Sentenza n. 153 del 1977

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SENTENZA N. 153

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 4, 10, 11, 12, 14 e 15 della legge 11 febbraio 1971, n. 11 e degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge 10 dicembre 1973, n. 814 (nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici e relative modifiche), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 20 febbraio 1973 dal tribunale di Ravenna, nella controversia agraria vertente tra l'Ordine della Casa Matha e la Federazione delle cooperative della provincia di Ravenna, iscritta al n. 189 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 183 del 18 luglio 1973;

2) ordinanza emessa il 4 dicembre 1973 dal tribunale di Brescia, nella controversia agraria vertente tra Manfredi Ida e Molinari Umberto, iscritta al n. 15 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 69 del 13 marzo 1974;

3) ordinanza emessa il 20 febbraio 1973 dal Consiglio di Stato - sezione VI, nella controversia agraria vertente tra Siciliani Mario e l'Ispettorato provinciale dell'agricoltura di Catanzaro, iscritta al n. 123 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 133 del 22 maggio 1974;

4) ordinanza emessa il 26 febbraio 1974 dal tribunale di Mantova, nella controversia agraria vertente tra Pavesi Valentina e Lugli Attilio ed altro, iscritta al n. 206 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 167 del 26 giugno 1974;

5) ordinanza emessa il 16 aprile 1974 dal tribunale di Mantova, nella controversia agraria vertente tra Cimarosti Paola ed altri e Algisi Giuseppe ed altri, iscritta al n. 252 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 180 del 10 luglio 1974;

6) ordinanza emessa il 4 luglio 1974 dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nella controversia agraria vertente tra Acquaviva Francesco e Zarone Bruno ed altri, iscritta al n. 495 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14 del 15 gennaio 1975;

7) ordinanza emessa il 22 ottobre 1974 dal tribunale di Brescia, nella controversia agraria vertente tra Marini Giovanni ed altro e Rolli Giuseppe, iscritta al n. 51 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 77 del 20 marzo 1975;

8) ordinanza emessa il 20 novembre 1974 dal tribunale di Modena, nella controversia agraria vertente tra Poppi Giuseppina e Severi Luigi, iscritta al n. 117 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 166 del 25 giugno 1975;

9) ordinanza emessa il 3 dicembre 1974 dal tribunale di Agrigento, nella controversia agraria vertente tra Dall'Asta Eletta ed altri e Caudiano Orazio, iscritta al n. 237 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 195 del 23 luglio 1975;

10) ordinanza emessa il 28 giugno 1975 dal tribunale di San Remo nella controversia agraria vertente tra Tardio Marco e Capponi Rodolfo ed altra, iscritta al n. 362 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 268 dell'8 ottobre 1975;

11) ordinanza emessa il 17 giugno 1975 dal tribunale di Sassari, nella controversia agraria vertente tra Sechi Antonio e Fancellu Pietro, iscritta al n. 402 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 288 del 29 ottobre 1975.

Visti gli atti di costituzione dell'Ordine della Casa Matha, di Siciliani Mario, di Pavesi Valentina, di Cimarosti Paola ed altri, di Zarone Bruno e Giuseppe, di Poppi Giuseppina, di Dall'Asta Eletta ed altri, della Federazione delle cooperative della Provincia di Ravenna, di Algisi Giuseppe e Marino, di Fancellu Pietro, e dell'Ispettorato provinciale dell'agricoltura di Catanzaro, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 ottobre 1977 il Giudice relatore Guido Astuti;

uditi l'avv. Salvatore Orlando Cascio per l'Ordine della Casa Matha, l'avv. Carlo Selvaggi per Siciliani Mario, l'avv. Aldo Sandulli per Pavesi Valentina, Cimarosti Paola ed altri e per Dall'Asta Eletta ed altri, l'avv. Gino Mori per Poppi Giuseppina, gli avv.ti Emilio Romagnoli e Giuseppe Di Stefano per la Federazione delle cooperative della Provincia di Ravenna, l'avv. Emilio Romagnoli per Algisi Giuseppe e Marino, l'avv. Guido Cervati per Fancellu Pietro, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa per l'Ispettorato provinciale dell'agricoltura di Catanzaro e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Il tribunale di Ravenna nel corso di una controversia agraria vertente tra l'Ordine della Casa Matha e la Federazione delle cooperative della Provincia di Ravenna ha sollevato, accogliendo l'eccezione di parte attrice, questione di legittimità costituzionale degli artt. 15, primo ed ultimo comma, e 4, terzo comma, della legge 11 febbraio 1971, n. 11, in relazione agli artt. 3 e 42 Cost., nonché degli artt. 10, 11, 12 e 14 della stessa legge, in relazione agli artt. 3, 41, 42 e 44 della Costituzione.

Si afferma nell'ordinanza di rinvio che gli artt. 4 e 15 cit., nel disciplinare la determinazione del canone per l'affitto dei fondi rustici non darebbero adeguato rilievo ai miglioramenti eseguiti dal proprietario, con conseguente violazione del principio di eguaglianza, in quanto la posizione del proprietario che esegue miglioramenti sarebbe uguale a quella di un proprietario assenteista, che possa già godere del canone massimo per l'esistenza di colture di pregio, consentite dalla fertilità del terreno, o per l'adozione da parte della competente Commissione tecnica provinciale di un minimo o di un massimo molto elevato. Inoltre le norme impugnate non tenendo conto dei miglioramenti eseguiti prima della loro entrata in vigore, determinerebbero un esproprio senza indennizzo dei capitali investiti per tale esecuzione, per i quali non sarebbe previsto alcun adeguato corrispettivo. Ciò in violazione dell'art. 42 Cost., che, in materia di espropriazioni, fissa anche il principio della riserva di legge, con cui sarebbe incompatibile il sistema previsto dalle norme impugnate, le quali introdurrebbero una forma di espropriazione occulta, anche per l'assenza di elementi e criteri idonei a delimitare la discrezionalità della pubblica amministrazione.

Quanto agli artt. 10, 11, 12 e 14 della stessa legge, si osserva nell'ordinanza che tali norme - tutte riguardanti il regime dei miglioramenti del fondo locato - determinerebbero notevoli discriminazioni tra proprietario e affittuario che eseguono miglioramenti, con palese violazione del principio di eguaglianza e del precetto costituzionale che impone al legislatore di agevolare la formazione della proprietà contadina. Il principio di eguaglianza e l'art. 42 Cost. sarebbero violati anche sotto altri aspetti: in materia di miglioramenti il proprietario - locatore sarebbe discriminato rispetto a qualsiasi altro proprietario di fondi rustici che possa condurre direttamente il proprio fondo, ovvero sia titolare di rapporti agrari di diversa natura, quale quello di mezzadria; i proprietari di fondi rustici sarebbero posti in una posizione assolutamente ed ingiustificatamente deteriore rispetto ai proprietari di altri beni immobili.

Analoghe questioni, relativamente agli artt. 11, 12, primo e quarto comma, e 14 della stessa legge, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 44 Cost., il Consiglio di Stato, sul ricorso proposto da Siciliani Mario contro l'Ispettorato provinciale dell'agricoltura di Catanzaro.

Anche il tribunale di Brescia, nelle controversie vertenti tra Manfredi Ida e Molinari Umberto, e tra Marini Giovanni e Rolli Giuseppe, ha dedotto la illegittimità del citato art. 14 della legge n. 11 del 1971, per violazione del principio di eguaglianza in relazione alla disparità di trattamento fatta al proprietario rispetto all'affittuario coltivatore diretto, e al proprietario di fondo affittato a coltivatore diretto rispetto al proprietario di fondo affittato a conduttore non coltivatore.

In tutti i giudizi é intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, osservando che le censure mosse agli artt. 15 e 4 riguarderebbero, in realtà, il meccanismo di determinazione del canone, già disciplinato dall'art. 3 della stessa legge e dichiarato incostituzionale con sentenza n. 155 del 1972, onde le censure stesse andrebbero dichiarate manifestamente infondate.

Gli artt. 10, 11, 12 e 14 non violerebbero, a loro volta, i precetti costituzionali invocati dalle ordinanze, sia per la diversità di posizione oggettivamente esistente tra proprietario ed affittuario e sia per la funzione sociale della proprietà, che importa, per la proprietà terriera, l'imposizione di vincoli e di obblighi per conseguire il razionale sfruttamento del suolo e stabilire equi rapporti sociali. A tali principi intenderebbero appunto dare adeguata attuazione le norme impugnate.

Si é costituito in giudizio l'Ordine della Casa Matha, affermando la fondatezza delle questioni proposte sulla base di argomentazioni simili a quelle svolte nell'ordinanza del tribunale di Ravenna. Analoghe considerazioni ha svolto Siciliani Mario.

La Federazione delle cooperative, anch'essa costituitasi in giudizio, ha eccepito la irrilevanza, e, comunque, la manifesta infondatezza delle questioni sollevate. In ordine alla rilevanza si é osservato che, vertendo il giudizio a quo sulla risoluzione del contratto esistente tra le parti, nessuna influenza sulla sua definizione potrebbe avere la impugnata disciplina dei miglioramenti.

Nel merito, poi, le questioni sarebbero del tutto infondate, essendo in ogni caso assicurata al proprietario che esegua miglioramenti un'adeguata remunerazione.

Analoghe considerazioni, per sostenere la infondatezza delle questioni sottoposte all'esame della Corte, sono state svolte anche dall'Ispettorato Provinciale dell'Agricoltura di Catanzaro.

Nel corso di una controversia agraria tra Sechi Antonio e Fancellu Pietro, durante la quale il giudizio era già stato sospeso una prima volta essendo stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge n. 11 del 1971, decisa in senso positivo con sentenza n. 155 del 1972, il tribunale di Sassari, accogliendo la nuova eccezione proposta dall'attore, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 42, secondo e terzo comma, 44 e 3 Cost., degli artt. 1, 2, 3 e 4, terzo comma, della legge 10 dicembre 1973, n. 814, emanata a seguito della indicata declaratoria di incostituzionalità.

Anche la nuova disciplina sarebbe illegittima, e contrasterebbe con i principi enunciati nella sentenza n. 155 del 1972 di questa Corte, continuando a prevedere coefficienti del tutto incongrui di moltiplicazione del reddito dominicale (art. 3), comportando la corresponsione della quota del canone relativa alla svalutazione monetaria solo in epoca successiva al momento in cui la svalutazione si é verificata (art. 1), stabilendo un coefficiente massimo di moltiplicazione del reddito dominicale per l'annata 1970-1971, senza una effettiva possibilità di adeguamento alla svalutazione monetaria (art. 4, terzo comma, e non prevedendo una situazione di pariteticità delle categorie interessate nella composizione della Commissioni tecniche provinciali (art. 2).

Tale complesso normativo urterebbe contro il principio di eguaglianza, per il deteriore trattamento riservato ai proprietari, nonché contro i precetti costituzionali che riconoscono e garantiscono la proprietà privata, non ammettendo l'esproprio senza indennizzo e prescrivendo incentivi per la piccola e media proprietà.

Analoga questione relativamente all'art. 3 della legge citata ha sollevato il tribunale di San Remo nella controversia tra Tardio Marco e Capponi Rodolfo e altri, rilevando, altresì, che la norma impugnata disconoscerebbe il diritto del locatore a ricevere una giusta remunerazione per i miglioramenti apportati, mentre tali miglioramenti sarebbero ampiamente compensati se apportati dal conduttore.

Argomentazioni simili a quelle sin qui esposte sono state invocate: dal tribunale di Agrigento, che, nella controversia vertente tra Dall'Asta Eletta ed altri e Candiano Orazio, ha denunciato la illegittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 4 cit. in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., nonché dell'art. 136 per la sostanziale inosservanza della sentenza, emessa in materia dalla Corte costituzionale, n. 155 del 1972; dal tribunale di Modena, che, nella controversia vertente tra Poppi Giuseppina e Severi Luigi, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dei cit. artt. 3, secondo e sesto comma, e 4, secondo e terzo comma, in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 Cost.; dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che, nel procedimento vertente tra Acquaviva Francesco e Vittorio e Zarone Bruno e Giuseppe, ha dedotto il contrasto degli artt. 1 e 3 della cit. legge n. 814 del 1973 con gli artt. 3,41 e 42 Cost.; dal tribunale di Mantova, che, nella controversia vertente tra Cimarosti Paola, Teresa e Cornelia e Algisi Giuseppe, ha prospettato la illegittimità dei cit. artt. 1, 2 e 3 per contrasto con gli artt. 3, 41,42,44 e 47 Cost., e, nella controversia vertente tra Pavesi Valentina e Lugli Attilio, ha prospettato la illegittimità dell'art. 4, secondo e terzo comma, della stessa legge, per contrasto con gli artt. 3,42 e 44 della Costituzione.

In tutti i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, la infondatezza delle questioni proposte. La normativa impugnata, da un lato non violerebbe il principio di eguaglianza per la obiettiva diversità delle situazioni confrontate, e dall'altro costituirebbe un efficace strumento di realizzazione dei precetti costituzionali in materia di vincoli, obblighi e funzione sociale della proprietà. Al titolare del diritto di proprietà sarebbe, poi, assicurato un congruo meccanismo di calcolo del canone.

Alla stregua di considerazioni simili é stata affermata da Fancellu Pietro e Algisi Giuseppe la infondatezza delle questioni sollevate nei rispettivi giudizi.

A loro volta, Pavesi Valentina, Dall'Asta Eletta, Poppi Giuseppina, Zarone Bruno e Giuseppe, e Cimarosti Paola, Teresa e Cornelia hanno sostenuto la illegittimità delle norme denunziate nei rispettivi giudizi, con argomentazioni analoghe a quelle contenute nelle ordinanze di rimessione.

Le indicate questioni sono state tutte congiuntamente discusse all'udienza del 12 febbraio 1976.

Con ordinanza 6 maggio 1976, n. 113, i giudizi sono stati riuniti per la loro connessione oggettiva ed é stata richiesta la produzione di alcuni documenti al Ministero dell'agricoltura e foreste e al Ministero delle finanze.

I giudizi riuniti, acquisiti gli atti richiesti, sono stati nuovamente trattati all'udienza del 19 ottobre 1977.

Considerato in diritto

  1. - Le undici ordinanze elencate in epigrafe propongono, sotto diversi profili, un duplice ordine di questioni di legittimità costituzionale, concernenti rispettivamente:
  2. a) le disposizioni sui poteri degli affittuari di fondi rustici in ordine alla esecuzione dei miglioramenti, contenute negli artt. 4, terzo e quarto comma, 10, 11, 12,14,15, primo e sesto comma, della legge 11 febbraio 1971, n. 11, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 44 della Costituzione;
  3. b) le disposizioni sulla determinazione, l'adeguamento e la corresponsione dei canoni di affitto rustico, contenute negli artt. 1, quarto e quinto comma, 2, primo comma, 3, secondo, terzo, quarto, sesto e undicesimo comma, 4, secondo e terzo comma, della legge 10 dicembre 1973, n. 814, in riferimento agli artt. 3, 41, 42,44,47 e 136 della Costituzione.

Con ordinanza 6 maggio 1976, n. 113, la Corte ha riunito i giudizi per la loro connessione oggettiva, e, ritenuto comune a tutti, direttamente e indirettamente, il controllo della rispondenza ai suoi fini funzionali del meccanismo di determinazione e di aggiornamento dei canoni, ha disposto la produzione di una serie di atti e documenti da parte del Ministero dell'agricoltura e delle foreste e del Ministero delle finanze.

Nel giudizio promosso dal tribunale di Ravenna con ordinanza n. 189 del 1973, la parte convenuta ha eccepito il difetto di rilevanza delle questioni di costituzionalità, assumendo che la contestata disciplina dei miglioramenti non avrebbe alcuna influenza sulla definizione della causa, concernente una domanda di risoluzione di contratto di affitto. Ma l'eccezione deve essere respinta, perché, come ha osservato l'ordinanza rimessione motivando espressamente sulla rilevanza, le disposizioni denunciate sono state richiamate proprio dalla parte convenuta, per giustificare il proprio rifiuto di adempiere le obbligazioni contrattuali.

  1. - Ovvie considerazioni di ordine logico inducono ad esaminare per prime le questioni concernenti le nuove disposizioni della legge n. 814 del 1973 circa la determinazione, l'adeguamento e la corresponsione dei canoni.

La legge 11 febbraio 1971, n. 11 aveva apportato profonde innovazioni rispetto alla previdente disciplina dell'affitto di fondi rustici, contenuta nella legge 12 giugno 1962, n. 567, disponendo, tra l'altro, che il canone é sempre determinato e corrisposto in denaro (art. 1); che le tabelle dei canoni minimi e massimi di equo affitto, determinate ogni quattro anni dalle commissioni tecniche provinciali per zone agrarie omogenee di ciascuna provincia, debbono essere formate prendendo a base i redditi dominicali dei terreni risultanti in catasto a norma del regio decreto- legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976, e stabilendo, per ogni qualità di coltura ed eventuali gruppi di classi, individuati in catasto, coefficienti di moltiplicazione compresi tra un minimo di 12 volte ed un massimo di 45 volte, in conformità alle direttive della commissione tecnica centrale (art. 3); che conseguentemente i canoni di affitto sono determinati moltiplicando il reddito dominicale dei fondi per i coefficienti stabiliti dalle commissioni (art. 4).

Questa Corte, con sentenza 27 luglio 1972, n. 155, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità dell'art. 3, secondo comma, della citata legge, nella parte in cui dispone che per la formazione delle tabelle per i canoni di equo affitto sono presi a base i redditi dominicali; ma ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 3 e 4, primo comma, "nella parte in cui non limitano l'applicazione delle norme in essi contenute ai soli affittuari che coltivano il fondo col lavoro proprio e dei propri familiari, e non escludono gli affittuari imprenditori", nonché dell'art. 3, secondo e sesto comma, "nella parte in cui fissa tra 12 e 45, e con riferimento a un caso particolare in 36, i coefficienti di moltiplicazione del reddito dominicale ai fini della determinazione del canone"; ed ha inoltre dichiarato l'illegittimità dell'art. 1 della stessa legge "nella parte in cui non prevede alcuna forma di periodica rivalutazione del canone in denaro".

Per eliminare le lacune normative conseguenti alla decisione di questa Corte, e sanare gli accertati vizi di legittimità della nuova disciplina dell'affitto rustico, la legge n. 814 del 1973 ha disposto all'art. 1 la determinazione da parte delle commissioni tecniche provinciali, ogni due anni e per le singole zone agrarie, di coefficienti di adeguamento dei canoni in aumento o in diminuzione, da applicarsi sui valori monetari dei canoni stabiliti sulla base delle tabelle formate dalle commissioni stesse; ed ha d'altra parte dettato, all'art. 3, una serie di disposizioni relative alla determinazione delle tabelle per i canoni di equo affitto, consentendo l'adozione di coefficienti di moltiplicazione dei redditi dominicali compresi tra un minimo di 24 ed un massimo di 55 volte; l'applicazione di coefficienti aggiuntivi fino a otto punti in più per i fondi rustici dotati di fabbricati colonici o aziendali, e fino a sette punti in più per i fondi dotati di efficienti investimenti fissi, non valutati in catasto; nonché di un ulteriore coefficiente di maggiorazione da un minimo di cinque a un massimo di dieci punti per la determinazione dei canoni dovuti dagli affittuari che non siano coltivatori diretti.

  1. - Il nuovo sistema di determinazione e aggiornamento dei canoni, quale risulta fondamentalmente dalle disposizioni degli artt. 3, secondo comma, e 1, quarto e quinto comma, della legge n. 814 del 1973, é denunciato dalle ordinanze dei tribunali di Mantova (n. 252/1974), Santa Maria Capua Vetere (n. 495/1974), Agrigento (n. 237/1975), Sassari (n. 402/ 1975), e Modena (n. 117/1975: quest'ultima, limitatamente all'art. 3, secondo comma). Si osserva nelle ordinanze, con motivazioni sostanzialmente conformi che i coefficienti di moltiplicazione dei redditi dominicali stabiliti per la formazione delle tabelle sono del tutto inidonei ad un'equa determinazione dei canoni, risultando non solo nettamente inferiori a quelli indicati da questa Corte con riguardo al 1971, ma altresì incongrui per effetto dell'ulteriore svalutazione della moneta; che d'altra parte anche le disposizioni dell'art. 1 sui coefficienti di adeguamento dei valori monetari dei canoni in denaro sono inidonee allo scopo, per la complessità del procedimento di determinazione e per il costante ritardo nella applicazione.

La questione, per quanto concerne i coefficienti applicazione dei redditi catastali, é fondata. Occorre ricordare, al riguardo, che i redditi imponibili dominicali risultanti dal catasto terreni in seguito alla revisione generale degli estimi disposta dal r.d.l. 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976, furono stabiliti sulla base della media dei prezzi correnti dei prodotti e dei mezzi di produzione nel triennio 1937-1939; e che, d'altra parte, il nuovo catasto, formato a norma del t.u. 8 ottobre 1931, n. 1572, e oggi in larga misura inidoneo a rispecchiare l'effettiva realtà dei fondi rustici sia per quanto concerne le qualità di coltura e le classi di produttività, sia per la consistenza dei fabbricati, impianti ed investimenti fissi, non valutati in catasto, anche a causa della notoria lentezza e difficoltà delle operazioni di revisione del classamento dei terreni migliorati di qualità di coltura o di classe, e di variazione, in aumento o in diminuzione, dell'estimo catastale. Di questa situazione obiettiva il legislatore é ben consapevole, e nella stessa legge n. 814 ha dettato speciali disposizioni perché, nelle zone e nei casi in cui il canone risulti gravemente sperequato rispetto al livello medio, gli uffici tecnici erariali, secondo le indicazioni della commissione tecnica centrale, pongano in essere con precedenza assoluta le procedure di legge per la revisione di ufficio dei dati catastali, autorizzando la commissione stessa a determinare, in via provvisoria e salvo conguaglio, coefficienti di moltiplicazione diversi da quelli previsti dall'art. 3, secondo, terzo e quarto comma. Ma queste disposizioni di carattere eccezionale, per la cui attuazione é stato emanato il d.m. 19 gennaio 1974 (che tra l'altro impegna le commissioni tecniche provinciali a riferire prontamente sulle denunciate situazioni di grave sperequazione dei canoni ed a promuovere i relativi accertamenti), non hanno potuto avere finora apprezzabile applicazione, secondo quanto risulta dagli atti prodotti dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste, anche per il rilievo fatto dalla commissione tecnica centrale che "soltanto la legge può stabilire i limiti minimi e massimi dei canoni".

Anche prescindendo dai casi marginali di grave sperequazione dei canoni, si deve riconoscere che la misura dei coefficienti di moltiplicazione dei redditi dominicali, stabilita tra un minimo di 24 volte ed un massimo di 55 volte, é assolutamente inidonea a consentire alle commissioni tecniche provinciali la formazione di tabelle che conducano alla determinazione di canoni equi, tali da assicurare, accanto alla giusta remunerazione del lavoro, una remunerazione non irrisoria del capitale fondiario e degli investimenti effettuati dai proprietari. La nuova misura dei canoni, rispetto a quelli praticati come equi in base alla disciplina vigente prima della legge 11 febbraio 1971, n. 11, risulta generalmente ridotta ad un livello tanto basso da rendere, in taluni casi, addirittura onerosa la proprietà della terra, o da ridurre il relativo reddito, considerati anche gli oneri fiscali, a valori privi di corrispondenza con l'effettiva produttività dei fondi.

Alle considerazioni già svolte a questo riguardo dalla precedente decisione di questa Corte, di cui l'ulteriore svalutazione della moneta ha notevolmente accresciuto la gravità, deve aggiungersi la constatazione che il nuovo regime dei canoni, lungi dal promuovere l'auspicata valorizzazione del contratto di affitto, ritenuto oggi lo strumento più idoneo per lo sviluppo, in Italia come negli altri paesi della Comunità economica europea, di moderne imprese agricole, capaci di alta produttività per dimensioni economiche, organiche strutture aziendali ed efficienza tecnica, ha determinato una seria crisi dei rapporti contrattuali tra proprietà ed impresa, con una accresciuta conflittualità ed una stabilizzazione di situazioni spesso antieconomica e non soddisfacente né per i concedenti né per gli affittuari o aspiranti ad ottenere terre in affitto. La conferma di questa crisi é offerta dagli accordi sindacali prodotti in giudizio, stipulati negli anni 1976 e 1977 tra le federazioni nazionali della proprietà fondiaria e degli affittuari conduttori (con l'adesione, da ultimo, anche della federazione provinciale dei coltivatori diretti di Milano), nel dichiarato fine di pervenire, di là dalle stesse disposizioni di legge, ad una congrua disciplina del contratto di affitto, "come strumento insostituibile ed in ogni caso più idoneo e flessibile per la necessaria ristrutturazione agricola", con una giusta correlazione tra lunga durata del rapporto e aggiornamento del valore del canone.

  1. - La illegittimità dell'art. 3, secondo comma, é denunciata dalle ordinanze in riferimento agli artt. 3, 42, secondo e terzo comma, 44 Cost., nonché agli artt. 41 e 47. Il terzo comma dell'art. 42 non può costituire parametro idoneo, perché la inadeguatezza dei canoni di affitto, pur rappresentando una menomazione dei poteri attuali di godimento, non integra una fattispecie espropriativa in senso proprio; non pertinente, e comunque non determinante, appare anche il richiamo ai principi enunciati dagli artt. 41 e 47 della Costituzione sulla libertà dell'iniziativa economica e sulla tutela del risparmio. Deve invece riconoscersi il contrasto sia con l'art. 3 Cost., per le gravi disparità di trattamento determinate dall'applicazione delle tabelle, anche tra i proprietari di terreni appartenenti a zone agrarie omogenee d'una stessa provincia, secondo quanto risulta dagli atti e documenti prodotti in giudizio, sia con le fondamentali disposizioni dell'art. 42, secondo comma, e dell'art. 44, primo comma. La legge riconosce e garantisce la proprietà privata, e in particolare aiuta la piccola e media proprietà terriera, alla quale può bensì imporre obblighi e vincoli, ma per il duplice fine del razionale sfruttamento del suolo e del conseguimento di equi rapporti sociali, senza incidere eccessivamente sulla sostanza del diritto di proprietà, a beneficio di altri soggetti privati, pur meritevoli di speciale tutela.

Questa Corte non intende fornire nuove indicazioni, oltre quelle già date in via esemplificativa nella precedente sentenza, circa la congruità dei coefficienti di moltiplicazione minimo e massimo, che spetta al legislatore di stabilire nella sua ampia discrezionalità di valutazione politica; ma ritiene di dover esprimere l'esigenza che, volendosi tener fermo il sistema di determinazione dei canoni sulla base dei redditi dominicali, nel periodo che sarà necessario per l'attuazione della nuova revisione generale degli estimi e del classamento del catasto terreni disposta dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 604, i coefficienti di moltiplicazione dei redditi riferiti al triennio 1937-1939 vengano fissati in misure più congrue, e con più ampio divario tra il coefficiente minimo ritenuto idoneo a garantire ad ambo le parti l'equità del canone di affitto, e quello massimo consentito dalla produttività dei migliori terreni, sì da permettere alle commissioni tecniche provinciali di procedere alla formazione delle tabelle, in conformità alle direttive della commissione tecnica centrale, con una maggiore elasticità di apprezzamento, aderente alla multiforme varietà delle situazioni caratteristiche delle diverse zone agrarie.

  1. - In correlazione con l'accertata illegittimità dell'art. 3, secondo comma, nella parte in cui stabilisce tra un minimo di 24 e un massimo di 55 volte i coefficienti di moltiplicazione dei redditi dominicali, occorre considerare le disposizioni dell'art. 1 della stessa legge, dirette a consentire l'applicazione, sui valori monetari dei canoni stabiliti sulla base delle tabelle formate ogni quattro anni dalle commissioni tecniche provinciali, di coefficienti di adeguamento in aumento o in diminuzione. Anche queste disposizioni sono state denunciate dalle stesse ordinanze dei tribunali di Mantova, Santa Maria Capua Vetere, Agrigento e Sassari, rilevando che sarebbero inidonee ad assicurare una forma di rivalutazione periodica dei canoni in denaro, corrispondente alle variazioni di valore della moneta, secondo il principio enunciato da questa Corte nella sentenza n. 155 del 1972.

Al riguardo si deve riconoscere che il meccanismo di formazione di questi coefficienti non ha finora funzionato in modo soddisfacente, sia per la complessità del procedimento nelle sue diverse fasi, sia per le difficoltà di attuazione delle relative operazioni, e anzitutto delle rilevazioni statistiche. Di fatto, la determinazione delle zone agrarie omogenee da parte delle commissioni tecniche provinciali, secondo le direttive della commissione centrale, é stata effettuata non solo con ovvio ritardo rispetto al termine ordinatorio di tre mesi, ma anche con sorprendente difformità di risultati: dai prospetti riassuntivi forniti dalla commissione tecnica centrale nella relazione 22 marzo 1976, si rileva che in alcune province é stata individuata una sola zona, in altre un numero variabile da due a cinque, o da sei a dieci, ed in altre ancora un numero maggiore, fino a ventisei e trentadue zone omogenee; che in qualche caso, rispetto alla suddivisione già effettuata a norma della legge n. 11 del 1971, il numero delle zone é stato aumentato da uno a ventisei, ovvero diminuite da trentanove a nove. E agevole comprendere le difficoltà incontrate dall'Istituto centrale di statistica nella rilevazione (annuale), per le singole zone agrarie, dei dati relativi ai prezzi dei prodotti agricoli, ai costi di produzione ed alla remunerazione del lavoro. Di fatto, nel corso del primo biennio di applicazione della legge n. 814 del 1973, le commissioni tecniche provinciali non hanno potuto provvedere alla determinazione dei coefficienti di adeguamento dei canoni, in quanto la commissione centrale, non disponendo dei necessari dati, non era stata in grado di impartire le direttive previste dalla legge; ed anche per il secondo biennio, secondo la documentazione prodotta dal Ministero dell'agricoltura, risulta che solo le commissioni di Mantova e Sassari hanno determinato coefficienti percentuali di adeguamento (nella misura del 15 e rispettivamente del 20-25%), mentre quelle delle altre province interessate non hanno applicato alcun coefficiente.

Altri inconvenienti dipendono dalla difficoltà di coordinamento tra le disposizioni dell'art. 1 e dell'art. 3 per quanto attiene ai tempi di applicazione dei coefficienti di adeguamento. Questi debbono essere determinati ogni due anni, ed applicati sui valori monetari dei canoni "a far tempo dall'annata agraria successiva alla determinazione"; pertanto, posto che nel primo biennio di applicazione delle tabelle quadriennali non v'é stato luogo ad alcun adeguamento, i coefficienti di adeguamento avrebbero dovuto essere stabiliti prima del terzo anno, sì da poter operare regolarmente a cominciare dal secondo biennio, sopra i valori monetari dei canoni stabiliti ogni quattro anni, evitandone l'applicazione su valori non omogenei, nella ipotesi normale di modificazione delle tabelle ogni quadriennio.

Tutti questi inconvenienti dovranno essere eliminati con un migliore coordinamento delle disposizioni sotto il profilo tecnico-normativo, e con l'avvio d'un regolare ciclo di adempimento delle diverse operazioni amministrative. Essi non sono tuttavia tali, a giudizio di questa Corte, da comportare allo stato una declaratoria di illegittimità dell'art. 1, le cui disposizioni non confliggono con alcuno dei parametri costituzionali indicati, ed appaiono, nel complesso, idonee, se puntualmente e tempestivamente applicate in conformità alla ratio che ne ha dettato l'introduzione, ad assicurare il periodico adeguamento del valore monetario dei canoni, in rapporto alle variazioni del valore della lira.

Il dubbio sulla costituzionalità dell'art. 1 é stato prospettato dal tribunale di Agrigento anche sotto il particolare profilo che il legislatore avrebbe omesso di fissare criteri in ordine alla emanazione delle direttive da parte della commissione tecnica centrale, ciò che integrerebbe violazione della riserva di legge per l'imposizione di limiti alla proprietà privata. Ma anche sotto questo aspetto la questione é infondata, perché i criteri per l'esercizio delle funzioni attribuite alla competenza della commissione tecnica centrale, in ordine alla determinazione dell'equo canone, sono indicati con chiarezza dall'art. 6 della legge 11 febbraio 1971, n. 11, e d'altra parte le direttive previste dall'art. 1 della legge 10 dicembre 1973, n. 814 concernono operazioni di carattere prevalentemente tecnico, che non comportano imposizione di limiti alla proprietà, ed anzi tendono al fine di adeguare la misura dei canoni in denaro alle variazioni di valore della moneta.

  1. - L'ordinanza del tribunale di Modena (n. 117/1975) solleva questione di legittimità anche per le disposizioni dell'art. 3, sesto comma, e dell'art. 4, secondo e terzo comma, della legge n. 814 del 1973, in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione. Le disposizioni dell'art. 4, secondo e terzo comma, sono altresì denunciate dalle ordinanze dei tribunali di Mantova (n. 206/1974), Agrigento (n. 237/1975) e Sassari (n. 402/1975).

Per quanto concerne il sesto comma dell'art. 3, che fissa in via provvisoria l'equo canone nell'ammontare corrispondente a 42 volte il reddito dominicale per i casi in cui le tabelle non vengano tempestivamente determinate, o siano annullate o sospese, l'accoglimento della questione consegue come logico corollario, alla declaratoria di illegittimità del secondo comma dello stesso art. 3.

La questione é fondata anche rispetto alle disposizioni del secondo e terzo comma dell'art. 4, che regolano il conguaglio dei canoni già corrisposti in via provvisoria ai sensi dell'art. 3 della legge 11 febbraio 1971, n. 11 per le annate agrarie 1971-72 e 1972-73, e di quelli ancora dovuti per l'annata agraria precedente (1970-71), nella misura prevista dalla nuova legge e, rispettivamente, di 40 volte il reddito dominicale per gli affittuari coltivatori diretti e di 45 volte per gli affittuari non coltivatori. Queste norme di diritto transitorio sono necessariamente travolte dalla accertata illegittimità dell'art. 3, secondo comma, per le stesse ragioni già indicate e in riferimento ai medesimi parametri costituzionali. Quanto al terzo comma dell'art. 4 é inoltre palese il contrasto con l'art. 136 Cost., puntualmente richiamato dall'ordinanza del tribunale Agrigento, essendo stata confermata una misura dei canoni già dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 155 del 1972 di questa Corte.

L'ordinanza del tribunale di Mantova prospetta un ulteriore profilo di illegittimità per la mancata previsione dell'obbligo di corrispondere interessi in sede di conguaglio dei canoni, "con ipotizzabile violazione dell'art. 42 Cost.". Ma la questione non é fondata: l'omessa imposizione d'uno speciale obbligo di pagare interessi non integra violazione dell'art. 42, e gli effetti delle decisioni di questa Corte rispetto ai rapporti obbligatori pendenti (anche in relazione a quanto disposto dalle leggi 8 agosto 1972, n. 462,23 dicembre 1972, n. 844 e 9 agosto 1973, n. 508), sono regolati dalla legge comune.

  1. - L'ordinanza del tribunale di Agrigento (n. 237/1975) solleva, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., questione di legittimità della disposizione dell'art. 3, undicesimo comma, per cui i canoni di affitto stabiliti ai sensi della legge n. 814 del 1973 "non potranno essere superiori all'ottanta per cento di quelli risultanti dalla tabella determinata in base alle disposizioni della legge 12 giugno 1962, n. 567, vigente nell'annata agraria anteriore all'entrata in vigore della legge 11 febbraio 1971, n. 11" (ossia nell'annata 1969-70). Si osserva nella ordinanza di rimessione che questa norma preclude illegittimamente un ulteriore adeguamento dei canoni nel prossimo futuro, e costituisce ostacolo insormontabile all'effettiva rivalutazione dei canoni prevista dall'art. 1 della stessa legge.

E stato sostenuto nella discussione davanti a questa Corte che il limite massimo dei canoni nella misura dell'ottanta per cento di quelli stabiliti per l'annata agraria 1969-70 dovrebbe intendersi applicabile solo nella prima attuazione della legge, e tale interpretazione é stata suffragata col richiamo alla circolare della commissione tecnica centrale 20 luglio 1974, n. 14, ove si afferma che "naturalmente, decorso il primo biennio di applicazione della legge, entrerà in funzione il criterio di adeguamento di cui all'art. 1 della legge n. 814 del 1973 e questo potrebbe portare al superamento del tetto come sopra determinato". Ma questa interpretazione, pur dettata dall'apprezzabile intento d'una ragionevole applicazione, non é consentita dal chiaro tenore letterale della norma, che fissa quel limite inderogabile in termini generali per "i canoni di affitto ai sensi della presente legge", senza alcun riferimento temporale; e pertanto deve dichiararsi la illegittimità della norma stessa, in correlazione con quella del secondo comma dello stesso art. 3, e come sua logica conseguenza.

  1. - L'ordinanza del tribunale di San Remo (n. 362/ 1975), solleva questione di legittimità della disposizione dell'art. 3, terzo comma, lett. b. della legge n. 814 del 1973, in riferimento agli artt. 3,42 e 44 Cost., denunciando la insufficienza del coefficiente aggiuntivo "fino a sette punti in più", previsto per la determinazione dei canoni di fondi rustici dotati di efficienti investimenti fissi che rechino un diretto apporto alle condizioni di produttività. La questione concerne una fattispecie paradigmatica: il proprietario d'un fondo destinato alla redditizia coltivazione floreale, che aveva eseguito investimenti fissi prima dell'entrata in vigore delle nuove leggi del 1971-1973 nella legittima previsione di adeguata remunerazione, e aveva pattuito un canone di lire 800.000 annue, riceve ora un canone di sole lire 120.360, di fronte ad oneri, accertati da consulenza tecnica di ufficio, di circa lire 400.000 annue, mentre il conduttore ricava un reddito netto, depurato anche dell'importo del canone legale, di lire 5.394.760. La sperequazione, in questo caso particolare, é aggravata dal fatto che gli investimenti effettuati non hanno ancora dato luogo a revisione del classamento del fondo migliorato ed alla conseguente variazione dell'estimo catastale (la quale consentirà peraltro solo una parziale remunerazione del capitale investito nei miglioramenti); ma si tratta precisamente d'un caso tipico di grave sperequazione del canone rispetto al livello medio dei canoni stabiliti per la provincia di Imperia, che dovrebbe essere regolato a norma dell'art. 3, ottavo comma, e del d.m. 19 gennaio 1974. Nonostante la peculiarità della fattispecie, questa Corte ritiene che la questione di legittimità dell'art. 3, terzo comma, lett. b. non possa dichiararsi fondata, perché, in linea generale, i coefficienti aggiuntivi previsti dalle lett. a e b di detto comma non possono essere ritenuti assolutamente incongrui o irrisori, se applicati ad integrazione di canoni-base stabiliti in misura rispondente ad equità.

Naturalmente, il giudice a quo nella sua decisione potrà tener conto delle declaratorie di questa Corte relative alla illegittimità dell'art. 3, secondo comma, della legge n. 814 del 1973, nonché degli artt. 4, terzo comma, e 15 della legge n. 11 del 1971, di cui si dirà più oltre.

  1. - L'ordinanza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere (n. 495/1974), solleva questione di legittimità della disposizione dell'art. 3, quarto comma, per cui nella determinazione del canone dovuto dall'affittuario coltivatore diretto é previsto un coefficiente di maggiorazione da un minimo di cinque ad un massimo di dieci punti.

La disposizione configgerebbe con gli artt. 3, 41 e 42 Cost., per la insufficiente misura della maggiorazione consentita nei confronti dell'affittuario imprenditore, che non gode della speciale tutela garantita dagli artt. 35 e 36 Cost. all'affittuario coltivatore, e non potrebbe ricevere un trattamento privilegiato rispetto al proprietario, assistito da pari garanzia costituzionale.

La questione, proposta da quest'unica ordinanza in connessione a quella delle disposizioni degli artt. 1 e 3, secondo comma, non é fondata. Il coefficiente di maggiorazione, eliminata la inadeguatezza del canone-base, non può ritenersi assolutamente inidoneo a differenziare la posizione dell'affittuario imprenditore rispetto a quella del coltivatore diretto. La distinzione tra le due categorie é oggi assai meno rilevante che nel passato, sia perché la qualifica di coltivatore diretto (proprietario o conduttore) non comprende solo i più modesti lavoratori manuali che coltivano un piccolo fondo con il lavoro proprio e dei familiari, ma, secondo la vigente legislazione, é riconosciuta anche ad imprenditori che conducono aziende meccanizzate di notevole estensione e produttività, ricorrendo a salariati per i due terzi della mano d'opera occorrente; sia perché, d'altronde, accanto ai grossi affittuari conduttori di imprese capitalistiche v'é un cospicuo numero di medi e piccoli imprenditori agricoli che, pur senza essere lavoratori manuali della terra, vi svolgono una quotidiana attività di lavoro. La misura della maggiorazione discrezionalmente stabilita dal legislatore per gli affittuari non coltivatori sfugge pertanto alla proposta censura di incostituzionalità.

  1. - Le ordinanze dei tribunali di Mantova (n. 252/1974) e Sassari (n. 402/1975) sollevano la questione di legittimità della disposizione dell'art. 2, primo comma, nella parte in cui non prevede per la composizione delle commissioni tecniche provinciali, una rappresentanza paritetica dei proprietari che affittano fondi rustici a coltivatori diretti, rispetto a quella di questi ultimi. Secondo l'ordinanza del tribunale di Mantova, la norma confligge con gli artt. 3 e 44 Cost., per difetto di ragionevolezza, lesivo del principio della equità dei rapporti sociali; secondo l'ordinanza del tribunale di Sassari essa contrasta con l'art. 3 Cost., perché disconosce il principio della rappresentanza paritetica delle categorie controinteressate, a cui già si ispirava l'art. 2 della legge 12 giugno 1962, n. 567 e nel quale anche la relazione di maggioranza della commissione agricoltura del Senato sulla legge n. 814 aveva ravvisato "la più solida garanzia di una obbiettiva applicazione delle norme".

La questione é fondata. Già nella legge 18 agosto 1948, n. 1140 la composizione delle commissioni tecniche provinciali incaricate della valutazione dell'equità dei canoni era stata disposta su base paritetica, e la pariteticità delle rappresentanze dei contrapposti interessi era stata confermata ancora dalla legge 12 giugno 1962, n. 567. Essa era stata alterata, dopo oltre vent'anni, solo con l'art. 2 della legge 11 febbraio 1971, n. 11; ma il disegno governativo di legge presentato dopo la sentenza n. 155 del 1972 di questa Corte l'aveva ripristinata, e la relazione ministeriale dichiarava al riguardo che "si rende necessario modificare la composizione della commissione tecnica provinciale, assicurando la rappresentanza paritetica di tutte le categorie".

A difesa della non pariteticità della commissione é stato osservato che essa costituisce un collegio le cui deliberazioni possono essere validamente adottate con l'intervento della metà più uno dei componenti ed a maggioranza assoluta dei presenti; ma l'obiezione non appare pertinente, proprio perché trattasi di una commissione tecnica amministrativa, tipicamente caratterizzata dalla rappresentanza degli interessi delle diverse categorie di proprietari e di affittuari, per cui nulla può giustificare, nella sua composizione, una disparità di trattamento tra le categorie stesse.

Questa Corte, chiamata a giudicare della legittimità della legge 12 giugno 1962, n. 567, sotto il profilo della denunziata violazione del principio della riserva di legge attraverso il deferimento alle commissioni tecniche provinciali del potere di stabilire i limiti minimi e massimi della misura dei canoni di affitto rustico, nelle sentenze n. 40 e 80 del 1964 aveva già avuto occasione di osservare che le commissioni, non senza ragione definite dalla legge come "tecniche" in quanto chiamate alla redazione delle tabelle attenendosi essenzialmente alle regole tecniche dell'economia agraria, offrivano garanzia di imparzialità grazie alla rappresentanza paritetica delle categorie interessate. Per vero, non si comprende perché con la disposizione denunciata si sia voluto disattendere, proprio in ordine alla determinazione delle tabelle di "equo canone", questo requisito che costituisce presupposto essenziale per un imparziale e giusto regolamento dei contrapposti interessi; e ciò anche in relazione all'esigenza enunciata dall'art. 97 Cost., che dalle leggi siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Appare pertanto palese la violazione del principio di eguaglianza.

  1. - Quattro ordinanze, del tribunale di Ravenna (n. 189 /1973), del tribunale di Brescia (nn. 15/1974 e 51/1975), e del Consiglio di Stato (n. 123/1974), propongono questioni di legittimità delle disposizioni circa l'esecuzione dei miglioramenti e la loro incidenza sulle obbligazioni contrattuali e sulla misura dei canoni, introdotte dalla legge 11 febbraio 1971, n. 11. Il tribunale di Ravenna solleva un duplice ordine di questioni, denunciando la illegittimità degli artt. 15, primo e ultimo comma, e 4, terzo comma, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., nonché degli artt. 10, 11, 12 e 14, in riferimento agli artt. 3, 42 e 41 Cost. L'ordinanza, con riguardo ad un caso di specie in cui proprietario concedente e affittuario risultano entrambi esecutori di rilevanti miglioramenti apportati al fondo, osserva che per effetto delle disposizioni degli artt. 15 e 4 il proprietario il quale abbia eseguito miglioramenti prima dell'entrata in vigore della legge n. 11 del 1971, sarebbe praticamente espropriato dei capitali investiti nei miglioramenti stessi, senza il previsto corrispettivo, rappresentato dal canone anteriormente pattuito; e d'altra parte, ove già percepisca il nuovo canone nella misura massima di legge, o in base a un coefficiente tale misura, non avrebbe alcuna possibilità di ottenere un aumento, a remunerazione di nuovi miglioramenti, mentre la stessa legge riconosce all'affittuario miglioratore il diritto ad indennità, senza revisione del canone, e altri diritti. Anche le disposizioni degli artt. 10, 11, 12 e 14 attribuirebbero nel loro complesso all'affittuario una posizione privilegiata, nel palese intento di favorire l'esecuzione dei miglioramenti ad opera dei conduttori di fondi altrui, e di ostacolare invece, mortificandola, l'analoga iniziativa dei proprietari, posti in condizione di assoluta inferiorità: esse confliggerebbero pertanto con quanto disposto dagli artt. 3, 42 e 41 della Costituzione.

Anche il Consiglio di Stato denuncia, sotto profili in parte diversi, gli artt. 14, 11, 12, primo comma, e 4, quarto comma, della stessa legge, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 44 Cost. L'ordinanza rileva la disparità di trattamento riservata all'affittuario coltivatore diretto dall'art. 14, con disposizioni diverse e più favorevoli di quelle dell'art. 11, e la menomazione dei poteri di iniziativa e di controllo del proprietario; denuncia l'art. 11, in quanto attribuirebbe solo in apparenza ad entrambe le parti il potere di eseguire miglioramenti, mentre la legge pone sotto più aspetti in posizione di vantaggio le iniziative degli affittuari; osserva infine che il combinato disposto dell'art. 12, primo comma, e dell'art. 4, quarto comma, assicura all'affittuario miglioratore la proroga del contratto per almeno dodici anni oltre la scadenza e la facoltà di cessione del contratto ai propri familiari, escludendo per il proprietario ogni possibilità di revisione del canone fin quando non sia stata corrisposta l'indennità prevista dalla legge per la fine del rapporto, sicché l'affittuario acquisisce l'intero profitto dei miglioramenti.

A sua volta, il tribunale di Brescia denuncia con entrambe le ordinanze, in riferimento al solo art. 3 Cost., l'illegittimità delle disposizioni dell'art. 14, primo e secondo comma, rilevando la disparità di trattamento fatta al proprietario rispetto all'affittuario coltivatore diretto per quanto concerne il potere di iniziativa dei miglioramenti, e la disparità di trattamento tra il proprietario di fondo affittato a coltivatore diretto e il proprietario di fondo affittato a conduttore non coltivatore, sia per l'ingiustificata preclusione al proprietario di fondo affittato a coltivatore diretto del potere di eseguire miglioramenti, riconosciuto dall'art. 11, sia per l'adozione di diverse procedure di controllo, quali previste dall'art. 11 e dal primo combina dell'art. 14, sia infine per il potere attribuito dal secondo comma all'affittuario coltivatore diretto di eseguire senza alcun controllo i miglioramenti che possano essere compiuti con il lavoro proprio e della famiglia.

  1. - Le questioni sono solo in parte fondate. Con le norme del tit. II, "sui poteri dell'affittuario e sulla esecuzione dei miglioramenti", la legge n. 11 del l971 ha chiaramente inteso attribuire anche agli affittuari di fondi rustici il potere di promuovere ed eseguire miglioramenti, assumendo l'iniziativa nel caso di inerzia o impossibilità dei proprietari. Questo fine della riforma legislativa é pienamente legittimo: la Corte ha già avuto occasione di affermare al riguardo che "l'istanza del miglioramento é oggi intrinseca a tutte le forme di gestione dell'impresa agricola, e giustamente la nuova disciplina dell'affitto di fondi rustici introdotta con la legge 11 febbraio 1971, n. 11 in considerazione dell'interesse pubblico allo sviluppo quantitativo e qualitativo della produzione agraria, ha attribuito anche all'affittuario le più ampie iniziative di organizzazione e di gestione richieste dalla razionale coltivazione del fondo, dall'allevamento di animali, o dall'esercizio delle attività connesse, indipendentemente dall'esistenza di clausola migliorataria, anzi comminando la nullità di ogni clausola convenzionale limitatrice dei poteri riconosciuti all'affittuario per l'esecuzione dei miglioramenti" (sentenza n. 53 del 1974).

É, d'altra parte, fuori discussione la pienezza dei poteri che, in materia di miglioramenti, competono ai proprietari, anche per i terreni concessi ad altri in conduzione, salvo il rispetto delle iniziative e responsabilità di gestione dell'impresa agricola: l'art. 41 Cost. tutela l'iniziativa economica di tutti gli operatori privati; l'art. 42 consente limiti alla proprietà privata proprio per assicurarne la funzione sociale; l'art. 44 pone in risalto il duplice fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, comune alla proprietà e all'impresa. Con sentenza n. 107 del 1974, questa Corte, dichiarando l'illegittimità dell'art. 32 della legge n. 11 del 1971, ha riconosciuto il diritto del proprietario concedente di riacquistare la disponibilità del fondo locato, per compiervi opere di radicale trasformazione agraria la cui esecuzione sia incompatibile con la prosecuzione del rapporto, previo controllo dell'Ispettorato agrario sulla loro utilità.

Ciò premesso, occorre accertare se, e in quale misura, le disposizioni denunciate dalle ordinanze di rimessione abbiano determinato ingiusta disparità di trattamento tra affittuari e proprietari, o lesione dei diritti garantiti a questi ultimi dagli artt. 41, 42 e 44 della Costituzione.

  1. - L'art. 10 é richiamato dalla sola ordinanza del tribunale di Ravenna, in connessione con gli articoli successivi e senza speciale indicazione di motivi d'incostituzionalità. Il riconoscimento agli affittuari delle iniziative di organizzazione e di gestione richieste dalla razionale coltivazione dei fondi o dall'esercizio delle attività connesse, specie in relazione alle direttive di programmazione economica stabilite dalle competenti autorità, corrisponde ai poteri ed alle responsabilità proprie d'ogni imprenditore agricolo (cfr. art. 2135 codice civile); ed anche la facoltà consentita agli affittuari di partecipare ad organismi associativi risponde a fini di promozione della cooperazione tra gli agricoltori, di incontestabile legittimità. Può sorprendere, nel secondo comma dell'art. 10, il richiamo congiunto alla trasformazione e al miglioramento dei terreni, posto che l'intero tit. II della legge ha ad oggetto unicamente i miglioramenti (e le addizioni), e non contiene alcuna disposizione in ordine all'esecuzione di opere di trasformazione fondiaria o agraria in senso proprio, che la legge civile non consente nemmeno all'usufruttuario: ma tale questione non é stata specificamente sottoposta all'esame di questa Corte. É, d'altra parte, ovvio il rilievo che tutte le iniziative in ordine a miglioramenti da parte di affittuari singoli o associati sono soggette alle procedure di controllo stabilite dall'art. 11.
  2. - La questione non é fondata nemmeno per quanto concerne le disposizioni dell'art. 11, le quali espressamente riconoscono a ciascuna delle parti il potere di eseguire miglioramenti dei fondi e dei fabbricati rurali, "purché corrispondenti ai programmi regionali di sviluppo o, in difetto, alle tendenze di sviluppo delle zone in cui essi ricadono", nonché addizioni relative alla utilizzazione agricola, ossia migliorative, che non alterino la destinazione economica dei fondi. Anche il procedimento assicura alle parti una effettiva parità di condizioni, con eguali garanzie di controllo del progetto tecnico e di contraddittorio davanti all'Ispettorato agrario. Dopo il parere tecnico favorevole dell'Ispettorato l'affittuario proponente é tenuto ad invitare il proprietario a far conoscere se egli stesso intenda eseguire i miglioramenti, e soltanto in caso di risposta negativa o di silenzio o di inosservanza del termine indicato dall'Ispettorato per l'esecuzione dei lavori, l'affittuario é autorizzato a procedervi direttamente. Appare dunque del tutto ingiustificata l'affermazione che l'articolo 11 attribuisca alle parti solo in apparenza un eguale potere In ordine all'esecuzione dei miglioramenti. Al contrario, la parità é sostanziale quanto alle iniziative, e il procedimento conserva al proprietario la priorità per l'esecuzione, attribuendo giustamente all'affittuario il potere di provvedervi solo dopo avere accertato il rifiuto o l'inerzia del proprietario: talché queste disposizioni non possono considerarsi lesive né del principio di eguaglianza, né delle garanzie costituzionali della proprietà.

L'ordinanza del tribunale di Ravenna lamenta la imposizione al proprietario dei miglioramenti proposti dall'affittuario "per effetto di un provvedimento amministrativo assunto discrezionalmente dall'Ispettorato provinciale dell'agricoltura"; e quella del Consiglio di Stato fà richiamo ai contributi, agevolazioni e garanzie che l'art. 13 accorda, per l'esecuzione dei miglioramenti, agli affittuari, singoli o associati, con esclusione dei proprietari. Ma entrambe le osservazioni sono carenti di fondamento: il parere vincolante dell'Ispettorato agrario provinciale sui progetti tecnici di massima delle opere di miglioramento é atto di controllo tecnico, soggetto al normale sindacato di legittimità degli atti amministrativi, n regime di contraddittorio tra le parti interessate; e d'altra parte l'art. 13 non riserva ai soli affittuari, bensì estende ad essi le provvidenze accordate dalle leggi statali o regionali ai proprietari, ammettendone la concessione direttamente agli affittuari che eseguano i miglioramenti.

  1. - Le ordinanze del tribunale di Brescia e del Consiglio di Stato denunziano le disposizioni del primo comma dell'articolo 14, nel presupposto che esse precludano ai proprietari di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti l'iniziativa e l'esecuzione di miglioramenti, e rilevando la diversità della procedura di controllo preventivo all'esecuzione delle relative opere, che integrerebbe una ingiustificata disparità di trattamento. Ma il presupposto appare erroneo, perché la facoltà di eseguire miglioramenti é riconosciuta ai proprietari dall'articolo 11 in termini generali, senza alcuna limitazione all'ipotesi di affitto non coltivatori, sicché la prima disparità di trattamento denunciata dalle ordinanze non sussiste. L'art. 14 non consente all'affittuario coltivatore diretto altro beneficio che quello di una semplificazione del procedimento per i miglioramenti di cui assuma l'iniziativa, e sotto questo unico profilo deve essere valutata la legittimità delle sue disposizioni.

Indubbiamente il primo comma dell'art. 14, a differenza da quanto disposto dall'art. 11, non richiede la preventiva presentazione d'un progetto tecnico di massima, ma una semplice comunicazione al locatore; l'Ispettorato agrario provinciale può essere chiamato ad esercitare il proprio controllo sulle iniziative dell'affittuario solo sull'eventuale ricorso del proprietario; il silenzio dell'Ispettorato nel termine di legge equivale a rigetto del ricorso, e rende senz'altro possibile l'esecuzione dei miglioramenti. L'opportunità di questa diversa disciplina può essere opinabile, anche per le considerazioni già sopra svolte circa una troppo netta distinzione tra affittuari coltivatori ed affittuari non coltivatori; ma questa Corte ritiene peraltro che le disposizioni del primo comma dell'articolo 14 non integrino una disparità di trattamento lesiva del principio di eguaglianza, data la posizione di privilegio, differenziata rispetto a quella degli altri imprenditori agricoli, che la legislazione vigente accorda, sotto molteplici aspetti, ai coltivatori diretti, posizione che può giustificare un diverso regime quanto all'esecuzione dei miglioramenti, nel fine di esonerare questa categoria di lavoratori-imprenditori da più complessi e costosi adempimenti amministrativi, salva sempre la facoltà dei proprietari concedenti di ricorrere all'Ispettorato contro eventuali iniziative non rispondenti alle esigenze tecnico-economiche della conduzione aziendale. Anche il codice civile, del resto, dettava per i miglioramenti norme speciali nel caso di affitto a coltivatore diretto (cfr. artt. 1632 e seguenti - 1651).

Fondata é invece la questione di costituzionalità rispetto al secondo comma dell'art. 14 che attribuisce all'affittuario coltivatore diretto la facoltà di esecuzione dei miglioramenti che sia in grado di compiere col lavoro proprio e della famiglia, "senza dover seguire le procedure previste dal precedente comma e dall'art. 11", ossia senza nemmeno darne comunicazione al proprietario del fondo. Ora, é vero che l'art. 1651 del codice civile prevede l'eventualità che l'affittuario abbia eseguito miglioramenti senza essere autorizzato dal locatore, ma in tale ipotesi il giudice può attribuirgli una equa indennità solo quando trattasi di miglioramenti di durevole utilità per il fondo, che non siano il risultato dell'ordinata e razionale coltivazione; l'art. 14, invece, non pone alcun limite o requisito, salvo quello della capacità di esecuzione diretta, escludendo qualsiasi possibilità di divieto o di controllo, mentre altre norme della stessa legge accordano all'affittuario, anche per tali modesti lavori di miglioramento, una serie di diritti di grande importanza. Si impone pertanto la dichiarazione di illegittimità dell'art. 14, secondo comma, per contrasto con l'art. 3 in relazione agli artt. 41 e 42 Cost., per l'irrazionale disparità di trattamento che, consentendo l'esecuzione di migliorie anche inscio o invito domino, sacrifica oltre ogni giusta misura i diritti del proprietario concedente.

  1. - L'art. 12 della legge n. 11 del 1971 dispone che qualora l'affittuario abbia eseguito a sue spese i miglioramenti con le procedure di cui agli artt. 11 e 14, il contratto di affitto é prorogato, alla scadenza, per un periodo non inferiore ad anni dodici, e può altresì essere ceduto dall'affittuario ad uno o più componenti della propria famiglia, anche senza il consenso del locatore; e d'altra parte preclude al proprietario sia la possibilità di vendere il fondo, con effetto risolutivo del rapporto, anche per la formazione della proprietà coltivatrice, sia di riacquistare la disponibilità del fondo per condurlo personalmente, quando abbia la qualifica di coltivatore diretto. L'ordinanza del tribunale di Ravenna denunzia la violazione degli artt. 3 e 42 Cost., ravvisando nelle disposizioni dell'art. 12 "il tentativo di attribuire all'affittuario che abbia eseguito i miglioramenti un diritto reale sul fondo stesso, che mal si concilia con la specifica natura del rapporto di affitto", ed osservando che "tanto più grave appare l'incidenza sul diritto del proprietario di disporre del proprio fondo, quando nello stesso art. 12 si prevede proprio contro il proprietario coltivatore diretto il divieto di condurre direttamente il suo fondo", ostacolando la formazione della proprietà diretto coltivatrice a favore esclusivamente degli affittuari.

Le illazioni del giudice a quo circa gli scopi perseguiti dal legislatore sono ingiustificate, perché le disposizioni dell'art. 12 ricollegano all'esecuzione dei miglioramenti da parte degli affittuari conseguenze giuridiche di notevole importanza, ma non comportano tuttavia l'attribuzione, formale o sostanziale, d'un diritto reale sui terreni migliorati. Nella ricordata sentenza n. 53 del 1974, la Corte ha già avuto occasione di constatare che "negli sviluppi anche recenti del nostro ordinamento positivo, l'iniziativa e l'esecuzione di opere di trasformazione fondiaria come di miglioramento agrario, da parte dei concessionari di fondi rustici altrui in base a contratti di tipo associativo o commutativo, non hanno mai costituito titolo per l'acquisto della proprietà, ma unicamente per la riduzione dei canoni, per la proroga dei rapporti, per la corresponsione di una giusta indennità"; e in applicazione di questi principi é stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138, che modificava la disciplina dei contratti di colonia e di affitto con clausola migliorataria quando il colono o l'affittuario avessero eseguito "opere di trasformazione fondiaria e agraria di carattere sostanziale e permanente di qualunque tipo".

La questione é peraltro fondata, per irrazionale uniformità di disciplina di situazioni anche profondamente diverse, e per aperta violazione della garanzia offerta dall'art. 42 Cost. al diritto di proprietà, in quanto l'art. 12 fa discendere limitazioni tanto rilevanti ai poteri di godimento e di disposizione dei proprietari concedenti dalla esecuzione di miglioramenti a spese dell'affittuario, senza alcuna specificazione circa la loro importanza qualitativa e quantitativa, in rapporto alla estensione del fondo, agli ordinamenti colturali, alle esigenze d'una razionale coltivazione, all'effettivo incremento della produttività dei terreni. Solo l'indennità spettante all'affittuario é dall'art. 15 commisurata "all'aumento di valore conseguito dal fondo e sussistente alla fine dell'affitto"; ma nulla é stabilito invece dall'art. 12, e la lacuna appare tanto più grave in quanto l'art. 11 non contiene indicazioni circa l'entità dei miglioramenti, e dichiara altresì che "sono considerati miglioramenti anche le addizioni", senza nemmeno far salvo il caso della loro separabilità (cfr. artt. 975, 986, 1593 codice civile). La norma deve quindi essere dichiarata illegittima nella parte in cui non limita gli effetti giuridici ivi previsti a favore dell'affittuario che abbia eseguito a sue spese miglioramenti, in relazione alle sole opere di miglioramento che determinino un sostanziale e permanente aumento di valore del fondo ed un apprezzabile incremento della sua produttività.

  1. - Gli artt. 15 e 4 della legge del 1971 disciplinano le conseguenze dell'esecuzione dei miglioramenti con disposizioni che fanno alle due parti un trattamento nettamente differenziato. Il locatore che abbia eseguito i miglioramenti può richiedere all'affittuario l'aumento del fitto corrispondente alla nuova classificazione del fondo (art. 15, primo comma), e, qualora le migliorie non giustifichino una modifica della qualità e della classe catastale, le commissioni tecniche provinciali possono stabilire criteri e misure di un aumento del canone, purché questo non venga a superare il livello corrispondente al coefficiente massimo stabilito dalla legge (art. 4, terzo comma). L'affittuario che abbia eseguito i miglioramenti ha invece diritto ad una indennità corrispondente all'aumento di valore conseguito dal fondo, sussistente alla fine dell'affitto o alla data di anticipata risoluzione del rapporto (art. 15, secondo comma), e le migliorie da lui apportate non danno luogo a revisione del canone fin quando non sia stata corrisposta l'indennità (art. 4, quarto comma). Le disposizioni dell'art. 15 si applicano, a norma del sesto comma, "anche per i miglioramenti previsti nel contratto e concordati dalle parti, o comunque eseguiti in data anteriore all'entrata in vigore della presente legge".

É palese il vizio di illegittimità delle disposizioni dell'articolo 4, terzo comma, e dell'art. 15, primo comma, che, quando il canone già corrisponda o sia prossimo al limite massimo di legge fissato dall'art. 3, secondo comma, con le maggiorazioni per coefficienti aggiuntivi previste dallo stesso art. 3, terzo e quarto comma, non consentono una adeguata revisione del canone a favore del proprietario miglioratore. Sono queste disposizioni che, specie a fronte di quelle dettate a favore dell'affittuario miglioratore, introducono una profonda e immotivata sperequazione tra le parti, lesiva non solo del principio di eguaglianza, ma anche, come ha notato il tribunale di Ravenna, dei poteri di iniziativa, di godimento, di disposizione dei proprietari, e, sotto questo profilo, rendono solo apparente la pari facoltà di eseguire miglioramenti, togliendo al ogni interesse a nuovi investimenti nelle loro terre, disincentivando e mortificando la proprietà proprio nella sua funzione sociale e produttiva, sancita dagli artt. 42 e 44 della Costituzione. Deve pertanto dichiararsi la illegittimità dell'art. 4, terzo comma, e dell'art. 15, primo comma, in quanto non prevedono un'adeguata revisione del canone nel caso di migliorie eseguite dal proprietario.

É denunciata anche la disposizione del sesto comma dell'art. 15, che attribuisce efficacia retroattiva alla disciplina stabilita dal primo comma e dall'art. 4: ma la questione viene meno in conseguenza della pronuncia di incostituzionalità di quelle norme, e pertanto deve essere dichiarata non fondata.

Non fondata é infine la questione relativa all'art. 4, quarto comma, sollevata dal Consiglio di Stato: quando l'affittuario abbia eseguito a sue spese i miglioramenti, non v'é ragione perché debba farsi luogo a revisione del canone a favore del proprietario. L'affittuario miglioratore beneficerà del frutto dei miglioramenti, senza danno per il proprietario che, non avendo effettuato nuovi investimenti, continuerà a percepire lo stesso canone, e alla fine del rapporto sarà tenuto a pagare una indennità corrispondente al solo aumento di valore del fondo allora sussistente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 4, terzo comma, e 15, primo comma, della legge 11 febbraio 1971, n. 11, nella parte in cui non prevedono un'adeguata revisione del canone per il caso di migliorie eseguite dal proprietario;

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 12, primo comma, della stessa legge, nella parte in cui non limita gli effetti giuridici ivi previsti a favore dell'affittuario che abbia eseguito a sue spese miglioramenti, in relazione alle sole opere di miglioramento che determinino un sostanziale e permanente aumento di valore del fondo ed un apprezzabile incremento della sua produttività;

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, secondo comma, della stessa legge;

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, primo comma, della stessa legge, sollevata dalle ordinanze di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 44 della Costituzione;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, quarto comma, 10, 11 e 15, sesto comma, della stessa legge, sollevate dalle ordinanze di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 44 della Costituzione;

2) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 10 dicembre 1973, n. 814, nella parte relativa alla composizione delle commissioni tecniche provinciali;

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 3, secondo e sesto comma, della stessa legge, nella parte in cui fissa tra 24 e 55, e, con riferimento a un caso particolare, in 42 volte, i coefficienti di moltiplicazione del reddito dominicale ai tini della determinazione del canone;

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 3, undicesimo comma, e dell'art. 4, secondo e terzo Comma, della stessa legge;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3, terzo comma, lett. b. e quarto comma, della stessa legge, sollevate dalle ordinanze di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 44 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22 dicembre 1977.