Sentenza n. 87 del 1977
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SENTENZA N. 87

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso del giudice istruttore presso il tribunale di Torino, iscritto al n. 30 del registro 1976, per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito del rifiuto da parte del Presidente del Consiglio dei ministri di trasmettere all'Autorità giudiziaria, nella loro integralità, documenti ritenuti coperti da segreto politico- militare.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 aprile 1977 il Giudice relatore Guglielmo Roehrssen;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ricorso 5 maggio 1976 il giudice istruttore presso il tribunale di Torino, nel corso di un procedimento penale promosso a carico di Sogno Rata del Vallino Edgardo, Cavallo Luigi ed altri, ha sollevato un conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri.

Esponeva che, in seguito a richiesta fatta al Servizio Informazioni Difesa, perché fosse trasmesso il carteggio relativo all'imputato Sogno, il S.I.D. trasmetteva parte del carteggio esistente, precisando che i restanti documenti non potevano essere esibiti perché riferentisi a materia connessa a "specifica attività di controspionaggio". Il giudice istruttore esponeva di essersi rivolto al Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo se confermasse l'esistenza del segreto politico- militare. Il Presidente del Consiglio rispondeva che il carteggio non esibito "rientrava nella materia connessa a specifica attività di controspionaggio", in relazione a dati formali soggettivi (nomi di personaggi stranieri e di agenti informatori, sigle di operazioni di CS, denominazione di uffici addetti alle operazioni ed altri elementi analoghi) da mantenersi segreti a tutela d'interessi politici e militari". Peraltro, poiché sotto il profilo del contenuto tale carteggio non conteneva notizie di carattere segreto, veniva disposta la sua trasmissione previa obliterazione "dei dati formali soggettivi suindicati".

Il giudice istruttore di Torino lamentava che l'obliterazione avrebbe investito anche dati sostanziali e comunque che il segreto opposto dal Presidente del Consiglio potrebbe investire legittimamente i nomi degli agenti informatori e gli altri dati relativi agli uffici ed alle operazioni dei Servizi di sicurezza, ma non potrebbe altrettanto legittimamente investire i nomi dei cittadini stranieri ai quali ha accennato il Presidente del Consiglio, in quanto costoro potrebbero assumere la qualità di correi - per avere contribuito finanziariamente a quell'attività dell'imputato Sogno che, dalla restante documentazione processuale, apparirebbe avere assunto rilevanza penale - e non vi sarebbe ragione per assicurare loro l'impunità.

Secondo il giudice di Torino l'Esecutivo, ponendo "un illegittimo sbarramento al potere dovere del giudice di acquisire gli elementi di prova necessari per la prosecuzione dell'azione penale" avrebbe interferito nelle funzioni giurisdizionali: di qui la necessità - a suo parere - che la Corte costituzionale valuti se nella fattispecie possa essere lesiva per la sicurezza delle istituzioni dello Stato l'acquisizione da parte dell'A.G. dei suddetti nominativi.

Questa Corte con ordinanza n. 49 del 1977 riteneva il ricorso ammissibile ai sensi dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953 disponendo che esso fosse comunicato, unitamente all'ordinanza stessa, a cura del ricorrente, al Presidente del Consiglio dei ministri.

Poiché il giudice istruttore di Torino, con sentenza del 5 maggio 1976, aveva trasmesso il procedimento penale nel corso del quale era insorto il conflitto al giudice istruttore del tribunale di Roma, ritenendolo competente per territorio a proseguire il processo, questa Corte disponeva che la cancelleria desse comunicazione della propria ordinanza anche al giudice istruttore del tribunale di Roma.

L'autorità giudiziaria, pur provvedendo alla notifica al Presidente del Consiglio dei ministri, non compiva il nuovo deposito del ricorso, prescritto dall'art. 26, terzo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, né provvedeva a costituirsi ai sensi del comma successivo.

Si é costituita, invece, l'Avvocatura dello Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque respinto, sostanziandosi non in una contestazione del potere dell'Esecutivo in materia di segreto politico-militare, bensì nel modo in cui tale potere é stato esercitato.

Considerato in diritto

Il ricorso proposto dall'Autorità giudiziaria contro il Presidente del Consiglio dei ministri non é stato ritualmente proseguito e pertanto deve essere dichiarato inammissibile.

La legge 11 marzo 1953, n. 87 (art. 37), sulla costituzione ed il funzionamento della Corte costituzionale, prevede, in caso di conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato, una particolare procedura, che si articola in due fasi: la prima é diretta alla delibazione dell'ammissibilità in astratto del ricorso col quale il conflitto viene sollevato, sotto il profilo dell'esistenza della materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla competenza della Corte costituzionale, in quanto insorto fra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, per la definizione della sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali. La seconda fase - eventuale - é destinata all'esame del merito.

La prima fase si svolge senza contraddittorio fra le parti, a seguito del deposito da parte dell'autorità ricorrente, presso la cancelleria della Corte, del ricorso sul quale s'intende provocare la pronuncia di ammissibilità (art. 26, primo e secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, pubblicate nella G.U. n. 71 del 1956).

Essa si chiude o con una pronuncia d'inammissibilità, che preclude in modo definitivo il passaggio alla seconda fase del procedimento, ovvero con un'ordinanza di ammissibilità, la quale invece costituisce un provvedimento, che lascia impregiudicata, una volta costituitosi il contraddittorio, ogni diversa e definitiva decisione anche in ordine alla concreta ammissibilità del conflitto, ed ha come unico effetto di autorizzare il ricorrente a provocare l'apertura della seconda fase.

Data l'autonomia delle due fasi, affinché si apra ritualmente la seconda fase é necessario (art. 26, terzo comma, delle Norme integrative sopra citate) che il ricorrente notifichi il ricorso e l'ordinanza di ammissibilità agli organi interessati, ed entro 20 giorni dall'ultima notificazione depositi presso la cancelleria della Corte il ricorso stesso con la prova delle notificazioni eseguite: tale deposito é l'atto che apre la seconda fase del procedimento.

Nel caso in esame la prima fase del procedimento si era chiusa con l'ordinanza n. 49 del 1977, con la quale questa Corte disponeva che la propria cancelleria desse comunicazione dell'ordinanza medesima ai giudici istruttori dei tribunali di Torino e di Roma e che il giudice istruttore di Torino notificasse il ricorso e l'ordinanza stessa al Presidente del Consiglio dei ministri.

Avvenute le comunicazioni suddette da parte della cancelleria di questa Corte ai giudici istruttori di Roma e di Torino, quest'ultimo ha provveduto a far notificare il ricorso e l'ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, ma ha omesso di depositare il ricorso presso la cancelleria di questa Corte entro 20 giorni dall'avvenuta notificazione al Presidente del Consiglio dei ministri.

Ne deriva l'inammissibilità del ricorso, dovendosi ritenere applicabili in materia - per il richiamo fattone dall'art. 22 della legge n. 87 del 1953 - i principi della normativa dettata dal Regolamento di procedura dinanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, il quale, in connessione con l'art. 36 del t.u. delle leggi sul Consiglio stesso (r.d. 26 giugno 1924, n. 1054), prevede la decadenza del ricorso per l'omesso deposto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione di cui in epigrafe, sollevato dal giudice istruttore presso il tribunale di Torino.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 30 maggio 1977.