Sentenza n. 13 del 1979
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SENTENZA N. 13

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Leonetto AMADEI, Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 271, ultimo comma, cod. proc. pen., promosso con ordinanza emessa il 9 dicembre 1977 dalla Corte di assise di appello di Palermo, nel procedimento penale a carico di Mutolo Gaspare, iscritta al n. 67 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 101 del 12 aprile 1978.

Udito nella camera di consiglio dell'8 marzo 1979 il Giudice relatore Alberto Malagugini.

Ritenuto in fatto

La Corte di Assise di Appello di Palermo, con ordinanza emessa il 9 dicembre 1977, in sede di incidente di esecuzione sollevato dal detenuto Mutolo Gaspare, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 13 e 27 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 271, ultimo comma, c.p.p. là dove escluderebbe la fungibilità tra custodia preventiva e pena reclusiva quando la custodia preventiva si riferisce a reato - diverso da quello per il quale é stata irrogata la pena - per il quale é intervenuta sentenza assolutoria non ancora passata in giudicato.

Il giudice a quo muove da una interpretazione della disposizione di legge denunziata - che assume corrispondente ad un orientamento giurisprudenziale univoco - secondo la quale, perché si possa attuare la fungibilità tra pena irrogata per un reato e custodia preventiva sofferta con riferimento ad altro reato, sarebbe necessario che fosse intervenuta sentenza irrevocabile nel processo per quest'ultimo reato. Soltanto la decisione irrevocabile, infatti, consentirebbe di qualificare giusta o ingiusta la carcerazione preventiva.

Così determinata la portata dell'art. 271, ultima parte, c.p.p., ne risulta compromesso il principio della fungibilità tra custodia preventiva e pena, con conseguenze sulla libertà personale che possono diventare irreversibili, e che comportano un contrasto col favor libertatis al quale si ispirano norme anche costituzionali.

Quando, infatti, la fungibilità della custodia preventiva sofferta per un reato per il quale un cittadino é stato assolto viene subordinata al passaggio in giudicato della sentenza assolutoria, anzitutto non si tiene conto della immediata esecutività di ogni sentenza di assoluzione, come previsto a tutti gli effetti dall'art. 576, comma terzo, c.p.p., ed inoltre e principalmente non si tiene conto della presunzione di non colpevolezza (che in sostanza, quanto meno al fine in esame, determina una presunzione di futura non punibilità) prevista dall'art. 27, comma secondo, della Costituzione. Tale presunzione ancor più s'impone quando, essendo stata essa turbata, nei casi previsti dalla legge, con una carcerazione preventiva, una sentenza assolutoria, e cioè la dichiarazione di illegittimità dell'avvenuto turbamento, deve farla rivivere in tutta la sua interezza. In tali casi la esecutività della sentenza di assoluzione importa necessariamente la invalidità ex tunc del titolo per cui la carcerazione era stata sofferta, dal che deriva che già con la pronuncia della sentenza, e non quando poi essa passa in giudicato, diventi sine titulo, e quindi ingiusta, la custodia preventiva.

Pure palese, per il giudice a quo, sembra il contrasto della accolta interpretazione dell'art. 271, ultima parte, con l'art. 3 della Costituzione, potendone derivare una grave disparità di trattamento in casi giuridici che sostanzialmente sono uguali e diventano diversi in dipendenza della maggiore o minore sollecitudine nell'espletamento di un procedimento penale nei suoi vari gradi.

Nel procedimento avanti la Corte costituzionale non vi é stata costituzione di parti.

Considerato in diritto

1. - Le questioni sottoposte all'esame della Corte presuppongono una interpretazione della disposizione di legge denunciata che non può essere condivisa né pare possa considerarsi univoca.

La detrazione della custodia preventiva sofferta in relazione ad un dato reato dalla pena inflitta per altro reato, nel testo dell'art. 271 c.p.p. é subordinata ad una sola condizione: che il reato cui si riferisce la condanna da espiare non sia stato commesso dopo la cessazione della custodia preventiva.

L'ulteriore condizione, per cui il periodo della custodia preventiva sarebbe detraibile dalla pena soltanto se fosse già intervenuta sentenza irrevocabile di assoluzione dal reato in relazione al quale é stata applicata la carcerazione preventiva non é desumibile da altre disposizioni di legge, né discende dal sistema.

Al contrario, subordinare la detrazione ad una sentenza definitiva che consacri l'ingiustizia della carcerazione preventiva sofferta, significherebbe presumere che la detenzione sia giusta fino al raggiungimento di una prova contraria affermata e controllata in tutti i gradi della giurisdizione, disattendendo nella sostanza il principio del favor libertatis.

La fondatezza di tali considerazioni e conclusioni appare evidente nel caso trattato nel procedimento a quo, nel quale la custodia preventiva, della cui detraibilità é questione, si riferisce ad un reato per cui é intervenuta sentenza assolutoria, ancorché non definitiva.

Negare la detrazione dalla pena (definitivamente inflitta per altro reato precedentemente commesso) equivale qui a lasciar gravare sull'imputato - assolto e da non presumere colpevole - il rischio di trovarsi ad avere sofferto un periodo di carcerazione non dovuta;

rischio che la sentenza assolutoria, sia pure non definitiva, dimostra concreto, e che viene ad essere del tutto evitato applicando, anche in casi del genere, l'art. 271, ultima parte, c.p.p.

Questa conclusione, indicata sia dalla lettera sia dalla ratio della norma citata, deve dunque essere accolta a base del giudizio di costituzionalità, disattendendosi la diversa interpretazione recepita dal giudice a quo.

Nei termini esposti, le sollevate eccezioni di illegittimità costituzionale appaiono superate, posto che già la corretta interpretazione della norma denunciata (recepita, del resto, anche da talune autorevoli decisioni giurisprudenziali) consente quelle applicazioni che il giudice a quo ritiene imposte soltanto da principi costituzionali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 271, ultimo comma, del codice di procedura penale, sollevata dalla Corte d'Assise d'Appello di Palermo con riferimento agli artt. 3, 13 e 27 della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 1979.

Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 10 maggio 1979.