Sentenza n. 139 del 1977
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SENTENZA N. 139

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 6 della legge 14 aprile 1975, n. 103 (nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva), promosso con ordinanza emessa il 30 dicembre 1975 dal pretore di Roma, sui ricorsi del segretario del partito radicale e dei componenti del Comitato promotore del referendum abrogativo delle norme del codice penale in materia di aborto contro la Radiotelevisione, iscritta al n. 51 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 31 marzo 1976.

Visti gli atti di costituzione del partito radicale, del Comitato promotore del referendum, della RAI, nonché l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 ottobre 1977 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

uditi gli avvocati Egidio Tosato, Paolo Barile e Alessandro Pace, per la RAI, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con due distinti ricorsi in data 30 ottobre 1975,il Partito Radicale, nella persona del suo segretario nazionale, ed i signori Marisa Galli, Lino Zanetti e Marco Pannella, nella qualità di componenti del Comitato promotore del referendum abrogativo delle norme del codice penale in materia di aborto, chiedevano al pretore di Roma, in via cautelativa e di urgenza ai sensi dell'art. 700 del cod.proc.civ., specificatamente e rispettivamente: il Partito Radicale che fosse ingiunto alla società concessionaria del pubblico servizio radiotelevisivo RAI-TV s.p.a. di ammetterlo alle trasmissioni radiofoniche e televisive preordinate agli interventi ufficiali dei partiti italiani (conferenze stampa, tribuna politica ecc.) e di riservargli appropriati tempi di trasmissione per la diffusione del proprio pensiero politico; i componenti del Comitato promotore del referendum abrogativo (di cui sopra) che fosse imposto alla medesima di riservare al ricorrente Comitato "congrui tempi di trasmissione radiotelevisiva, sia per fornire informazioni dirette a più vasto pubblico degli utenti, sia per partecipare con partiti-gruppi-associazioni-organismi, già ammessi al mezzo radiotelevisivo a dibattiti e conferenze sul tema".

L'adito pretore riuniva i due procedimenti, e concedeva alle parti termini per il deposito di note e di repliche.

In tale sede e precisamente nelle note illustrative depositate il 29 novembre 1975 la difesa di entrambi i ricorrenti chiariva che le domande proposte tendevano non "alla ammissione di programmi essi realizzati in quelle " apposite trasmissioni", di cui parla l'art. 6 della legge n. 103/1975, ma, per quel che riguarda il Partito Radicale, alla partecipazione " alle trasmissioni radiofoniche e televisive preordinate agli interventi ufficiali dei partiti italiani (conferenze stampa, tribuna politica ecc.)" e, per quel che riguarda i presentatori della richiesta di referendum abrogativo delle norme del c.p. in materia di aborto, alla realizzazione da parte della RAI di servizi di informazione, dibattiti e conferenze sul tema ed alla partecipazione a detti programmi".

La difesa dei ricorrenti produceva, inoltre, nella medesima occasione, fotocopia di lettera in data 3 novembre 1975 con la quale il Presidente della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, comunicava che era già stato definito, per il residuo scorcio dell'anno 1975, "l'ambito dei partecipanti" al ciclo di trasmissioni di "Tribuna politica" e che, per il 1976, era all'esame della Commissione medesima "il problema della nuova disciplina delle trasmissioni" medesime.

Con ordinanza 30 dicembre 1975 il pretore adito riconosceva la sussistenza dell'attualità dell'interesse a ricorrere e delle altre condizioni di proponibilità di entrambi i ricorsi, e disattendeva le eccezioni di carenza di legittimazione attiva e passiva nonché quella di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sollevate dalla resistente.

Riteneva quindi rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 6 della legge 14 aprile 1975, n. 103, "nella parte in cui, disciplinando l'accesso alla Radiotelevisione dei gruppi politici e sociali rilevanti, non considerano la posizione soggettiva di cui gli stessi sono portatori come diritto soggettivo perfetto e, conseguentemente, escludono la tutela giurisdizionale di detta posizione".

Le norme denunziate contrasterebbero, in via principale, sia con gli artt. 21 e 43 in relazione alla sentenza n. 225 del 1974, di questa Corte, sia con gli artt. 24 e 113 della Costituzione.

In via subordinata vi sarebbe, poi, la violazione dell'art. 102 Cost., ove alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi dovesse riconoscersi natura di organo giurisdizionale; e violazione degli articoli 55 e segg. Cost., in relazione all'art. 6 del regolamento 13 novembre 1975 della suddetta Commissione, ove quest'ultima fosse da considerare come un soggetto autonomo e distinto dal Parlamento.

In ordine alla prima censura, premette il giudice a quo che la già citata sentenza di questa Corte, nel ribadire la legittimità costituzionale del monopolio televisivo anzitutto al fine di garantire l'esercizio del diritto di libera manifestazione del pensiero, avrebbe ravvisato nell'accesso a tale mezzo tecnico un vero e proprio diritto soggettivo spettante imparzialmente, nei limiti massimi consentiti, a gruppi politici, religiosi e culturali, nei quali si esprimono le varie ideologie presenti nella società. Questa rigida configurazione di situazione giuridica soggettiva perfetta sarebbe stata disconosciuta dalle suindicate disposizioni, che avrebbero rimesso ogni determinazione alla suddetta Commissione parlamentare, senza specificare i criteri né per la disciplina delle varie rubriche né per la individuazione dei soggetti aventi titolo a parteciparvi.

Le ulteriori censure concernono i poteri, specialmente in ordine alla decisione dei ricorsi, attribuiti alla Commissione, poiché la normativa in esame non consentirebbe di precisarne le funzioni, e avrebbe, comunque, affievolito, se non addirittura degradato a mera situazione di fatto, il diritto all'accesso del richiedente.

In particolare, ad avviso del pretore, nell'ipotesi, ritenuta da lui più plausibile, che la suddetta Commissione sia un organo esercente una funzione oggettiva di amministrazione attiva, con poteri specifici e concreti di intervento nella gestione del servizio radiotelevisivo, vi sarebbe stata una divergenza rispetto alle indicazioni contenute nel punto c) del paragrafo 8 della motivazione della cit. sentenza, che sembrerebbero piuttosto riferite ad un organo fornito soltanto di poteri di indirizzo e regolamentazione generali.

Nell'ipotesi, invece, che le suddette funzioni siano giurisdizionali, si sarebbe contravvenuto al divieto di istituire giurisdizioni speciali.

Infine nell'ipotesi che la suddetta Commissione sia da configurare come un organo con funzioni tipiche del Parlamento, si sarebbero violati i relativi precetti costituzionali, tenuto anche conto che l'art. 6 del regolamento della stessa Commissione, attribuendo al suo presidente la rappresentanza di quest'ultima, sembrerebbe far assumere ad essa una rilevanza (o soggettività) autonoma rispetto al Parlamento.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 85 del 31 marzo 1976.

Innanzi a questa Corte si sono costituiti le parti del giudizio a quo e, con atto di intervento, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, rispettivamente chiedendo, il patrocinio del Partito Radicale e dei componenti del Comitato promotore, la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme denunziate, la difesa della Radiotelevisione la declaratoria di inammissibilità e di infondatezza, e l'Avvocatura quella di (sola) infondatezza delle sollevate questioni.

Deduce l'Avvocatura che l'accesso alla radiotelevisione - seppure fosse da considerare un diritto soggettivo secondo l'assunto dell'ordinanza di rimessione - non potrebbe confondersi con il diritto di utilizzazione del mezzo tecnico, il cui uso, non potendo essere comune a tutti i cittadini, ma necessariamente speciale (per il fatto stesso che il suo esercizio esclude l'uso da parte di altri), sarebbe stato riservato, nei sensi indicati dalle statuizioni della cit. sentenza del 1974, alle sole "formazioni più rilevanti", attraverso un procedimento ed un provvedimento oggettivamente amministrativi di ammissione, per la scelta appunto, di quelle più rilevanti formazioni, che non dovrebbero essere individuate dalla legge, cui spetterebbe soltanto di assicurare l'imparzialità del procedimento, oltre che di disciplinare, come già risulta dalla precedente sentenza n. 59 del 1960, la "potenziale possibilità di goderne" da parte di chi intenda avvalersene. Al riguardo, vengono tratte analogie dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di accesso alle cariche pubbliche, specialmente per quanto riguarda la scelta dei cittadini e la legittimità delle cause di esclusione, per categorie generali ed astratte.

In questa prospettiva di garanzie, che avrebbero comportato anche la necessità di sottrarre all'Ente gestore il potere decisorio in ordine all'ammissione all'uso dello strumento tecnico, l'Avvocatura esamina i poteri della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. La quale sarebbe espressione diretta del Parlamento e dotata di un potere regolamentare per autolimitare i suoi poteri, con la predeterminazione in via generale dei criteri da applicare nell'esame delle istanze di ammissione. Le sue Decisioni sarebbero sottoposte al sindacato giurisdizionale - sia pure con i limiti inerenti alle valutazioni tecniche e discrezionali - in quanto, per loro natura, oggettivamente amministrative, se non pure tali anche soggettivamente, ove si tenga conto che, per gli adempimenti dovuti, sono trasmesse al Consiglio di Amministrazione della società concessionaria.

Per quanto, infine, concerne la violazione degli artt. 55 e segg. Cost., l'Avvocatura osserva che la Commissione suddetta, nel nostro ordinamento, non sarebbe l'unica commissione parlamentare con funzioni amministrative, priva di personalità giuridica, e, a titolo esemplificativo, richiama quella prevista dall'art. 8 del r.d. n. 1214 del 1934, composta dai presidenti e vice presidenti delle due Camere, ed incaricata di esprimere pareri vincolanti su provvedimenti relativi ai presidenti ed ai consiglieri della Corte dei Conti.

La difesa della Radiotelevisione, con memoria ritualmente depositata, insiste anzitutto nel chiedere che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili, per irrilevanza, sotto i seguenti profili:

- l'accesso alle trasmissioni autogestite, di cui agli articoli 4 e 6 della legge denunziata, sarebbe estraneo alla materia del contendere (come risulterebbe dalle note illustrative dei ricorrenti, cui fa richiamo la stessa ordinanza di rimessione), ne, comunque, sarebbe potuto essere posto ad oggetto della relativa decisione, per essere stata l'ordinanza emessa in data 30 dicembre 1975, precedente a quella di pubblicazione del regolamento per l'esame delle richieste di accesso (G.U. n. 128 del 15 maggio 1976): pubblicazione necessaria per l'inizio in via sperimentale dei relativi programmi;

- il pretore non avrebbe, comunque, potuto ordinare alla RAI-TV di ammettere i ricorrenti né all'accesso suindicato né a quello alle "tribune", ai sensi dell'art. 4 della stessa legge, essendo la Società concessionaria priva dei relativi poteri, che sarebbero, invece, attribuiti soltanto alla Commissione parlamentare e alla Sottocommissione permanente per l'accesso;

- le norme denunziate atterrebbero alla trattazione del merito e, pertanto, non avrebbero potuto dar luogo a questioni di legittimità nel corso del procedimento d'urgenza, nel quale potrebbero aver rilievo solo le disposizioni sui poteri del giudice e quelle sostanziali applicabili in tale procedura.

Nel merito il patrocinio della RAI-TV deduce che il preteso diritto all'accesso delle formazioni sociali non sarebbe stato riconosciuto né dagli artt. 21 e 43 Cost. né con la sent. n. 225 del 1974, da questa Corte. La quale, al contrario avrebbe più volte ribadito nella sua giurisprudenza che il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero non comprenderebbe pure quello di disporre di tutti i possibili mezzi, e che la disciplina di utilizzazione di quelli di diffusione resterebbe demandata alla discrezionalità politica del legislatore. E ciò anche nel caso in cui, come nella specie, la riserva del servizio allo Stato debba perseguire le finalità di "interesse generale" previste dall'art. 43 della Costituzione.

Considerato in diritto

1. - Sono stati denunziati a questa Corte gli artt. 4 e 6 della legge 14 aprile 1975, n. 103, recante norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva.

Come riferito in narrativa, si assume che dette norme non considererebbero la posizione giuridica, della quale i gruppi politici e sociali rilevanti sono portatori, come diritto soggettivo, con la conseguenza di escluderne la tutela giurisdizionale.

Se ne deduce, in via principale, la violazione degli artt. 21 e 43 Cost., con riferimento alla sentenza n. 225 del 1974 di questa Corte, nonché degli artt. 24 e 113 della Costituzione.

In via subordinata, si denunzia il contrasto con l'art. 102 Cost., ove si ritenessero di natura giurisdizionale le funzioni della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, e con gli artt. 55 e segg. Cost., in relazione all'art. 6 del regolamento della predetta Commissione parlamentare, ove quest'ultima fosse considerata soggetto giuridico autonomo e distinto dal Parlamento.

Il giudice a quo dalle sentenze n. 59 del 1960 e, soprattutto, n. 225 del 1974 di questa Corte deduce che in regime di monopolio pubblico radiotelevisivo il diritto di libera manifestazione del pensiero con ogni mezzo di diffusione, garantito a tutti dall'art. 21 Cost., si convertirebbe in diritto soggettivo di accesso al mezzo monopolizzato; siffatto diritto, per l'evidente pratica impossibilità, non può essere riconosciuto a ciascun cittadino, ma spetta a quelle formazioni che, in ragione della loro qualificazione sociale e con riferimento alla loro rilevanza costituzionale, risultino idonee, nel disegno della Costituzione e nell'ambito dei principi da questa fissati, ad esprimere un messaggio socialmente rilevante.

Viceversa, argomenta il giudice a quo, la situazione soggettiva di tali formazioni, alla stregua delle norme denunziate, risulterebbe affievolita, non, addirittura, degradata a mera situazione di fatto, per essere la loro ammissione al mezzo radiotelevisivo pubblico rimessa alla valutazione latamente discrezionale di una Commissione parlamentare di incerta natura.

Di qui il dubbio di illegittimità costituzionale degli artt. 4 e 6 della legge n. 103 del 1975 nelle parti in cui disciplinano l'accesso al mezzo radiotelevisivo pubblico.

2. - Nell'ordine logico, occorre, preliminarmente, esaminare le eccezioni di inammissibilità, per irrilevanza, delle dedotte questioni - quali sollevate dalla difesa della RAI, radiotelevisione s.p.a. e, comunque, prospettabili di ufficio - con riferimento allo specifico oggetto del procedimento sommario promosso, in via d'urgenza, davanti al pretore di Roma.

In quella sede, entrambi i ricorrenti hanno dichiarato che le loro domande, avanzate esclusivamente nei confronti della società concessionaria, non tendevano "alla ammissione di programmi da essi realizzati in quelle "apposite trasmissioni" di cui parla l'art. 6 della legge n. 103/1975".

La norma in questione (art. 6, primo comma) stabilisce che la società concessionaria debba riservare tempi determinati nel minimo, in proporzione al totale delle ore di programmazione televisiva e radiofonica, distintamente per la diffusione nazionale e per quella regionale, "per apposite trasmissioni" "ai partiti ed ai gruppi rappresentati in Parlamento, alle organizzazioni associative delle autonomie locali, ai sindacati nazionali, alle confessioni religiose, ai movimenti politici, agli enti e alle associazioni politiche e culturali, alle associazioni nazionali del movimento cooperativo giuridicamente riconosciute, ai gruppi etnici e linguistici e ad altri gruppi di rilevante interesse sociale che ne facciano richiesta".

I successivi commi terzo, quarto e quinto del medesimo art. 6 prevedono che una apposita sottocommissione permanente, costituita nell'ambito della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, esamini e decida sulle domande di accesso, sulla base di norme stabilite dalla Commissione plenaria, secondo criteri dettati dalla legge stessa; spartisca il tempo disponibile tra i soggetti ammessi; stabilisca le modalità di programmazione, sentita la concessionaria.

Infine (art. 6, comma quinto, primo periodo) la legge dispone che contro le decisioni della sottocommissione, in materia di accesso, é ammesso ricorso del richiedente alla Commissione parlamentare in seduta plenaria.

A sua volta, l'art. 4, primo comma, 2 cpv., demanda alla Commissione parlamentare di stabilire, tenuto conto delle esigenze dell'organizzazione e dell'equilibrio dei programmi, le norme per garantire l'accesso al mezzo radiotelevisivo e di decidere sui ricorsi presentati contro le deliberazioni adottate dalla sottocommissione parlamentare sulle richieste di accesso.

Le norme sopra richiamate definiscono la disciplina dell'accesso in senso proprio (nell'unico senso, cioé, in cui il vocabolo accesso é usato nella legge 103/1975), al quale soltanto sono riservati (legislativamente e di fatto) i tempi minimi di trasmissione determinati come sopra si é detto. Esclusivamente l'accesso in senso proprio ha formato, poi, oggetto dell'apposito regolamento pubblicato nella G.U. del 15 maggio 1976, n. 128.

Orbene, é evidente che delle norme esaminate (art. 4, comma primo, cpv. 2 e art. 6 legge 103/1975) il giudice a quo non era chiamato a fare applicazione né diretta né indiretta, per l'assorbente motivo che tanto il Partito Radicale quanto i componenti del Comitato promotore del referendum abrogativo delle norme del c.p. in materia di aborto hanno escluso che le loro domande tendessero all'ammissione all'accesso in senso proprio, disciplinato, appunto, dalle sopracitate disposizioni di legge.

La questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 e dell'art. 4, comma primo, cpv. 2, della legge 103 del 1975, esula, dunque, dal thema decidendum e deve, perciò, dichiararsi inammissibile, per manifesta irrilevanza.

3. - Vero é che lo stesso giudice a quo, nell'ordinanza di rimessione esclude di dovere nella specie fare applicazione dell'art. 6 della legge 103 del 1975 e afferma che, in ipotesi, dovrebbe ordinare alla RAI di ammettere entrambi i ricorrenti alle trasmissioni di cui all'art. 4 della legge medesima, intendendo riferirsi, dell'art. 4, al terzo capoverso del comma primo e, in esso, alla rubrica di "Tribuna politica".

Anche a questo proposito é chiara l'irrilevanza della questione per quanto riguarda la definizione del procedimento promosso dai componenti il Comitato promotore del referendum abrogativo delle norme del c.p. in materia di aborto, che non hanno mai chiesto, né alla Commissione parlamentare né al pretore di Roma, di partecipare alle trasmissioni di Tribuna politica, ma hanno proposto domanda giudiziale diversa, riportata in narrativa, rispetto alla quale non é stata sollevata questione alcuna di costituzionalità.

4. - Resta da esaminare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma primo, cpv. 3, in relazione alla domanda del Partito Radicale di partecipare alle trasmissioni radiofoniche e televisive preordinate agli interventi ufficiali dei partiti italiani.

La questione, pur così circoscritta, deve ritenersi irrilevante, per ciò che emerge dal testo stesso dell'ordinanza.

Anche a voler prescindere dalla constatazione che il pretore ha considerato le due situazioni, disciplinate rispettivamente dall'art. 4, comma primo, cpv. 3 e dall'art. 6 in relazione all'art. 4, comma primo, cpv 2, della legge 103 del 1975, come mere articolazioni di un unico diritto di accesso, annullando dal punto di vista della tutela delle situazioni soggettive, qualsiasi differenza tra queste due articolazioni (accesso in senso proprio e partecipazione alle Tribune) resta che il pretore stesso, sia pure contraddicendosi, nega la rilevanza della questione.

Infatti, nell'ordinanza di rimessione, in primo luogo si afferma che i rapporti tra RAI-TV e Commissione parlamentare "nella valutazione in merito alla domanda potranno comportarne il rigetto ove si pervenga alla conclusione che il comportamento della RAI trovi giustificazione nelle deliberazioni della detta Commissione parlamentare". Ma successivamente si dà atto che con lettera in data 13 novembre 1975 il Presidente della Commissione parlamentare aveva comunicato al Partito Radicale che la sua richiesta di ammissione a Tribuna politica era stata respinta (rectius che "era già stato definito l'ambito dei partecipanti" al ciclo di trasmissioni di Tribuna politica relativo all'ultima parte dell'anno 1975). Né potrebbe pensarsi che con il riferimento alla domanda il pretore intendesse alludere a sede di giudizio diversa da quella disciplinata nell'art. 700 c.p.c., giacché lo stesso pretore, per dimostrare la rilevanza della questione, asserisce che, a seguito di sentenza di accoglimento di questa Corte costituzionale, egli avrebbe dovuto, dando ragione ai ricorrenti, "ordinare alla RAI di ammettere il Partito Radicale e i promotori del referendum sulle norme del codice penale in tema di aborto alle trasmissioni di cui all'art. 4, legge 103 del 1975". In definitiva, la comunicazione del Presidente della Commissione parlamentare conduceva di per sé, secondo la stessa ordinanza, a non fare applicazione nel giudizio di quella parte dell'art. 4 della legge 103 del 1975 della quale viene denunziata la illegittimità costituzionale.

Riconosciuta, per i motivi sopra esposti, la irrilevanza e quindi l'inammissibilità delle questioni proposte, ogni altra eccezione resta assorbita.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 6 della legge 14 aprile 1975, n. 103 (recante norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva) sollevata con l'ordinanza in epigrafe dal pretore di Roma.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 novembre 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 6 dicembre 1977.