Sentenza n. 160 del 1977
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SENTENZA N. 160

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 91 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (t.u. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 30 ottobre 1974 dal giudice del lavoro del tribunale di Pistoia, nel procedimento civile vertente tra Morosi Fiorenzo e l'INAIL, iscritta al n. 61 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 77 del 20 marzo 1975.

Visti gli atti di costituzione di Morosi Fiorenzo e dell'INAIL;

udito nell'udienza pubblica del 9 novembre 1977 il Giudice relatore Leonetto Amadei;

uditi gli avvocati Franco Agostini, per il Morosi e Carlo Graziani, per l'INAIL.

Ritenuto in fatto

Con citazione notificata il 29 agosto 1973 Morosi Fiorenzo esponeva dinanzi al tribunale di Pistoia che, essendo dipendente degli Ospedali Riuniti in qualità di tecnico radiologico, mentre in data 19 febbraio 1973 stava sollevando un apparecchio radiologico di peso rilevante per collocarlo in un ascensore, avvertì un forte dolore all'inguine sinistro per cui dovette abbandonare il lavoro per ricorrere alle cure del medico del pronto soccorso.

Il Morosi presentava domanda all'INAIL per ottenere le prestazioni a lui spettanti per legge, ma l'Istituto, con lettera del 9 marzo 1973, successivamente confermata in data 21 maggio 1973, respingeva tale domanda perché "dagli accertamenti effettuati é risultato non trattarsi di infortunio sul lavoro".

Il Morosi conveniva allora in giudizio l'INAIL, dinanzi al giudice del lavoro del tribunale di Pistoia, per sentirlo condannare a corrispondergli le prestazioni a lui spettanti per legge, in dipendenza dell'infortunio subito. Il giudice del lavoro, pertanto, nominava un consulente tecnico per sapere se l'infortunio era da considerare avvenuto in occasione di lavoro e se la malattia avesse determinato nel Morosi una riduzione della capacità lavorativa e, in caso di risposta affermativa, in quale misura.

Il perito rispondeva affermativamente ad entrambe le domande aggiungendo che il Morosi era, a suo avviso, operabile.

L'INAIL, presa visione della relazione peritale concludeva che, dato per ammesso l'infortunio, l'entità delle prestazioni era determinata dall'art. 91 del t.u. del 1965 per cui al Morosi sarebbero spettate la invalidità temporanea e le cure necessarie.

Il Morosi, dal canto suo, sollevava questione di incostituzionalità dell'art. 91 del t.u. del 1965 poiché tale norma sarebbe in contrasto con l'art. 32, secondo comma, della Costituzione, in quanto "non sacrifica un interesse individuale ad un superiore interesse della collettività, ma al contrario pone in pericolo la vita di un soggetto (attraverso, per esempio, l'intervento operatorio) in vista di un soltanto possibile, e comunque modestissimo, interesse collettivo".

Il giudice del lavoro accoglieva l'istanza e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale con ordinanza del 30 ottobre 1974 per contrasto dell'art. 91 del t.u. del 1965 con gli artt. 38 e 32 della Costituzione.

Egli rilevava infatti che "detta questione non appare manifestamente infondata dal momento che l'art. 91 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, escludendo la concessione della rendita di inabilità nelle ipotesi di ernia addominale operabile, pone il lavoratore infortunato nell'alternativa tra il rimanere - senza alcuna rendita - in condizioni di ridotta capacità lavorativa o l'operarsi, con il che non sembra sia garantito il diritto all'assistenza in caso di infortunio previsto dall'art. 38 della Costituzione in quanto é evidente che, in ogni caso, non può mai ex ante escludersi con sicurezza la pericolosità dell'intervento chirurgico (addirittura anche per la vita dell'operando) di modo che l'unico rimedio assicurativo nella specie previsto - e cioé l'intervento stesso - può concretamente risolversi in un danno per l'interessato. "Inoltre riteneva che" può pure ipotizzarsi un contrasto tra l'art. 32 della Costituzione e la norma impugnata in quanto questa, ponendo il lavoratore infortunato nell'alternativa di cui sopra, può indurlo ad una scelta potenzialmente dannosa per la propria salute mentre invece detto art. 32 stabilisce che "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo". Ed infine affermava che "anche se si dovesse pensare che la norma in questione possa in astratto rientrare tra quelle che impongono l'obbligo di un determinato trattamento sanitario a sensi della prima parte del secondo comma del citato art. 32 della Costituzione (il che invero non pare, dal momento che in effetti nella specie non é imposto all'assicurato alcun obbligo, ma solo la già ricordata alternativa), non risulta esservi alcun apprezzabile interesse della collettività che giustifichi una tale previsione, in quanto ovviamente l'unico interesse che la norma in contestazione tende a tutelare é quello economico dell'Istituto assistenziale che però (anche a considerare che in definitiva - trattandosi di Ente pubblico - si risolve pur sempre in un interesse collettivo) non é certo tanto rilevante da potersi porre in contrasto con il diritto primario del cittadino alla salute".

Dinanzi alla Corte costituzionale si costituivano sia il Morosi che l'INAIL.

Il primo, nelle sue deduzioni afferma che, a norma dell'articolo impugnato, il lavoratore infermo per ernia addominale derivante da infortunio sul lavoro é posto di fronte all'alternativa, nel caso in cui l'ernia stessa sia operabile, di restare privo della rendita e portatore di inabilità permanente o sottoporsi all'intervento operatorio allo scopo di eliminare tale inabilità.

Il problema, pertanto, secondo il Morosi, sta nello stabilire se l'alternativa mette sostanzialmente in essere un obbligo - quanto meno da intendersi in senso lato come condizione per ottenere una prestazione garantita dalla legge e dalla Costituzione - con tali modalità che comportino violazione dei limiti imposti dal rispetto della persona umana. Nella specie, poi, il trattamento sanitario, cui fa cenno l'art. 32, é costituito da un intervento operatorio e appare che l'obbligo dell'intervento stesso in ogni caso cada al di là dei limiti in questione, poiché un intervento operatorio ha dei margini di pericolosità, anche potenziali, che sfuggono ad un accertamento obiettivo e che nell'intervento stesso giuoca un ruolo perfino la predisposizione psicologica dell'interessato.

La violazione dell'art. 38, invece deriverebbe dal fatto che l'art. 91 fa discendere il diritto al trattamento di rendita per inabilità permanente, dalla operabilità o meno dell'ernia, determinata, tra l'altro, non dall'interessato, ma da terzi.

L'INAIL rileva che l'art. 91 prevede forme di assistenza, quali le prestazioni mediche e chirurgiche e l'indennità per l'inabilità temporanea, in relazione all'entità dell'evento in esso articolo contemplato: evento che, sulla base della comune esperienza medica, non é ritenuto di per se produttivo di postumi permanenti se e in quanto, obiettivamente valutato, possa attraverso gli opportuni interventi, consentire il recupero integrale della capacità lavorativa.

Tale previsione si colloca esattamente nel vigente sistema assicurativo - col quale si armonizza - tenendo conto che nella legge speciale esiste tutta una serie di norme (artt. 86, 87, 88 e 89 t.u. 1965) che stabiliscono appunto a carico dell'Istituto assicuratore, e corrispondentemente a carico dell'infortunato, di far ricorso ai mezzi più idonei ed utili alla restaurazione della capacità lavorativa.

Considerato in diritto

1. - Il giudice del lavoro presso il tribunale di Pistoia ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'art. 91 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 - Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali -, in riferimento agli artt. 38 e 32 della Costituzione.

Secondo l'art. 91, nel caso di infortunio che abbia causato ernia addominale operabile, l'Istituto assicuratore é tenuto solo alle prestazioni mediche e chirurgiche ed al pagamento della indennità temporanea, mentre nel caso in cui si tratti di ernia non operabile é dovuta la rendita di inabilità nella misura stabilita per la riduzione del 15% dell'attitudine al lavoro. Ove sorga contestazione circa la operabilità, la decisione é rimessa ad un collegio arbitrale la cui composizione é indicata dalla legge.

2. - Per la ordinanza di rimessione appare illegittimo il citato art. 91 se raffrontato con l'art. 38 della Costituzione perché mentre questo, al secondo comma, dispone che "i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia... ecc.", la norma impugnata pone il lavoratore infortunato "nella alternativa fra il rimanere - senza alcuna rendita - in condizioni di ridotta capacità lavorativa o l'operarsi, in condizione cioé da non potersi escludere con sicurezza ex ante la pericolosità dell'intervento chirurgico di modo che l'unico rimedio assicurativo nella specie previsto - e cioé l'intervento stesso - può concretamente risolversi in un danno per l'interessato". Contrasterebbe inoltre la norma impugnata con l'art. 32 della Costituzione poiché "ponendo il lavoratore nella alternativa descritta, può indurlo ad una scelta potenziale dannosa per la propria salute mentre invece detto art. 32 stabilisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto del cittadino".

Né sarebbe la norma impugnata conforme alla prima parte del secondo comma dell'art. 32 Cost. mancando, nella specie, un apprezzabile interesse della collettività tale da giustificare l'obbligatorietà di un trattamento terapeutico. In sostanza, afferma il giudice a quo, l'art. 91 si propone esclusivamente la tutela dell'interesse economico dell'Istituto assistenziale che anche se persegue finalità di interesse collettivo non può mai comprimere il diritto primario del cittadino alla propria salute.

3. - La questione non é fondata.

Va osservato infatti come tutta la legislazione assicurativa e previdenziale emanata sia prima che dopo l'entrata in vigore della Costituzione, ha fissato il principio che i pubblici istituti preposti alla previdenza sociale ed alla assicurazione infortuni sul lavoro, hanno il diritto e il dovere di agire nella maniera più idonea onde l'invalido possa ridurre la portata della subita invalidità o, ancor meglio, riacquistare le condizioni di salute e di efficienza preesistenti. Così, ad esempio, l'art. 18 del d.l.l. 23 agosto 1917, n. 1450 concernente provvedimenti per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura; gli artt. 32, 33, 34, 35 e segg. del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765 - Disposizioni per l'assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali -. Ed ancora, l'art. 81 del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 - Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale -; l'art. 13 del r.d.l. 23 settembre 1937, n. 1918 - Assicurazione contro le malattie per la gente di mare -; l'art. 6 del d.l.l. 3 febbraio 1946, n. 85 - Modificazione alla assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura -. In tutte le norme indicate, ad eccezione dell'art. 13 del r.d.l. 23 settembre 1937, n. 1918, in cui non si fa esplicito riferimento alle cure chirurgiche, l'ammalato o l'infortunato non possono rifiutarsi, senza giustificato motivo, di sottoporsi a cure mediche o chirurgiche nei casi in cui possa essere evitata o ritardata l'invalidità, ovvero possa essere attenuata o eliminata l'invalidità già accertata. Il rifiuto dell'assicurato a sottostare alle cure, qualora sia respinto dall'Istituto, o in caso di disaccordo circa la cura, comporta la decisione da parte di un collegio arbitrale (v. art. 82 legge 4 ottobre 1935, n. 1827). Secondo l'art. 32 del r.d.l. 17 agosto 1935, n. 1765, l'infortunato non poteva, senza giustificato motivo, rifiutare di sottoporsi alle cure mediche e chirurgiche, compresi gli atti operatori, che l'Istituto assicuratore ritenesse necessari, ed il successivo art. 35 stabiliva che, anche dopo la costituzione della rendita di inabilità (analogamente a quanto stabilito dall'art. 81 della legge sulla previdenza sociale), l'Istituto assicuratore poteva disporre che l'infortunato venisse sottoposto a speciali cure mediche e chirurgiche, compresi gli atti operatori, quando fossero stati ritenuti utili per il recupero della capacità lavorativa. Identica normativa é contenuta negli artt. 87 e 89 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, di cui fa parte l'art. 91 della cui legittimità costituzionale si discute. Nel ricordato art. 87 di detto decreto é inoltre previsto (analogamente a quanto dispone l'art. 82 del d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, per la previdenza sociale) che l'accertamento degli eventuali motivi del rifiuto a sottostare alle cure prescritte (mediche o chirurgiche) é demandato, in caso di contestazione, al giudizio di un collegio arbitrale e che al rifiuto ingiustificato consegue la perdita del diritto alla indennità per inabilità temporanea e la riduzione della rendita a quella misura presunta alla quale sarebbe stata ridotta se l'assicurato si fosse sottoposto alle cure prescritte.

Per l'art. 82 della legge sulla previdenza sociale l'ingiustificato rifiuto dell'invalido a sottostare alle cure proposte dall'Istituto importa la sospensione della liquidazione o del pagamento della pensione di invalidità.

L'art. 89 della legge infortunistica stabilisce, inoltre, che anche dopo la costituzione della rendita di inabilità, l'Istituto assicuratore "dispone che l'infortunato si sottoponga a speciali cure mediche e chirurgiche quando siano ritenute utili per la restaurazione della capacità lavorativa". In caso di rifiuto dell'infortunato la decisione é demandata allo stesso collegio arbitrale di cui all'art. 87.

4. - Nel caso in esame il giudice del lavoro non ha potuto giovarsi del giudizio del collegio arbitrale in quanto dopo le conclusioni del perito d'ufficio che dichiaravano la operabilità dell'ernia inguinale, l'infortunato non ha contestato il responso peritale né ha inteso sottoporsi a controlli di sorta.

Stando così le cose, non può essere apprezzato il richiamo dell'ordinanza all'art. 38 della Costituzione per desumere la illegittimità dell'art. 91 del più volte citato decreto presidenziale, perché proprio la norma di cui all'art. 91 é in grado di apprestare il mezzo adeguato alle esigenze di vita dell'infortunato, offrendogli sia la indennità per la inabilità temporanea sia la cura necessaria per la restaurazione della salute e quindi il pieno recupero della attività lavorativa.

5. - Si osservi ancora che se la valutazione dell'ernia inoperabile comporta una rendita di inabilità corrispondente alla riduzione del 15% dell'attitudine al lavoro, tale rendita, ove fosse prevista anche per l'ernia operabile, risulterebbe ulteriormente più esigua e comunque tale da non garantire le esigenze di vita dell'infortunato. Quando addirittura la valutazione dell'infermità non fosse per risultare inferiore al minimo stabilito dalla legge perché si possa costituire la rendita per infortunio (invalidità superiore al 10% - art. 74 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 -).

Non é, in conseguenza, censurabile sotto il profilo costituzionale il criterio del legislatore che ha fissato la corresponsione della rendita per invalidità solo al lavoratore infortunatosi con ernia inoperabile, ed ha apprestato per chi é colpito da ernia operabile i ristori descritti.

Non appare invero irrazionale la previsione, alla stregua dei dettami della scienza medica e dell'esperienza, della reversibilità di quest'ultimo stato morboso, che, debellabile da atto operatorio, non assume carattere di invalidità permanente.

6. - Non é da accogliersi l'argomento di cui l'ordinanza di rimessione si avvale e secondo cui "non può mai ex ante escludersi con sicurezza la pericolosità dell'intervento chirurgico (addirittura anche per la vita dell'operando) di modo che l'unico rimedio assicurativo nella specie previsto e cioé l'intervento stesso può concretamente risolversi in un danno per l'interessato".

Si osserva, in contrario, che se dovesse essere vagliata anche la più remota possibilità di un pericolo, addirittura mortale, per ogni atto chirurgico, mai si dovrebbe intervenire sul corpo di un paziente reso inabile da malattia o infortunio sul lavoro, anche quando un semplice atto operatorio potrebbe restituirlo perfettamente efficiente alla normale attività.

Non può essere consentito ricorrere a criteri di infallibilità o di certezza assoluta e matematica nella previsione dei risultati di qualsivoglia azione umana. É invece da ritenere che i collegi arbitrali prima di emanare un giudizio di operabilità agiscano con la massima prudenza senza trascurare ogni elemento che possa condurre ad una previsione di incertezza sul risultato o di un sensibile pericolo. Tale giudizio, quindi, farà seguito, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, ad un premuroso e scrupoloso vaglio di tutte le condizioni fisio-psichiche del paziente.

La scienza chirurgica ha compiuto progressi eccezionali e vi sono atti operatori che, in base alla umana certezza, possono essere dichiarati esenti da pericolo; altri la cui pericolosità varia da un grado minimo ad un massimo, e tutto ciò da valutarsi in concreto per ogni singolo caso in rapporto alla diversa struttura fisica e psichica del paziente.

7. - Circa il denunciato contrasto dell'art. 91 della legge infortunistica con l'art. 32 della Costituzione, ravvisato nel fatto che mentre "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo" l'art. 91, "ponendo il lavoratore infortunato nell'alternativa di restare senza rendita o operarsi, può indurlo ad una scelta potenzialmente dannosa per la sua salute", questa Corte ha già puntualmente risposto, argomentando in tema dell'art. 38 della Costituzione, e sottolinea che la norma impugnata intende precisamente tutelare la salute del lavoratore offrendogli quei mezzi che sono ragionevolmente ritenuti necessari per ricostituirla allorché compromessa.

Questa Corte osserva infine che la norma impugnata non impone all'infortunato l'obbligo di subire l'intervento operatorio ma stabilisce che, nel caso di ernia addominale, l'Istituto assicuratore é tenuto solo alle prestazioni mediche e chirurgiche e al pagamento della indennità per l'inabilità temporanea e quando si tratti di ernia non operabile allora é dovuta la rendita di inabilità.

Nella ipotesi pertanto di ernia operabile, non sorge per l'infortunato alcun diritto a una rendita; né questa potrà essere corrisposta dopo l'atto operatorio, ove l'infortunato abbia riacquistato la capacità lavorativa.

Si osserva ancora che la valutazione della misura del ristoro per l'infortunio che abbia causato ernia operabile, appartiene al giudizio del legislatore e che non appare irragionevole il giudizio che il legislatore ne ha dato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 91 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, sollevata in riferimento agli artt. 38 e 32 della Costituzione, dal giudice del lavoro del tribunale di Pistoia, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 dicembre 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1977.