Sentenza n. 10 del 1979
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 10

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Leonetto AMADEI, Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 416, ultimo comma, 420, 421, 424 e 431 del codice di procedura civile, come modificato dall'art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533 (nuova disciplina delle controversie individuali di lavoro e di quelle in materia di previdenza e assistenza obbligatoria), promosso con ordinanza emessa il 18 dicembre 1974 dal giudice del lavoro del tribunale di Chiavari, nel procedimento civile vertente tra Pagliaro Clementina e la Soc. La Plastica in liquidazione e la Soc. La Plastica Entella, iscritta al n. 94 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 120 del 7 maggio 1975.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 1979 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con atto di citazione notificato l'11 dicembre 1970 la signora Pagliaro Clementina ved. Sirito conveniva in giudizio, innanzi il tribunale di Chiavari, la Soc. La Plastica e la Soc. Plastica Entella. Deduceva l'attrice che il marito, signor Sirito Domenico Armando, deceduto il 14 aprile 1966, aveva prestato la sua opera alle dipendenze delle sopraindicate società ricevendo un compenso di gran lunga inferiore a quello che gli sarebbe spettato per legge.

Chiedeva pertanto la condanna delle medesime al pagamento di quanto dovuto. Dopo alcune udienze, il giudice istruttore, con ordinanza 1 marzo 1974, preso atto dell'entrata in vigore della legge 11 agosto 1973, n. 533, recante la nuova disciplina delle controversie individuali di lavoro e di quelle in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria, disponeva che il procedimento proseguisse col nuovo rito innanzi a sé, quale giudice unico, fissando udienza "per la comparizione delle parti e per la indicazione dei testi".

Quindi, con successiva ordinanza del 18 dicembre 1974, accogliendo eccezioni in tal senso formulate dalle parti convenute, sollevava - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - questioni di legittimità costituzionale degli artt. 416, ultimo comma, 420, primo e ultimo comma, 421, secondo comma, 424 e 431, primo e ultimo comma, del codice di procedura civile, così come modificati dalla già citata legge 11 agosto 1973, n. 533.

2. - L'ordinanza é stata ritualmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 120 del 7 maggio 1976.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che tutte le questioni siano dichiarate non fondate.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza in epigrafe la Corte é chiamata a decidere:

A) se sia, o meno, costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione - l'art. 416, ultimo comma, c.p.c. (il quale stabilisce che il convenuto - e, cioè, il datore di lavoro - ha l'obbligo di depositare entro breve termine a pena di decadenza uno scritto in cui prenda "posizione precisa circa i fatti affermati dall'attore", proponga "tutte le sue difese in fatto ed in diritto", indichi specificatamente i mezzi di prova dei quali intende valersi e depositi tutti i documenti ritenuti utili alla propria difesa), dubitandosi che la norma denunziata dia luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento, in relazione all'esercizio del diritto di difesa, tra le due parti del processo, sia perché non stabilirebbe alcun termine di decadenza a carico dell'attore e sia perché assegnerebbe al convenuto datore di lavoro un termine troppo breve (e, quindi, inadeguato per replicare e preparare le proprie difese), mentre l'attore avrebbe tutto il tempo per studiare la posizione, e preparare la difesa e raccogliere le prove;

B) se sia, o meno, costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione - l'articolo 420, primo comma, c.p.c. (nella parte in cui attribuisce alla mancata comparizione di ciascuna delle due parti valore di comportamento apprezzabile dal giudice ai fini della decisione), ritenendosi che l'impugnata disposizione riservi un identico trattamento alla mancata comparizione del convenuto e dell'attore, senza considerare che detti soggetti versano in situazioni che sono tra loro diverse e che, come tali, andrebbero diversamente disciplinate;

C) se sia, o meno, costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'art. 24 della Costituzione - l'art. 420, ultimo comma, c.p.c. (che vieta le udienze di mero rinvio), ritenendosi che possano darsi delle circostanze in presenza delle quali la mancata concessione di un rinvio arrecherebbe grave ed irreparabile pregiudizio alla difesa delle parti;

D) se sia, o meno, costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione - l'articolo 421, secondo comma, c.p.c. (nella parte in cui prevede che il giudice possa disporre d'ufficio, in qualsiasi momento, l'ammissione di ogni mezzo di prova), dubitandosi che la norma denunziata:

a) costituisca una norma prevista ad esclusivo favore dell'attore, la cui posizione processuale verrebbe così ad essere ulteriormente privilegiata rispetto a quella del convenuto;

b) incida sull'imparzialità dell'organo giudicante;

E) se sia, o meno, costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'art. 24 della Costituzione - l'art. 424 c.p.c., dubitandosi che l'impugnata disposizione consentendo che il consulente d'ufficio possa riferire, anche immediatamente, verbalmente in udienza e non accordando alle parti il potere di nominare propri consulenti di fiducia, dia luogo ad una illegittima lesione del diritto di difesa che alle medesime é costituzionalmente garantito;

F) se sia, o meno, costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione - l'articolo 431, primo e ultimo comma, c.p.c. (il quale dispone che le sentenze di condanna emesse in primo grado a favore del lavoratore, e non anche quelle emesse a favore del datore di lavoro, sono provvisoriamente esecutive e che la provvisoria esecuzione non può essere sospesa per le somme non eccedenti L. 500.000), dubitandosi che la mancata previsione dell'esecutorietà delle sentenze di condanna emesse in primo grado a favore del datore di lavoro, e ancor più, l'impossibilità di sospendere l'esecuzione delle sentenze emesse in favore del lavoratore per le somme non superiori a L. 500.000, non siano razionalmente giustificate e diano luogo ad una grave menomazione del diritto di difesa del datore di lavoro.

2. - In ordine alla rilevanza delle questioni nel giudizio di merito, l'ordinanza di rimessione osserva, genericamente e senza un riferimento specifico all'applicazione concreta delle singole norme sospette di incostituzionalità, che, trattandosi di giudizio in corso innanzi al tribunale ed avendo il giudice istruttore avviato l'istruttoria in base alle nuove norme, queste verrebbero tutte in considerazione, dovendo il procedimento svolgersi e concludersi con l'applicazione della nuova normativa.

L'assunto non é fondato in quanto la rilevanza può sussistere solo se debba farsi applicazione concreta della norma in discussione, non bastando la generica possibilità che la norma stessa venga applicata nel corso del giudizio, ove si verifichino le condizioni necessarie per la sua applicazione.

3. - Ciò premesso, é agevole osservare che nessuna delle questioni sopra indicate appare fornita del necessario carattere di pregiudizialità rispetto alla definizione del giudizio di merito.

Ed invero, quanto alla questione puntualizzata alla lettera A ) del precedente n. 1, che concerne l'art. 416 c.p.c. (il quale disciplina la costituzione del convenuto), non può non rilevarsi che, nel caso di specie, il giudizio era stato instaurato l'11 dicembre 1970, ben prima dell'entrata in vigore della legge 11 agosto 1973, n. 533, e le parti convenute avevano già avuto modo di svolgere compiutamente le proprie difese, tanto che avevano chiesto da tempo la fissazione di una udienza per la precisazione delle conclusioni. Va, peraltro, ricordato che, questa Corte con la sentenza n. 13 del 1977 (posteriore all'ordinanza di rimessione) ha affermato che una interpretazione sistematica delle norme che disciplinano il processo del lavoro "consente di pervenire alla conclusione che si realizza, invece,...una perfetta simmetria di posizione tra le parti", in quanto "la stessa sanzione che per il convenuto si trova espressamente sancita nell'art. 416 deve, invero, ritenersi prevista per l'attore, sia pure in modo implicito, ma non per questo meno chiaro, in base al disposto dell'art. 414, n. 5 e dell'art. 420".

Quanto poi alle questioni indicate alle lettere B), C), D) del n. 1, riguardanti - rispettivamente gli artt. 420, 421 e 424 c.p.c. é sufficiente osservare che nel giudizio a quo:

a) non si era verificata la mancata comparizione di alcuna delle parti all'udienza di discussione né da alcuna di esse era stata chiesta la fissazione di udienza di mero rinvio;

b) non si era profilata l'opportunità di ammettere d'ufficio mezzi di prova;

c) non era stata chiesta, e tanto meno disposta, l'ammissione di una consulenza tecnica d'ufficio.

4. - Infine, la questione concernente l'art. 431, primo e ultimo comma, c.p.c. (nelle parti in cui si prevede la provvisoria eseguibilità ope legis della sentenza di condanna in favore del lavoratore e il divieto di sospendere l'esecuzione per le somme sino a L. 500.000), indicata alla lettera E), del precedente n. 1, é stata sollevata nel corso di un giudizio di primo grado ed é identica ad altre già dichiarate da questa Corte inammissibili per difetto di rilevanza, con le sentenze nn. 16 e 17 del 1977, e manifestamente inammissibili, sempre per lo stesso motivo, con le ordinanze nn. 63 e 64 del 1978, in base alla considerazione che la norma denunziata attiene alla esecuzione della sentenza o al giudizio di appello e, pertanto, non può essere impugnata nelle fasi processuali anteriori, nelle quali non é destinata a trovare applicazione.

Tale orientamento, che del resto é pienamente conforme a quanto da questa Corte é stato statuito con riferimento a fattispecie analoghe (sentenze nn. 19 e 110 del 1974), va pienamente confermato, posto che rilevanza della questione e applicabilità della legge nel giudizio di merito costituiscono termini inscindibili.

Invero, la provvisoria esecutorietà non viene in considerazione per il semplice fatto della emissione della sentenza ma solo se essa é posta in esecuzione o se di questa é chiesta la sospensione al giudice di appello. Essa, cioè, può assumere rilievo solo nelle fasi successive del procedimento, se ed in quanto la parte si avvalga degli effetti attribuiti dalla legge alla sentenza stessa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 416, ultimo comma, 420, primo e ultimo comma, 421, secondo comma, 424, 431, primo e ultimo comma, del codice di procedura civile, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione dal giudice del lavoro presso il tribunale di Chiavari con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 1979.

Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 10 maggio 1979.