Sentenza n. 34 del 1977
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SENTENZA N. 34

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 81, primo e secondo comma, del codice penale, nel testo risultante dall'art. 8 del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito in legge 7 giugno 1974, n. 220, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 10 maggio 1974 dal pretore di Codigoro nel procedimento penale a carico di Freguglia Bassano, iscritta al n. 323 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 263 del 9 ottobre 1974;

2) ordinanza emessa il 13 novembre 1974 dal pretore di Ottaviano nel procedimento penale a carico di Giuliano Giuseppe, iscritta al n. 521 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.28 del 29 gennaio 1975;

3) ordinanza emessa il 27 novembre 1974 dal pretore di Castelnuovo di Garfagnana nel procedimento penale a carico di Rossi Carlo, iscritta al n. 64 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 88 del 2 aprile 1975;

4) ordinanza emessa il 4 febbraio 1975 dal pretore di Vittorio Veneto nel procedimento penale a carico di Casagrande Mario ed altri, iscritta al n. 173 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 166 del 25 giugno 1975;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 novembre 1976 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza 10 maggio 1974 nel corso di procedimento penale a carico di un imputato di tre reati contravvenzionali, uno dei quali puniti con l'arresto e due con l'ammenda, il pretore di Codigoro, premesso che nella fattispecie risultava realizzata l'ipotesi prevista dal primo comma dell'art. 81 del codice penale (concorso formale dei reati), ha sollevato questione di legittimità costituzionale del suddetto articolo 81 c.p. (nel nuovo testo risultante dall'art. 8 del decreto legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220), in riferimento agli artt. 13 e 25, comma secondo, Cost. (principio di legalità della pena) assumendo che il ricorso allo speciale criterio di determinazione della pena contenuto in detta norma, quando i reati concorrenti sono puniti con pene di specie diversa, comporterebbe l'irrogazione di una pena complessiva qualitativamente diversa (nei limiti dell'aumento) rispetto a quelle prestabilite dalle singole norme incriminatrici. Se poi l'art. 81 fosse interpretato nel senso che esso non sia applicabile quando i reati concorrenti vengono puniti con pene eterogenee, sarebbe allora non infondato il dubbio, sempre secondo il giudice a quo, di un suo contrasto con l'art. 3 Cost. poiché creerebbe disparità di trattamento, non razionalmente giustificate, tra singole ipotesi di concorso formale di reati a seconda che i reati concorrenti siano puniti con pene identiche o diverse.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. Ciò osservando che l'applicabilità della nuova disciplina va esclusa allorché i reati concorrenti sono puniti con pene eterogenee. L'asserito contrasto con il principio di legalità delle pene non sarebbe pertanto neppure configurabile ma dovrebbe negarsi, altresì, che la mancata applicazione dell'art. 81 c.p. nell'ipotesi considerata possa determinare disparità di trattamento non razionalmente giustificate, in violazione dell'art. 3 Cost., poiché la situazione di colui che ha commesso due o più reati puniti con pene eterogenee sarebbe diversa da quella di colui che ha invece commesso reati tutti puniti con pene identiche.

2. - Il pretore di Castelnuovo di Garfagnana, con ordinanza 27 novembre 1974 nel corso di procedimento penale a carico di imputato di un delitto punito con la reclusione e di una contravvenzione punita alternativamente con la pena dell'arresto o dell'ammenda, ha sollevato a sua volta questione di legittimità costituzionale dell'art. 81 c.p., in riferimento all'art. 3 Cost., osservando che l'applicazione della predetta norma nel caso di concorso formale tra un delitto ed una contravvenzione puniti, rispettivamente, con la reclusione e l'ammenda, comporterebbe l'irrogazione di una pena complessiva di specie più grave di quella che potrebbe essere inflitta nell'ipotesi di concorso materiale tra gli stessi reati, considerata dal legislatore di maggiore gravità.

Anche in questo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato che, ribadendo quanto già dedotto nella difesa relativa all'ordinanza del pretore di Codigoro, osserva che quando i reati concorrenti sono puniti con pene diverse la nuova disciplina del concorso formale non é applicabile e che, quindi, non viene a determinarsi alcuna disparità di trattamento tra tale ipotesi criminosa e il concorso materiale dei reati.

3. - Con ordinanza 4 febbraio 1975 nel corso di procedimento penale a carico di tre imputati di concorso in una contravvenzione punita congiuntamente con le pene dell'arresto e dell'ammenda ed il primo, inoltre, di delitto punito con la multa il pretore di Vittorio Veneto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 81 c.p. in riferimento all'art. 3 Cost., osservando che l'applicabilità di detta norma nell'ultima ipotesi considerata, comportando l'assorbimento della pena detentiva comminata per il reato contravvenzionale in quella pecuniaria della multa stabilita per il delitto, finirebbe per riservare all'imputato colpevole dei due reati un trattamento più favorevole di quello cui é assoggettato chi ha commesso il solo reato contravvenzionale.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata sulla base delle stesse argomentazioni svolte nelle difese relative ai giudizi promossi con le ordinanze dei pretori di Codigoro e di Castelnuovo di Garfagnana che sopra si sono richiamate.

4. - Con ordinanza emessa il 13 novembre 1974 nel corso di procedimento penale a carico di un imputato di un delitto punito con la reclusione e di due contravvenzioni punite con l'arresto il pretore di Ottaviano, premesso che i predetti reati erano stati tutti commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ha sollevato - in riferimento all'art. 3 Cost. - questione di legittimità costituzionale del già citato art. 81 c.p. osservando che la sua applicazione nelle ipotesi in cui i reati sono puniti con pene di specie diversa determinerebbe disparità di trattamento non razionalmente giustificate tra persone colpevoli degli stessi reati a seconda che rispetto ad essi sia o meno ipotizzabile la continuazione.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, per manifesta irrilevanza, o comunque infondata posto che la norma denunciata non é applicabile allorché i reati concorrenti sono puniti con pene di specie diversa.

Alla pubblica udienza del 24 novembre 1976 la difesa dello Stato insisteva per l'accoglimento delle proprie tesi e conclusioni.

Considerato in diritto

1. - Le quattro ordinanze in epigrafe hanno riferimento a questioni analoghe o, comunque, connesse onde i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Secondo il nuovo testo dell'art. 81 del codice penale attualmente vigente (introdotto con l'art. 8 del decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220) " punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge".

"Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge".

Nel terzo comma si precisa - infine - che nei casi previsti dallo stesso articolo "La pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti" (e cioè degli artt. 71 e seguenti).

La disposizione apporta, come é noto, innovazioni sostanziali alla disciplina dell'originario testo del codice penale, per la quale in caso di concorso formale di reati l'autore di essi era punito secondo il sistema del cumulo materiale delle pene, anziché secondo quello più favorevole del cumulo giuridico, mentre l'applicazione di quest'ultimo sistema al reato continuato era subordinata alla circostanza che le violazioni avessero riferimento alla stessa disposizione di legge.

Ne consegue che la omogeneità normalmente ricorrente delle pene da cumulare non comportava gravi problemi interpretativi ed applicativi, a differenza di quanto accade con la nuova normativa per la difficoltà di procedere alla determinazione della pena complessiva in base al disposto dell'art. 81 allorché i reati concorrenti siano puniti con pene fra loro diverse per genere o per specie. E, cioè, reclusione e arresto, quali pene detentive temporanee, e multa e ammenda quali pene pecuniarie.

3. - Le questioni sollevate in via principale da una delle ordinanze e quelle sollevate nelle altre tre presuppongono tutte, in riferimento alle singole fattispecie, l'applicabilità di una pena complessiva ai sensi del suddetto testo.

Come si é accennato in narrativa, nell'ordinanza n. 323/1974 il pretore di Codigoro prospetta in via principale il dubbio che il ricorso allo speciale criterio di determinazione della pena previsto dal vigente art. 81 c.p. implicherebbe, nella fattispecie sottoposta al suo esame (caratterizzata dal concorso formale di reati contravvenzionali, uno dei quali punito con l'arresto e due puniti con l'ammenda), contrasto con il principio di legalità della pena, di cui agli artt. 13 e 25, secondo comma, Cost., traducendosi nell'irrogazione di una pena detentiva nuova (nei limiti dell'aumento da apportarsi alla pena dell'arresto) rispetto a quelle originariamente previste dalle singole norme incriminatrici.

Secondo il pretore di Castelnuovo di Garfagnana (ord. n.64 del 1975) e quello di Vittorio Veneto (ord. n. 173 del 1975) il nuovo testo dell'art. 81 c.p. violerebbe il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., in quanto:

a) nel caso di concorso tra delitto punito con la reclusione e contravvenzione punita con l'ammenda, la norma, comportando la sostituzione della pena pecuniaria con un aumento della più grave pena detentiva, riserverebbe irrazionalmente al concorso formale un trattamento sanzionatorio più sfavorevole di quello previsto per il concorso materiale tra gli stessi reati (punito mediante ricorso al criterio del cumulo materiale delle pene) e ciò quantunque il concorso materiale dei reati sia considerato, dal legislatore, di maggior gravità del concorso formale (pretore di Castelnuovo di Garfagnana);

b) nella diversa ipotesi in cui invece si trovino a concorrere delitti puniti con la multa e contravvenzioni punite congiuntamente con l'arresto e con l'ammenda, la norma, comportando la trasformazione delle pene, detentive e pecuniarie, previste per i reati contravvenzionali in un aumento di quella pecuniaria prevista per il delitto (e considerata quale violazione di legge più grave), assoggetterebbe, senza alcuna ragionevole giustificazione, la persona colpevole di entrambi i reati ad un trattamento più favorevole di quello riservato a chi dovesse rispondere soltanto delle contravvenzioni e non anche del delitto (pretore di Vittorio Veneto).

Sostanzialmente analoga, per quanto prospettata con riferimento al reato continuato, é la questione sollevata dal pretore di Ottaviano con l'ordinanza n. 521 del 1974.

Secondo il giudice a quo, infatti, il ricorso allo speciale criterio di determinazione della pena stabilito nel nuovo testo dell'art. 81 c.p. comporterebbe, nella fattispecie sottoposta al suo esame (caratterizzata dalla continuazione tra un delitto e più contravvenzioni, reati puniti tutti con pene detentive), disparità di trattamento non razionalmente giustificate poiché la pena edittale, prevista per i reati contravvenzionali, verrebbe ad essere trasformata (a seconda che la pena sia applicata nel minimo o nel massimo) in un aumento troppo lieve o, all'opposto, troppo gravoso della pena della reclusione per il delitto.

4. - Le ordinanze di rimessione muovono da una interpretazione della norma impugnata (quella per cui potrebbe ad essa farsi sempre ricorso anche quando per i reati concorrenti siano comminate pene eterogenee) che, nei termini suddetti, non é certo quella comunemente seguita e che, anzi, sia in dottrina che in giurisprudenza é contrastata da interpretazioni ed applicazioni di natura e di portata diversa.

La giurisprudenza della Corte di cassazione, superando qualche incertezza iniziale, si é ormai, anche per effetto di due recentissime sentenze delle Sezioni Unite penali, fermamente ed univocamente consolidata nel senso che lo speciale criterio di determinazione della pena stabilito nel nuovo testo dell'art. 81 c.p. non sia applicabile quando renderebbe necessaria l'unificazione di pene di specie diversa in una sola di unica specie anche se dello stesso genere con aumento della pena unica ai sensi del primo e del secondo comma dell'art. 81 del codice penale.

Questa soluzione, alla quale la Cassazione é pervenuta con molteplicità di argomenti, é da condividersi. E peraltro va ricordato quanto questa Corte ha già altre volte affermato, e cioè che le norme vivono nell'ordinamento nel contenuto risultante dall'applicazione fattane dal giudice (veggasi, per tutte, la sentenza n. 95 del 1976).

Non varrebbe osservare, in contrario, che in sede di conversione in legge del decreto legge n. 99 del 1974 fu respinto un emendamento mirante ad escludere l'applicabilità del cumulo giuridico nel caso di concorso tra delitti e contravvenzioni. É agevole opporre, infatti, che i lavori preparatori - anche quando il loro tenore é inequivoco - pur non essendo privi di rilievo, non rivestono tuttavia importanza decisiva ai fini della ricostruzione del significato da attribuire alle norme giuridiche, poiché queste, una volta emanate, assumono un valore autonomo e vanno quindi interpretate non già secondo le opinioni personali dei partecipanti alla loro elaborazione ma secondo il contenuto che risulta dalla loro formulazione e dal sistema nel quale sono inserite.

Va pertanto esclusa l'applicazione dello speciale criterio di determinazione della pena, stabilito nei primi due commi dell'art. 81 c.p., nei casi in cui il concorso formale e la continuazione si pongono rispetto a reati puniti con pene eterogenee; casi sicuramente ricorrenti nella fattispecie cui si riferiscono le ordinanze in oggetto e che hanno rilevanza ai fini della soluzione dei problemi di costituzionalità proposti all'esame di questa Corte.

5. - Ciò premesso appare chiara la infondatezza delle questioni sopra indicate al n. 3.

Esclusa, invero, la applicabilità della norma denunziata quando i reati concorrenti sono puniti con pene eterogenee, cadono i presupposti delle censure di cui alle ordinanze.

Non operandosi, infatti, nelle ipotesi considerate, alcun aumento in via di conguaglio della pena comminata per la violazione più grave, da un lato non viene ad essere applicata alcuna pena detentiva nuova rispetto a quella prevista dalla legge per i reati meno gravi, rimanendo esclusa ogni violazione degli artt. 13 e 25 Cost., e, dall'altro, non viene a determinarsi alcuna irrazionale disparità di trattamento tra le varie ipotesi di concorso, ricadendo tutte sotto la disciplina del cumulo materiale delle pene; onde non é configurabile la violazione dell'art. 3.

6. - Come si é già accennato in narrativa, il pretore di Codigoro ha espresso, in via subordinata, il dubbio che la norma impugnata, se interpretata nel senso indicato dalla Cassazione e accettato da questa Corte, violi il principio di uguaglianza poiché determinerebbe una disparità di trattamento, non razionalmente giustificata, tra l'ipotesi in cui i reati concorrenti sono puniti con pene omogenee e quella in cui lo sono con pene eterogenee.

Il dubbio, però, come rileva esattamente l'Avvocatura, é chiaramente infondato in quanto tra le due situazioni sussistono elementi di disparità sufficienti a giustificare il diverso trattamento punitivo e, quindi, ad escludere l'asserita violazione del principio di uguaglianza.

7. - La Corte, nel dichiarare l'infondatezza delle questioni proposte con le ordinanze in epigrafe, non si nasconde che l'interpretazione dell'art. 81 c.p., che ha ritenuto di dover accogliere, comporta, per l'applicabilità del cumulo giuridico alle sole pene omogenee, notevoli limitazioni della portata della novella. Ma d'altro canto deve rilevare che é rimesso unicamente al legislatore un eventuale intervento mediante opportuna normativa la quale, nel rispetto dei principi costituzionali, consenta di valutare contestualmente agli effetti della pena reati per i quali siano previste pene diverse per genere o per specie. E ciò secondo chiari ed univoci criteri che valgano ad evitare il pericolo di diverse ed eventualmente arbitrarie interpretazioni in sede applicativa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 81, primo e secondo comma, del codice penale (nel nuovo testo risultante dall'art. 8 del decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13 e 25, secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 gennaio 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 18 gennaio 1977.