Sentenza n. 27 del 1979
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SENTENZA N. 27

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Leonetto AMADEI, Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'articolo unico, ultimo comma, della legge 31 ottobre 1966, n. 941 (Modifiche in materia d'imposta generale sull'entrata al trattamento tributario delle acque e bevande gassate, delle acque minerali naturali, medicinali o da tavola), promossi con ordinanze emesse il 15 novembre 1974 e il 10 gennaio 1975 dalla Corte d'appello di Torino nei procedimenti civili vertenti tra l'Amministrazione delle Finanze e la ditta fratelli Garbarino Fonti Feja, iscritte ai nn. 24 e 224 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 41 e 202 dell'anno 1975.

Visti gli atti di costituzione del Ministero delle finanze, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 4 aprile 1979 il Giudice relatore Edoardo Volterra;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per il Ministero delle finanze.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del giudizio di appello, avverso l'accoglimento di una opposizione contro ingiunzione dell'Ufficio del registro per pagamento di somma dovuta a titolo di I.G.E. e di interessi moratori, vertente tra l'Amministrazione delle Finanze dello Stato e la ditta F.lli Garbarino - Fonti Feja, la Corte d'appello di Torino con ordinanza collegiale 15-24 novembre 1974 riteneva non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 23 e 53 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 31 ottobre 1966, n. 941.

Osservava che con tale legge si era autorizzato il Ministro delle Finanze ad adottare, rispetto ai prodotti dalla stessa contemplati (acque minerali), il sistema di imposizione ad aliquote condensate, in forza del quale l'imposta viene corrisposta "una tantum" e in misura tale da coprire presuntivamente quanto sarebbe dovuto qualora fossero tassati tutti i passaggi delle merci e dei prodotti anteriori e posteriori all'atto indicato come generatore del debito tributario. Secondo la Corte si tratta di una scelta di politica tributaria perfettamente legittima, che riguarda essenzialmente il modo di esazione, in quanto, se pure colpisce un solo atto economico e, quindi, un solo oggetto, non comporta imposizione maggiore di quella che risulterebbe dalla tassazione dei singoli passaggi e fa salvo al soggetto colpito il diritto di rivalsa, esercitabile anche mediante la maggiorazione del prezzo.

In linea astratta e generale - rileva ancora la Corte di Torino - non può nemmeno ritenersi viziato da contraddizione con il principio di legalità il metodo, prescelto dall'ultimo comma dell'articolo, per stabilire il quantum imponibile: che si debba far riferimento ai prezzi medi di vendita praticati dalle diverse categorie di operatori economici interessati, in quanto il ricorso a presunzioni, particolarmente nel caso di fatti di difficile accertamento, rappresenta pur sempre metodo congruo e idoneo al conseguimento della verità giuridica da identificare.

Senonché, secondo la Corte torinese, la norma in esame, nel conferire al Ministro delle Finanze (o, per esso, agli Intendenti di Finanza) il mandato di stabilire "i prezzi medi di vendita" avrebbe omesso di indicare i criteri, i modi e il procedimento da osservarsi nella emanazione dell'atto di accertamento, il quale verrebbe così ad assumere non più la natura di atto di discrezionalità tecnica, ma di discrezionalità pura, incompatibile con il principio della riserva di legge operante in tema tributario. Infatti, sarebbe evidente che con il conferimento di una discrezionalità tanto ampia, i confini posti alla legittimità formale dell'atto verrebbero siffattamente ampliati da rendere praticamente vano il ricorso a quei mezzi giurisdizionali di impugnazione (formalmente fatti salvi nella specie, onde la manifesta infondatezza dell'eccezione di incostituzionalità sotto il profilo dell'art. 113 Cost.) nei confronti degli atti amministrativi la cui legittimità va pur sempre giudicata sulla scorta della legge nella quale essi trovano la loro fonte. Con la conseguenza - secondo la Corte torinese - che, senza possibilità di contrasto da parte del contribuente, riceverebbero crisma di legittimità formale anche quegli atti dell'Amministrazione nei quali la discrezionalità travalichi in arbitrio, con violazione dell'art. 23 della Costituzione, laddove sancisce il principio della riserva di legge in tema tributario, giacché la norma in esame demanderebbe all'autorità amministrativa di stabilire un presupposto oggettivo dell'imposta senza delimitarne la discrezionalità.

Sarebbe poi violato anche l'art. 53 Cost., in quanto si attribuirebbe all'autorità amministrativa il potere sostanziale di stabilire uno dei presupposti quantitativi dell'imposta con criteri estranei alla capacità contributiva del soggetto gravato. Infatti la mancanza di limiti alla predetta discrezionalità, renderebbe praticamente impossibile al soggetto gravato la previsione circa l'ammontare dell'imposta, gli impedirebbe l'esercizio della facoltà di rivalsa (esercitabile anche mediante maggiorazione dei prezzi) e porrebbe così l'onere tributario unicamente sul soggetto medesimo, indipendentemente dalla sua capacità contributiva come sopra identificata.

2. - L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

Dinanzi alla Corte costituzionale si é costituito il Ministro delle Finanze ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato.

Nel ricordare come si é pervenuti all'emanazione della denunziata legge n. 941 del 1966 (a seguito cioè di pronunzie giurisdizionali che contestavano, nel sistema anteriore, la legittimità della determinazione del prezzo di vendita delle acque minerali da parte del Ministro), l'Avvocatura chiede che la questione venga dichiarata manifestamente infondata.

Ciò in base alla considerazione che la riserva relativa di legge, contenuta nell'art. 23 della Costituzione, sarebbe pienamente soddisfatta dal riferimento fatto dalla norma impugnata ai "prezzi medi" di vendita e cioè non a prezzi qualunque, ma a prezzi che ineriscono ad una situazione di fatto facilmente accertabile, senza bisogno di particolari indicazioni legislative, circa i criteri per la sua rilevazione. D'altra parte il contribuente può sempre contestare l'accertamento di tali prezzi effettuato dall'Amministrazione, essendo stata riconosciuta la giurisdizione dell'A.G.O., sia dalla giurisprudenza della Cassazione che da quella di questa Corte (sent. n. 83/1968), in ordine a questioni di estimazione semplice in materia di imposta sull'entrata.

Dall'inconsistenza della violazione dell'art. 23 discenderebbe poi anche l'assenza di ogni contrasto col principio della capacità contributiva (art. 53 della Costituzione), in quanto l'ammontare dell'imposta risulterebbe proporzionale agli atti economici posti in essere dal soggetto obbligato.

3. - ordinanza di identico contenuto veniva emanata dalla Corte d'appello di Torino in data 10 gennaio 1975, in un giudizio vertente tra le stesse parti. L'Avvocatura dello Stato, intervenuta anche in questo giudizio, concludeva nel senso già ricordato.

Considerato in diritto

1. - I due giudizi di cui alle ordinanze in epigrafe vanno riuniti e decisi con un'unica sentenza, stante che sollevano identiche questioni di legittimità costituzionale in ordine all'unico articolo della medesima legge.

2. - Nelle sue ordinanze di remissione il giudice a quo, dopo aver rilevato che l'articolo unico della legge 31 ottobre 1966, n. 941, conferisce espressamente al Ministro delle Finanze il potere di determinare o di far determinare dagli Intendenti di Finanza annualmente, anche all'infuori delle dichiarazioni dei contribuenti, i prezzi medi delle acque minerali e prodotti similari, quale base per l'accertamento dell'imponibile ai fini dell'I.G.E. (ora soppressa), potere che la Corte di cassazione con costante giurisprudenza affermava non attribuito dalle leggi precedenti, ritiene la piena legittimità del sistema introdotto dalla legge impugnata d'imposizione ad aliquota condensata, trattandosi di una scelta politica tributaria rientrante nella discrezionalità del legislatore. Detto sistema, in forza del quale l'imposta viene corrisposta una tantum in misura da coprire presuntivamente quanto sarebbe dovuto qualora fossero tassati i passaggi delle merci e dei prodotti anteriori e posteriori all'atto indicato quale generatore del debito tributario non comporta, secondo il giudice a quo, una maggiore imposizione e non impedisce al soggetto colpito l'esercizio del diritto di rivalsa mediante la maggiorazione del prezzo. Sempre secondo la ordinanza, non contraddice al principio di legalità nemmeno il metodo prescelto dall'ultimo comma della norma in esame, di attribuire al Ministro per le Finanze o, su sua delega, agli Intendenti di finanza la facoltà di stabilire i prezzi medi di vendita praticati dalle diverse categorie di operatori interessati, in quanto il ricorso a presunzioni per stabilire il quantum imponibile, soprattutto se applicato a materie di difficile accertamento, "rappresenta pur sempre un metodo congruo ed idoneo al conseguimento della verità giuridica da identificare".

Il giudice a quo denunzia invece due vizi di costituzionalità dell'ultimo comma della medesima norma, poiché il legislatore sarebbe incorso:

1) nella violazione del principio della riserva di legge in campo tributario, sancito dall'art. 23 della Costituzione, in quanto avrebbe omesso di indicare i criteri, i modi ed il procedimento da seguirsi per l'accertamento dei prezzi medi, attribuendo all'autorità amministrativa il potere di stabilire un presupposto oggettivo dell'imposta, senza, delimitarne la discrezionalità.

2) Nella violazione dell'art. 53 della Costituzione, in quanto sarebbe stato concesso il potere di stabilire uno dei presupposti quantitativi dell'imposta con criteri estranei alla capacità contributiva del soggetto gravato, identificata nella specie nel valore monetario reale degli atti economici imponibili e impedendo in tal modo al medesimo la previsione circa l'ammontare dell'imposta e l'esercizio della facoltà di rivalsa.

3. - Identificate nei loro precisi limiti le questioni sottoposte al giudizio di questa Corte, risulta palese la loro infondatezza, rilevabile anche dall'interpretazione letterale della norma denunziata.

Contrariamente all'affermazione del giudice a quo, l'ultimo comma dell'articolo unico della legge n. 941 del 1966 non attribuisce al Ministero per le finanze o, su sua delega, agli Intendenti di finanza, la facoltà di stabilire il presupposto oggettivo dell'imposta senza limitarne la discrezionalità. Il limite é indicato implicitamente, ma ben chiaramente, dalla norma, la quale determina l'oggetto di questa facoltà di imposizione, precisando che essa consiste nell'accertamento dei prezzi di vendita, cioè del calcolo della media dei prezzi effettivamente praticati sul mercato. Trattasi quindi di un'indagine condotta non arbitrariamente, ma su fatti e situazioni verificatisi anteriormente, pienamente individuabili e controllabili.

L'indicazione dell'oggetto dell'accertamento regola in modo certo la discrezionalità del Ministro e dei suoi delegati, non consentendo di oltrepassare i confini implicitamente segnati, precludendo la possibilità di un esercizio arbitrario della facoltà attribuitagli.

Avverso tale accertamento, il soggetto, quando ne sussistano i generali presupposti, é ammesso a ricorrere in sede giurisdizionale, rientrando tale questione di estimazione semplice in materia di I.G.E., nella giurisdizione del giudice ordinario, come questa Corte ha ritenuto con la sentenza n. 83 del 1968. E (per quanto lo riguarda) il contribuente può ragionevolmente prevedere l'ammontare dell'imposta, operando così la traslazione tributaria, secondo quanto é consentito in materia di imposta generale sull'entrata.

Preordinando tale metodo di accertamento, il legislatore, su cui non grava, come invece vorrebbero le ordinanze di remissione, l'onere di delineare rigidi procedimenti formali, ove comunque osservi le condizioni dianzi dette di delimitare idoneamente la discrezionalità degli organi amministrativi e di non impedire la tutela giurisdizionale, non ha dunque violato l'art. 23 della Costituzione, atteso che, come questa Corte ha ritenuto con la sentenza n. 129 del 1969, emanata in un caso del tutto simile all'attuale, la norma richiamata esprime una riserva di legge soltanto relativa (cfr. anche da ultimo la sentenza n. 67 del 1973).

Infondata si appalesa pertanto anche la censura del medesimo ultimo capoverso della norma denunciata sotto il profilo che essa violerebbe l'art. 53 della Costituzione, in quanto attribuirebbe al Ministro e agli Intendenti di finanza la facoltà di stabilire uno dei presupposti quantitativi dell'imposta, indipendentemente dalla capacità contributiva del gravato.

Il sistema cui s'ispira la regolamentazione dell'imposta sull'entrata ha l'effetto di determinare l'ammontare dell'imposta medesima proporzionalmente al numero degli atti economici posti in essere dal soggetto obbligato e pertanto automaticamente in misura corrispondente al volume delle entrate da lui realizzate e di conseguenza alla sua capacità contributiva.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'articolo unico della legge 31 ottobre 1966, n. 941, in riferimento agli articoli 23 e 53 della Costituzione sollevate dalla Corte di appello di Torino con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 1979.

Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 24 maggio 1979.