Sentenza n. 27 del 1977
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SENTENZA N. 27

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata il 13 marzo 1975 dall'Assemblea regionale siciliana, recante "provvedimenti in favore degli utenti delle acque dei canali dell'antico demanio", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, notificato il 21 marzo 1975, depositato in cancelleria il 28 successivo ed iscritto al n. 8 del registro ricorsi 1975.

Visto l'atto di costituzione del Presidente della Regione siciliana;

udito nell'udienza pubblica del 6 ottobre 1976 il Giudice relatore Edoardo Volterra;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il ricorrente, e l'avv. Salvatore Villari, per la Regione.

Ritenuto in fatto

1. - Il Commissario dello Stato presso la Regione siciliana, con ricorso notificato il 21 marzo 1975, ha impugnato il disegno di legge approvato dall'Assemblea regionale nella seduta del precedente 13 marzo, recante "provvedimenti in favore degli utenti delle acque dei canali dell'antico demanio", per violazione dell'art. 32 dello Statuto speciale e del d.P.R. 1 dicembre 1961, n. 1825, di attuazione nelle materie di demanio e di patrimonio.

Il ricorrente premette che l'art. 1 del provvedimento dichiara l'estinzione di tutti i debiti per canoni relativi alle utenze di acqua derivata dai canali dell'antico demanio esistenti in Sicilia, dovuti sino al 31 dicembre 1946 e non ancora corrisposti dagli interessati, e che il successivo art. 2 stabilisce, altresì che i predetti canoni, con effetto dal 1 gennaio 1947, sono determinati a norma dell'art. 35 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, e successive aggiunte e modificazioni. Ora, secondo il Commissario dello Stato, l'assegnazione del demanio idrico alla Regione, in attuazione dell'art. 32 dello Statuto, avrebbe avuto effetto ai sensi dell'art. 5 del citato d.P.R. n. 1825 del 1961, con la pubblicazione degli elenchi riguardanti l'individuazione dei relativi beni, approvati con decreto del Presidente della Repubblica. E poiché il decreto in materia era stato approvato il 24 gennaio 1968, con il numero 615, solo da tale data si sarebbe dovuto far riferimento per quanto attiene agli effetti giuridici scaturenti dal trasferimento alla Regione dei canali demaniali.

In base a tale considerazione si paleserebbe che le norme impugnate verrebbero di fatto a disporre di diritti di cui la Regione non é titolare, trattandosi di situazioni creditizie pregresse ricadenti nella sfera giuridico - patrimoniale dell'amministrazione statale, in quanto sorte nel periodo in cui a questa era attribuita la piena titolarità e disponibilità dei beni in questione.

Per sostenere il contrario occorrerebbe ritenere che la successione tra Stato e Regione riveste natura di successione a titolo universale, ipotesi smentita dal fatto che tale successione suppone l'estinzione dell'ente succeduto e dalla considerazione che l'art. 7 del d.P.R. n. 1825 del 1961 fa salvi gli effetti degli atti di gestione compiuti dallo Stato anteriormente ai decreti di individuazione dei beni trasferiti alla Regione.

2. - Innanzi alla Corte costituzionale si é costituito il Presidente della Regione siciliana, rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Villari, per chiedere la reiezione del ricorso dello Stato.

La Regione in primo luogo illustra le differenze di trattamento tra i canoni relativi all'uso delle acque dei canali demaniali siciliani (tuttora disciplinati dall'art. 7 del r.d.l. 25 febbraio 1924, n. 456) e quelli relativi all'uso di altre acque pubbliche (regolati dall'art. 35 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775) nonché la situazione socio-economica che ha consigliato, a tutela dell'ordine pubblico, di perequare questi ultimi con i primi, di sanare le utenze abusive e di disciplinare il pagamento degli arretrati.

Osserva poi il resistente come il Commissario dello Stato non neghi che la Regione possa disciplinare i canali demaniali e i relativi canoni, ma sostenga che tale disciplina non possa avere effetto per il periodo antecedente alla data della consegna formale dei beni. In definitiva, fino a quando non é intervenuta la approvazione dell'elenco dei canali demaniali assegnati alla Regione (d.P.R. 1968, n. 615), la Regione non avrebbe acquistato alcuna disponibilità dei beni e la "successione" dallo Stato alla Regione sarebbe rimasta allo stato potenziale.

Ma tale impostazione sarebbe errata poiché la titolarità del diritto sui beni spetterebbe alla Regione sin dall'entrata in vigore dello Statuto ed una volta riuniti nello stesso soggetto titolarità ed esercizio del potere, le due situazioni non potrebbero essere più disgiunte.

D'altra parte, nel trasferimento di beni tra enti pubblici non potrebbe esattamente inquadrarsi la categoria della successione a titolo universale e particolare, bensì quella di investitura del nuovo ente in una posizione dalla quale immediatamente deriva il distacco e l'allacciamento dei singoli diritti e rapporti. Nel linguaggio dottrinale si tratterebbe di successione parziale, che lungi dal configurarsi come successione a titolo particolare rimane ugualmente una successione a titolo universale.

Né potrebbe sottacersi che, per effetto della disciplina provvisoria dei rapporti finanziari, di cui al decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 507, la Regione siciliana, in relazione ai canali demaniali, avrebbe sin dall'entrata in vigore dello Statuto non solo la titolarità del bene e la potestà legislativa esclusiva in materia (artt. 14, lett. i, 32 e 33 Stat.), ma anche la titolarità delle entrate relative ai canoni. L'art. 7 del d.P.R. n. 1825 del 1961 confermerebbe poi che gli atti compiuti dallo Stato e quelli compiuti dalla Regione si troverebbero in situazione paritaria, mostrando che, ove tale norma non fosse stata introdotta si sarebbe potuta verificare la caducazione degli effetti proprio degli atti compiuti dall'amministrazione dello Stato, con ulteriore riprova del riferimento alla Regione di tutti i diritti afferenti ai canali demaniali trasferiti.

Infine la Regione sottolinea che lo Stato non potrebbe in ogni caso esperire oggi procedure coattive per la riscossione dei canoni, né pronunciare decadenze da concessioni, sicché l'accoglimento della tesi sostenuta dall'Avvocatura dello Stato non avrebbe alcun effetto pratico.

3. - La Regione ha presentato memoria nella quale ribadisce con ampia e approfondita argomentazione le conclusioni già rassegnate.

Considerato in diritto

1. - Con il ricorso in epigrafe il Commissario dello Stato presso la Regione siciliana impugna la legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 13 marzo 1975 e chiede che ne sia dichiarata l'illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 32 dello statuto speciale e del d.P.R. 1 dicembre 1961, n. 1825. Le violazioni denunziate sono indicate nella disposizione dell'art. 1 della legge impugnata, la quale dichiara estinti i debiti per canoni relativi alle utenze, sia fornite di titolo legittimo, sia di fatto, di acqua derivata dai canali dell'antico demanio esistenti in Sicilia, dovuti sino al 31 dicembre 1946 e non ancora corrisposti e nella disposizione dell'art. 2 della medesima legge, la quale dichiara che con effetto dal 1 gennaio 1947 i canoni relativi alle utenze di acqua di cui all'art. 1 comunque e per qualunque uso esercitate, sono determinati a norma dell'art. 35 del t.u. n. 1775 del 1933 e successive aggiunte e modificazioni.

Lo Stato assume che tale disciplina e regolamentazione non possono avere effetto per il periodo antecedente alla data di approvazione dell'elenco dei canali assegnati e che pertanto la legge regionale avrebbe disposto di diritti di cui la Regione non era ancora titolare.

Si sostiene invece ex adverso che la titolarità dei diritti sui beni spetterebbe alla Regione sin dall'entrata in vigore dello Statuto ed una volta riuniti nello stesso soggetto titolarità ed esercizio del potere, le due situazioni non potrebbero essere più disgiunte.

2. - Prescindendo dalle complesse vicende giuridiche delle acque pubbliche e private nell'Italia meridionale e in particolare in Sicilia nel corso della storia, vicende che si ripercuotono ancora sulla situazione attuale, e delle varie leggi intervenute al principio del secolo scorso sotto la dominazione francese e sotto il ricostituito regno delle due Sicilie per regolare la progressiva abolizione dei diritti feudali e dell'azione svolta dallo Stato unitario a partire dal 1860 per ordinare il demanio idrico, e per uniformare la disciplina dei canali e quella dei corsi d'acqua in Sicilia, i canoni di utenza delle acque derivate dai canali demaniali sono rimasti fortemente differenziati rispetto a quelli di altre concessioni di acque pubbliche, creandosi vistose e ingiustificate sperequazioni, che si riflettono sull'economia agricola e industriale della Regione e che non solo danno luogo a disuguaglianze fra singoli utenti, ma sono tanto più gravi in quanto per moltissimi canoni, indipendentemente dal loro titolo, lo Stato non ha mai provveduto alla riscossione.

Dalla stessa complessa legislazione in materia risulta che rispetto al demanio idrico, compresi i canali di derivazione, i poteri dello Stato dapprima e successivamente della Regione non possono considerarsi come limitati alla semplice percezione di canoni, ma si estrinsecano in una serie di atti dispositivi di concessioni e di revoche, di regolamentazioni, tendenti alla migliore utilizzazione della rete idrica, al soddisfacimento di esigenze di enti e di privati coordinato al pubblico interesse.

3. - Ritiene d'altra parte la Corte che alla vicenda del trasferimento di beni demaniali dallo Stato alla Regione non presiedono principi identici a quelli delle successioni tra privati, dovendosi valutare, caso per caso, le specifiche norme dirette a regolare la materia anche in relazione all'oggetto del trasferimento.

Ora, mentre, oggettivamente, dalla situazione esistente risulta l'imprescindibile ed indifferibile necessità per la Regione di regolarizzare una situazione abnorme assoggettando ad un regime unitario le concessioni e le derivazioni e sopprimendo le gravissime sperequazioni esistenti in materia, é evidente che tale regolarizzazione, senza la quale la Regione non ha la possibilità di esercitare i poteri che le sono assegnati dalla legge sul demanio idrico, non può essere compiutamente realizzata senza previamente provvedere a rimuovere l'enorme cumulo di canoni non corrisposti e le conseguenze giuridiche ed economiche che derivano da una siffatta situazione e senza provvedere a stabilire uniformemente per le utenze di acqua pubblica la determinazione dei relativi canoni.

Sul piano normativo, inoltre, massimo rilievo assume, nella specie, l'art. 7 del d.P.R. 1 dicembre 1961, n. 1825.

Tale norma, mantenendo fermi gli effetti degli atti di gestione o amministrazione ordinaria e straordinaria compiuti dallo Stato anteriormente al trasferimento, mostra come la Regione, in mancanza della disposizione stessa, avrebbe potuto incidere non solo sulle situazioni ancora pendenti, ma anche su quelle già definite e come lo Stato non possa, a seguito del trasferimento, compiere ulteriori atti di gestione fra i quali indubbiamente rientrano l'individuazione, l'accertamento e la percezione dei crediti relativi a canoni non ancora esatti.

In tal modo il trasferimento di specie più che una successione può qualificarsi come un passaggio di poteri fra enti pubblici per il quale l'ente subentrante può esplicare ogni potere pubblicistico e privatistico sul bene, non esercitato dall'ente che precedentemente lo gestiva.

4. - La legge regionale impugnata non risulta pertanto invadere la sfera dei poteri dello Stato.

Con l'art. 1, disponendo l'estinzione dei debiti per canoni relativi alle utenze di acqua derivata dai canali demaniali dell'antico demanio esistente in Sicilia, dovuti sino al 31 dicembre 1946, la regione esercita legislativamente un potere a lei conferito rispetto ai beni demaniali assegnatile e che lo Stato non aveva esercitato. Con la precisazione "non ancora corrisposti" che esclude dalla disposizione i canoni già riscossi dallo Stato e con la norma del comma secondo dell'art. 2: "Non si farà luogo a rimborso per le somme già pagate alla data di entrata in vigore della presente legge" evita che la norma regionale possa statuire in merito alle attività compiute dallo Stato in ordine ai beni demaniali prima dell'assegnazione alla Regione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzione della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 13 marzo 1975 (Provvedimenti in favore degli utenti delle acque dei canali dell'antico demanio), sollevata dal Commissario dello stato per la Regione siciliana con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 gennaio 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 18 gennaio 1977.