128 del 1963) e, come la Corte ha ritenuto nella richiamata decisione n. 178 del 1973, trova la sua fonte non nell'art. 130, ma negli articoli 117 e 118 della Costituzione (assistenza sanitaria e ospedaliera).

Anche sotto questo profilo risulta indubbio che l'atto compiuto dal Presidente della Regione in virtù dell'art. 17 della legge n. 132 del 1968 va assoggettato alla Commissione di controllo.

4. - L'accertata inconsistenza dei motivi addotti dalla Regione conduce all'annullamento del telegramma del Presidente della Regione Puglia, in quanto espressione formale di univoca volontà, diretta a sottrarre dal controllo i provvedimenti più volte citati (sent. n. 164/1963).

Questi ultimi, invece, non contenendo analoga manifestazione di volontà, e restando inefficaci fin quando la Commissione governativa di controllo non avrà esperito il suo sindacato, non possono essere oggetto del richiesto annullamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta allo Stato il controllo di legittimità previsto dall'art. 125 della Costituzione sugli atti amministrativi degli organi monocratici e sugli atti di cui in motivazione previsti dall'art. 17 della legge 12 febbraio 1968, n. 132, emanati dalla Regione Puglia, e per conseguenza annulla il telegramma del Presidente della Regione Puglia al Commissario di Governo in data 24 marzo 1975.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 1979.

Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 1 giugno 1979.