Sentenza n. 162 del 1977
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SENTENZA N. 162

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 12 novembre 1974 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra l'INPS e Rossetti Bassano, iscritta al n. 63 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 95 del 9 aprile 1975;

2) ordinanza emessa l'11 novembre 1975 dal pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Zaia Aldo e l'INPS, iscritta al n. 43 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 72 del 17 marzo 1976;

3) ordinanza emessa il 24 febbraio 1977 dal pretore di Orvieto nel procedimento civile vertente tra Montagnolo Maria e l'INPS, iscritta al n. 149 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 120 del 4 maggio 1977.

Visti gli atti di costituzione di Zaia Aldo e dell'INPS, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 novembre 1977 il Giudice relatore Oronzo Reale;

uditi l'avv. Luigi Maresca, per l'INPS e il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con tre ordinanze emesse rispettivamente dal tribunale di Milano in data 12-27 novembre 1974 (n. 63 reg. ord. 1975), dal pretore di Torino in data 11 novembre 1975 (n. 43 reg. ord. 1976) e dal pretore di Orvieto in data 24 febbraio 1977 (n. 149 reg. ord. 1977), veniva sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile, nella parte in cui detta norma escluderebbe dalla rivalutazione monetaria di cui all'art. 150 disp. att. c.p.c. i crediti di pensione di invalidità a carico della assicurazione generale obbligatoria di I.V.S. gestita dall'INPS, per preteso contrasto con l'art. 3 della Costituzione; il pretore di Orvieto adduceva a sospetto di incostituzionalità la norma citata anche per contrasto con l'art. 38, comma secondo, della Costituzione.

2. - Il tribunale di Milano, premesso che la giurisprudenza affermatasi costantemente presso lo stesso tribunale era nel senso che non fosse dovuto il maggior danno eventualmente scaturito a seguito della diminuzione di valore del credito vantato dal soggetto assistito, rilevava che tale interpretazione non sottrarrebbe ad un sospetto di illegittimità costituzionale la norma di cui all'art. 429 c.p.c. in ragione della sostanziale analogia riscontrabile tra i crediti di lavoro (per i quali espressamente lo stesso art. 429 impone che il giudice proceda alla rivalutazione, sulla scorta dei criteri dettati dall'art. 150, pure citato) e quelli derivanti da pensione. Infatti entrambi i detti crediti attengono, sia pure in maniera diversa, ad una attività lavorativa e sono del pari caratterizzati da una precipua funzione di sostentamento del lavoratore e della sua famiglia; e che anzi una funzione di sostentamento ancor più marcata sembra potersi cogliere proprio nei crediti derivanti da prestazioni previdenziali.

3. - Il pretore di Torino, premesso che, a suo avviso, i crediti di lavoro cui si riferisce il testo dell'art. 429 c.p.c. non comprendono i crediti derivanti da pensione a carico dell'INPS; che peraltro il richiamo contenuto nell'art. 442 c.p.c. concerne esclusivamente le norme di carattere processuale; e che tale non può essere considerata quella portata dal citato art. 429, in quanto la stessa avrebbe immutato la natura dei crediti ivi previsti, trasformandoli da crediti di valuta in crediti di valore; che, peraltro, va riconosciuta l'analogia tra la funzione alimentare spiegata sia dai crediti di lavoro che da quelli previdenziali, entrambi poi scaturenti, sia pure in modo diverso, dalla attività lavorativa; sollevava questione di legittimità costituzionale in termini analoghi rispetto a quelli del tribunale di Milano.

4. - Ragioni sostanzialmente identiche venivano svolte dal pretore di Orvieto, il quale peraltro, oltre alle già accennate questioni attinenti alla non ragionevole disparità di trattamento che la legge riserverebbe ai crediti pensionistici rispetto a quelli di lavoro, sollevava altresì la questione di legittimità costituzionale della più volte citata disposizione di cui all'articolo 429, con riferimento al secondo comma dell'art. 38 della Costituzione, ponendo l'accento sul ritardo spesso considerevole con cui l'istituto previdenziale corrisponde le rendite sicché i lavoratori "non ricevono certo mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in un momento di progressiva accentuazione del fenomeno inflazionistico".

5. - Le predette ordinanze venivano tutte notificate, comunicate e pubblicate; spiegava intervento in tutti e tre i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, sostenendo che la norma impugnata trova la sua ragione in un dato di comune esperienza, ravvisabile nel fatto che la stragrande maggioranza delle cause di lavoro vengono iniziate davanti alla autorità giudiziaria solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro e ciò perché in costanza di rapporto i lavoratori si troverebbero esposti a rappresaglie da parte del datore di lavoro. Ciò comporta che solo a distanza di anni rispetto al suo maturare il diritto vantato dal lavoratore trova riconoscimento; a tale stato di fatto ha voluto ovviare il legislatore con la norma di cui all'art. 429 c.p.c.. Tali ragioni non valgono ovviamente, sempre ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, nel caso di crediti previdenziali, in ordine ai quali non può dirsi esistente alcun metus reverentialis, inconcepibile nei confronti dell'istituto assicuratore; ogni ritardo nel procedimento amministrativo che deve precedere l'inizio della controversia giudiziaria deve ritenersi comunque contenuto ed inquadrato nell'ambito del dovere di imparzialità della pubblica amministrazione oltre che delle precise norme vigenti che tali procedimenti regolano, anche nel loro iter temporale.

Per ciò che attiene al preteso contrasto denunziato dal pretore di Orvieto in relazione al secondo comma dell'art. 38 della Costituzione, si osserva che la adeguatezza dei mezzi previsti a favore dei lavoratori in caso di infortunio o di invalidità non può certo dipendere né essere assicurata dalla rivalutazione dei crediti pensionistici.

6. - Nel solo giudizio derivante dall'ordinanza del tribunale di Milano si costituiva altresì l'INPS, sostenendo che la interpretazione da dare all'art. 429 c.p.c. era stata esattamente indicata dal giudice a quo e che, sotto il profilo della legittimità costituzionale, non poteva sussistere alcun dubbio circa la perfetta aderenza della norma, così interpretata, al dettato costituzionale. L'identità di situazioni supposta nell'ordinanza di rinvio non sussisterebbe né sotto il profilo della posizione dei soggetti passivi dell'azione (nell'un caso si ha un privato teso alla tutela del proprio personale interesse, nell'altro un ente pubblico, tendente soltanto all'attuazione della legge), né sotto quello oggettivo, atteso che nel rapporto di lavoro si ha una contrapposizione sinallagmatica, in cui l'inadempienza del datore di lavoro costituisce presupposto di una legittima pretesa, mentre il credito per prestazioni assicurative deriva da un rapporto di natura pubblicistica avente caratteristiche di assoluta autonomia per quanto riguarda la relazione tra lavoratore assicurato ed istituto assicuratore. Anche per ciò che attiene alla natura alimentare dei due crediti, supposta come comune, l'INPS osserva che la stessa é meramente teorica; comunque, tale comune funzionalità non sembra atta a determinare di per sé sola quella uguaglianza di situazioni che comporterebbe uguaglianza di trattamento. Anche dai lavori preparatori - aggiunge - sembra potersi desumere che la ratio della legge sia da ravvisare nel comportamento dei datori di lavoro che tendono a ritardare, ingiustamente, l'assolvimento delle loro obbligazioni.

Per ultimo viene ricordato che la vigente normativa prevede presidi di diversa natura, ma comunque tesi tutti al soddisfacimento rapido e completo dei crediti pensionistici, sia concedendo la possibilità del pagamento di anticipazioni sulle prestazioni spettanti, sia riducendo in termini ragionevoli i tempi entro cui il procedimento amministrativo deve essere completato.

7. - Nel solo giudizio promosso dal pretore di Torino si costituiva la parte Aldo Zaia. Premesso che a suo avviso l'art. 429 c.p.c. doveva essere letto nel senso che la rivalutazione fosse applicabile anche ai crediti pensionistici, e ciò in virtù della interpretazione ricavabile dalla portata estensiva dell'art. 442 c.p.c., sosteneva, in caso di mancato accoglimento di tale tesi, la fondatezza della questione, avuto riguardo agli stessi motivi esposti a base dell'ordinanza di rimessione.

Considerato in diritto

1. - Le tre ordinanze di cui in narrativa propongono la stessa questione; e pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza. Le ordinanze sottopongono alla Corte il dubbio di costituzionalità, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, dell'art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile (nel testo modificato dalla legge n. 533 del 1973) nella parte in cui limita ai crediti di lavoro e non estende ai crediti da pensione di invalidità a carico della assicurazione generale obbligatoria gestita dall'INPS e, in generale, ai crediti per prestazioni previdenziali, la rivalutazione monetaria calcolata nei modi prescritti dall'art. 150 delle disp. att. del c.p.c. (sempre nel testo modificato dalla legge n. 533 del 1973). I tre giudici a quibus, interpretando il detto art. 429, comma terzo, c.p.c., nel senso che esso non estende la rivalutazione ai crediti di pensione, hanno infatti ritenuto che la disparità di trattamento tra crediti di lavoro e crediti di pensione non sia giustificata e inoltre (secondo la sola ordinanza del pretore di Orvieto) contrasti con l'art. 38 della Costituzione.

2. - La questione non é fondata.

La Corte esaminando nella sentenza n. 13 del 1977 le ragioni che stanno a fondamento dell'introduzione, operata con la legge n. 533 del 1973, del dovere del giudice, "quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro", di "determinare oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito" (art. 429, comma terzo, c.p.c.), ebbe a rilevare che esse consistono precipuamente nella necessità di protezione del potere di acquisto del lavoratore, senza conseguente depauperamento del patrimonio del datore di lavoro, e nella necessità di porre una remora alla resistenza ed agli ingiustificati ritardi dei datori di lavoro stessi nell'adempimento delle loro obbligazioni: ragioni che, sussistendo per i crediti di lavoro e non per gli altri crediti di pecunia, giustificavano il diverso trattamento di essi ed escludevano quindi una violazione dell'articolo 3 della Costituzione.

Del pari, con la sentenza n. 43 del 1977, la Corte escluse che fosse costituzionalmente ingiustificata la inapplicabilità della rivalutazione stabilita nell'art. 429, terzo comma, c.p.c. ai crediti dei dipendenti degli enti pubblici non economici che, proprio ed anche per la specie dei debitori, legittimamente potevano essere sottratti alla generale disciplina di cui alla norma predetta.

Ora, le tre ordinanze sopra ricordate pongono l'accento sulla natura definita alimentare dei crediti di pensione, siccome derivanti, sia pure mediatamente, da attività di lavoro e negano, pertanto, che possa giustificarsi costituzionalmente il diverso trattamento fatto dal legislatore a tali crediti rispetto a quelli del lavoratore verso il datore di lavoro.

Ma se é pur vero che le pensioni, al pari dei crediti di lavoro, hanno funzione di sostentamento, e quindi il ritardo, a volte rilevante, nella loro liquidazione e corresponsione, costituisce un danno ed un disagio per il creditore e per la sua famiglia (danno e disagio peraltro limitati dalle disposizioni della legge 16 aprile 1974, n. 114 che autorizzano l'INPS a corrispondere un trattamento pensionistico di prima liquidazione a titolo di anticipazione), ad escludere che sia incostituzionale non aver preveduto la rivalutazione dei crediti da pensione valgono tre considerazioni. In primo luogo, come osserva la difesa dell'INPS, il credito da pensione, anche se può avere il suo antecedente in un rapporto di lavoro dipendente, ha, rispetto all'Istituto erogante, caratteristica autonoma di natura pubblicistica. In secondo luogo, il fatto che le pensioni non vengano rapidamente liquidate (ciò che deve giudicarsi deplorevole e degno della massima attenzione del legislatore e dell'autorità amministrativa), non può essere certamente ascritto al proposito degli Istituti debitori di lucrare sulla probabile svalutazione monetaria. In terzo luogo, poiché il ritardo nel pagamento in un certo senso non é volontario (ma sostanzialmente derivante dalla procedura di liquidazione e da complicazioni burocratiche), é da escludersi che la sanzione della rivalutazione avrebbe effetto di remora e per così dire funzione dissuasiva, come nel caso di crediti di lavoratori verso il datore di lavoro privato.

Queste diversità escludono che l'art. 3 della Costituzione imponesse al legislatore una parificazione, quanto al diritto alla rivalutazione, tra i crediti di lavoro e i crediti da pensione dei quali si tratta.

3. - Né ha fondamento il richiamo all'art. 38, comma secondo, della Costituzione, fatto dal pretore di Orvieto.

Tale precetto é stato interpretato dalla giurisprudenza della Corte come principio da seguirsi dal legislatore, la cui osservanza va costituzionalmente valutata in rapporto alle diverse situazioni, ai mezzi disponibili e nell'ambito del generale contesto sociale.

Ora, il problema della adeguatezza dei mezzi che il legislatore deve prevedere rispetto alle esigenze di vita dei lavoratori in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria, ha ben altra natura e dimensione da quello del risarcimento del danno derivante dalla non immediata corresponsione delle pensioni. Di quest'ultimo, peraltro, come si é già ricordato, il legislatore si é fatto carico per limitarlo, prevedendo rapide anticipazioni sulle prestazioni pensionistiche spettanti. Ed é auspicabile che non solo vengano ridotti alla minore misura possibile i tempi del procedimento amministrativo di concessione, ma che sia generalizzata ed accentuata la prassi di rapide liquidazioni provvisorie quando la contestazione non cada sul diritto alla pensione, ma sulla entità di questa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile, sollevata con le ordinanze di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 38, comma secondo, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 dicembre 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1977.