Sentenza n. 260 del 1976
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SENTENZA N. 260

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 147, primo e ultimo comma, del d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523 (Testo unico delle leggi sul Mezzogiorno), promosso con ordinanza emessa il 25 febbraio 1975 dalla IV sezione del Consiglio di Stato, sul ricorso di Attanasio Valentino ed altri contro il Consorzio per il nucleo di industrializzazione di Reggio Calabria ed altri, iscritta al n. 330 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 242 del 10 settembre 1975.

Visti gli atti di costituzione di Lucisano Francesco, Adorno Giuseppe, Lo Cicero Rosaria, del Consorzio per il nucleo di industrializzazione di Reggio Calabria, del Ministro dei lavori pubblici, del Prefetto di Reggio Calabria, nonché l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1976 il Giudice relatore Guido Astuti;

uditi gli avvocati Enzo Silvestri, per Lucisano, Adorno e Lo Cicero, gli avvocati Rosario Nicolò e Antonio Sorrentino, per il Consorzio di Reggio Calabria, e il vice Avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri, per il Ministro dei lavori pubblici e per il Prefetto di Reggio Calabria.

Ritenuto in fatto

Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 ottobre 1966 veniva approvato il piano regolatore del nucleo di industrializzazione di Reggio Calabria.

Con successivo decreto del 2 agosto 1971 era approvata una variante a detto piano.

Con decreto n. 14954 del 16 dicembre 1972 il Prefetto di Reggio Calabria pronunciava in favore del Consorzio per il nucleo industrializzazione l'espropriazione di alcuni beni.

Avverso i provvedimenti suindicati, proponevano ricorso innanzi al Consiglio di Stato Attanasio Valentino ed altri, Neri Domenico ed altri, Lucisano Francesco ed altri, Deriso Francesco ed altri, Scopelliti Graziella ed altri.

Il Consiglio di Stato, riuniti i ricorsi, ha sollevato, in accoglimento di una delle eccezioni proposte dai ricorrenti, questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, primo ed ultimo comma, del t.u. 30 giugno 1967, n. 1523, in riferimento all'art. 42 della Costituzione.

Si afferma, preliminarmente, nell'ordinanza di rinvio che nell'istituto del piano regolatore dei nuclei di industrializzazione va riconosciuta una duplice produttività di effetti, in quanto da una parte tale piano obbliga i comuni interessati all'osservanza delle sue previsioni, e dall'altra incide direttamente sugli interessi dei privati attraverso la imposizione di vincoli di destinazione alle aree di loro proprietà. Con riferimento a tale ultimo effetto, l'ordinanza ricorda ancora che i criteri per l'individuazione della natura espropriativa dei vincoli hanno carattere quantitativo, dipendendo dalla maggiore o minore incidenza del sacrificio imposto sull'effettivo contenuto del diritto, ossia sui poteri di godimento e di disposizione dei beni vincolati.

Ciò premesso, si ritiene nell'ordinanza che debba essere demandata alla Corte costituzionale la valutazione quantitativa indicata, tenendo presente che i piani di industrializzazione comporterebbero, per le aree interessate, il venir meno della possibilità di utilizzazione edilizia, ed una forte compromissione della utilizzazione agricola, riducendone, di conseguenza, il valore di scambio e la possibilità di alienazione. Inoltre, la mancata determinazione della durata del vincolo, e l'incertezza sull'an e sul quando del futuro trasferimento, renderebbero particolarmente delicata la accennata valutazione circa il suo sostanziale carattere espropriativo.

Pertanto, la inclusione delle aree nel piano di industrializzazione comporterebbe di per sé un parziale svuotamento del diritto di proprietà, rispetto al quale non offrirebbe sufficiente ristoro la previsione di un aumento della indennità finale in relazione al tempo decorso dalla imposizione del vincolo al momento della espropriazione (legge 21 luglio 1965, n. 904). Si sono costituiti in giudizio Lucisano Francesco, Adorno Giuseppe, Lo Cicero Rosaria ed Attanasio Valentino e Maria, deducendo la fondatezza della questione proposta ed invocando a sostegno argomenti analoghi a quelli indicati nell'ordinanza di rinvio.

Si é altresì costituito in giudizio il Consorzio per il nucleo di industrializzazione di Reggio Calabria, deducendo l'infondatezza della questione proposta. Ciò perché la soggezione dell'esproprio attuata mediante l'inclusione delle aree nel piano sarebbe soltanto eventuale, sicché da una parte tali aree, quando non siano occorrenti per la creazione delle cosiddette infrastrutture, potrebbero certamente essere alienate per la destinazione dell'insediamento delle industrie, mentre dall'altra parte manterrebbero comunque il loro valore di scambio sino al limite dell'indennizzo e dell'indennità supplementare per il ritardo. Quanto poi alla mancata previsione di un termine per l'espropriazione, si dovrebbe osservare che tale assenza non potrebbe comunque impedire la utilizzazione agricola delle aree considerate.

Si sono ancora costituiti in giudizio il Ministro dei lavori pubblici ed il Prefetto di Reggio Calabria, ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha dedotto la infondatezza della questione proposta.

Per effetto della mera approvazione del piano non si determinerebbe direttamente alcuna forma di espropriazione, neppure dal punto di vista sostanziale, mancando una effettiva inutilizzabilità dei beni in relazione alla loro natura agricola.

Considerato in diritto

1. - Il Consiglio di Stato solleva, in riferimento all'art. 42 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, primo ed ultimo comma, del d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523, testo unico delle leggi sul Mezzogiorno. Si osserva nell'ordinanza di rimessione che i piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale previsti da detto t.u. producono un duplice ordine di effetti, sia nei confronti dei comuni interessati, per l'equiparazione ai piani territoriali di coordinamento disciplinati dalla legge urbanistica del 1942, sia anche nei confronti dei privati proprietari delle aree comprese nei piani e soggette ad espropriazione. In base al disposto del primo comma dell'art. 147 possono infatti essere sotto poste a vincolo di destinazione tutte le aree interessate dalle opere pubbliche, dichiarate urgenti e indifferibili, programmate per l'attuazione delle iniziative di cui agli artt. 144 e 150, mentre l'ultimo comma dell'art. 147 attribuisce ai consorzi per le aree e i nuclei di sviluppo industriale la facoltà di promuovere l'espropriazione di immobili, non solo al fine dell'attrezzatura delle zone, ma anche al fine di rivenderli o cederli in locazione per l'impianto di nuovi stabilimenti industriali. Ne consegue il dubbio sulla legittimità costituzionale di queste disposizioni, prospettato dall'ordinanza con riguardo da un canto alla incidenza dei vincoli, che per la loro intensità assumerebbero carattere espropriativo senza previsione di indennizzo, e dall'altro alla mancata statuizione di un limite temporale di efficacia dei vincoli imposti: osservandosi che la destinazione all'esproprio comporta per i beni interessati dal piano immediate limitazioni dei poteri di godimento e di disposizione dei proprietari, limitazioni tanto più gravi in rapporto alla indeterminata durata dei vincoli stabiliti dal piano stesso. Al riguardo, anche la previsione di un aumento dell'indennità in relazione al tempo decorso dall'imposizione del vincolo al momento dell'espropriazione, introdotta dall'art. 1 della legge 21 luglio 1965, n. 904, non potrebbe ritenersi sufficiente, perché "il trasferimento coattivo, al quale é legata la indennità per l'immobilizzo conseguente al vincolo, é meramente eventuale, potendo in definitiva (come si é, in effetti, verificato in molti casi), non intervenire affatto".

2. - L'ordinanza del Consiglio di Stato concerne sei giudizi riuniti, promossi da diversi proprietari di immobili sottoposti a vincolo di destinazione dal "Piano regolatore territoriale del nucleo di industrializzazione di Reggio Calabria".

Sulla rilevanza della dedotta questione di costituzionalità al fine della decisione di detti giudizi, la difesa del Consorzio per il nucleo di industrializzazione di Reggio Calabria non ha sollevato eccezioni nell'atto di costituzione né nella successiva memoria; peraltro nella trattazione orale in udienza ha osservato che la questione non sarebbe rilevante - data la brevità del tempo intercorso dall'approvazione del piano - rispetto ai casi di specie in cui sia già intervenuto il decreto di esproprio. Al riguardo, occorre precisare che i due primi ricorsi hanno ad oggetto la impugnazione del ricordato piano regolatore, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 15 ottobre 1966, nonché degli atti preordinati e conseguenziali; i due successivi ricorsi hanno ad oggetto la impugnazione della variante del piano regolatore stesso, approvata con decreto in data 2 agosto 1971; gli ultimi due ricorsi hanno ad oggetto l'impugnazione del decreto di espropriazione emanato dal Prefetto di Reggio Calabria in data 16 dicembre 1972 nei confronti di alcune ditte, anche per invalidità derivata del provvedimento, in quanto gli interessati avevano, con precedenti ricorsi, impugnato il decreto di approvazione della variante del piano. Così stando le cose, non può dubitarsi della rilevanza della questione sollevata dal Consiglio di Stato.

3. - Preliminarmente all'esame della questione occorre considerare il contenuto e gli effetti dei piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale, la cui formazione é disciplinata dall'art. 146 del t.u. delle leggi su1 Mezzogiorno, approvato con d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523. Si tratta di piani regolatori di tipo speciale, che i consorzi previsti dall'art. 144 debbono redigere seguendo, in quanto applicabili, i criteri e le direttive di cui all'art. 5 della legge 17 agosto 1942, n. 1150; questi piani, una volta approvati, per espressa disposizione dell'art. 146, sesto comma, producono gli stessi effetti giuridici dei piani territoriali di coordinamento previsti dalla legge urbanistica.

Conseguentemente, a norma dell'art. 6 di detta legge, anche questi piani hanno vigore a tempo indeterminato; e comportano per i comuni il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell'ambito di un comprensorio prescelto come zona di sviluppo industriale, l'obbligo di uniformare alle loro indicazioni i rispettivi piani regolatori e strumenti urbanistici.

D'altra parte, i piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale possono anche incidere direttamente sui diritti ed interessi dei privati, con la imposizione di vincoli di destinazione per le aree di loro proprietà, in vista della espropriazione. I piani contengono anzitutto l'indicazione e localizzazione delle opere occorrenti per l'attuazione delle iniziative di cui agli artt. 144 e 150, ossia delle opere di attrezzatura delle zone, sistemazione dei terreni, costruzione di infrastrutture, impianti e servizi, nonché di tutte le altre opere d'interesse generale idonee a favorire l'insediamento industriale, comprese quelle portuali ed aeroportuali. Le opere indicate dai piani, la cui esecuzione é attribuita dalla legge in parte alla competenza della Cassa per il Mezzogiorno ed in parte ai consorzi "sulla base delle norme per essi vigenti" (art. 149), sono dichiarate di pubblica utilità, urgenti e indifferibili, per espressa disposizione dell'art. 147, primo comma. Inoltre, il nono ed ultimo comma dello stesso art. 147, che regola la procedura per le espropriazioni, stabilisce testualmente che nelle aree e nei nuclei di sviluppo industriale il consorzio può promuovere l'esproprio di immobili, "oltre che al fine dell'attrezzatura della zona, anche allo scopo di rivenderli o cederli in locazione per l'impianto di nuovi stabilimenti industriali e di pertinenze connesse, salvo il diritto degli espropriati alla restituzione, qualora gli immobili non siano utilizzati per lo scopo prestabilito entro 5 anni dal decreto di esproprio".

É pertanto indubbio che questi piani costituiscono strumenti complessi di programmazione, e contengono non soltanto indicazioni di carattere direttivo, ma anche statuizioni immediatamente precettive; le quali (come conferma altresì l'applicabilità delle misure di salvaguardia nel corso del procedimento di approvazione dei piani, prevista dal terzo comma dell'art. 146), possono avere diretta ed immediata incidenza sugli interessi dei proprietari di aree incluse nel perimetro dei piani, nella misura in cui impongano vincoli di destinazione, con la concreta individuazione di beni soggetti ad esproprio per l'esecuzione di opere di pubblica utilità, ovvero per l'insediamento di determinati impianti industriali.

4. - La Corte ha già avuto occasione di decidere, con la sentenza n. 55 del 1968, l'analoga questione se la mancanza di previsione nella legge urbanistica del 1942 di un termine finale di effettiva operatività dei vincoli imposti da un piano regolatore generale, ordinati a future destinazioni concrete, da realizzare attraverso interventi pubblici incerti an e quando, fosse compatibile con il principio sancito dall'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Avendo constatato che l'art. 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nella sua articolata formulazione, consentiva un complesso di imposizioni immediatamente operative, comprendenti "sia ipotesi di vincoli temporanei (ma di durata illimitata), preordinati al successivo (ma incerto) trasferimento del bene per ragioni di interesse generale, sia ipotesi di vincoli che, pur permettendo la conservazione della titolarità del bene, erano tuttavia destinati a operare immediatamente una definitiva incisione profonda, al di là dei limiti connaturali, sulle facoltà di utilizzabilità sussistenti al momento dell'imposizione"; e ciò senza previsione di indennizzo, anzi, con la contraria previsione di non indennizzabilità contenuta nell'art. 40, "tanto nel caso di vincoli di durata, predisposti in correlazione a trasferimenti di proprietà differiti (ma incerti an e quando), quanto nel caso di vincoli immediatamente definitivi inerenti a proprietà non destinate a essere trasferite", con la citata sentenza questa Corte dichiarò l'illegittimità costituzionale dei numeri 2, 3, 4 dell'art. 7 e dell'art. 40 della detta legge, nella parte in cui non prevedevano un indennizzo per l'imposizione delle limitazioni operanti immediatamente e a tempo indeterminato che avessero contenuto espropriativo.

É noto che a seguito di quella decisione il legislatore provvide, con legge 19 novembre 1968, n. 1187, a modificare le disposizioni dell'art. 7 della legge urbanistica (art. 1), e a stabilire che "le indicazioni di piano regolatore generale. nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati", soggiungendo che l'efficacia dei predetti vincoli non poteva essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione (art. 2).

5. - Scendendo all'esame della questione di cui é causa, appare evidente che l'imposizione di vincoli di destinazione, preordinati all'espropriazione, sopra immobili di proprietà privata, quale consegue all'approvazione del piano regolatore di un'area o nucleo di sviluppo industriale, determina, di regola, una immediata limitazione dei poteri di godimento e disposizione, che si concreta non tanto nel venir meno della possibilità di utilizzazione a scopo edilizio residenziale (poiché trattasi generalmente di zone a carattere rurale, esterne al perimetro dei centri abitati e non urbanizzate), quanto nella menomazione della possibilità e convenienza pratica di investimenti a scopo di miglioramento o trasformazione delle colture agricole esistenti e di sviluppo d'ogni altra iniziativa o attività economica diversa dall'insediamento industriale.

Tuttavia, a giudizio di questa Corte, non si può affermare in via generale che le limitazioni dei poteri di godimento e di disposizione conseguenti, per i privati proprietari, alle prescrizioni immediatamente operative del piano regolatore di un'area o nucleo di sviluppo industriale, assumano senz'altro carattere espropriativo, e quindi richiedano di per sé la previsione di un indennizzo: e ciò proprio perché trattasi di vincoli temporanei, imposti in vista della espropriazione. Il contrasto con il principio sancito dal terzo comma dell'art. 42 Cost. si verifica non per effetto della imposizione dei vincoli, bensì per effetto della mancanza d'una precisa determinazione della durata dei vincoli stessi. Sotto questo profilo ed in questi circoscritti termini, meritano accoglimento le considerazioni svolte dall'ordinanza di rimessione, per cui, trattandosi di vincoli certamente temporanei, in quanto preordinati all'espropriazione, a causa della incertezza sul quando, ed anche sull'an del futuro trasferimento, "viene ad essere disgiunta, illimitatamente ed irrazionalmente, la sottomissione immediata del bene al vincolo dal compenso per la sua perdita". É precisamente la efficacia a tempo indeterminato che conferisce ai vincoli di cui trattasi carattere e contenuto espropriativo, nel difetto di qualsiasi possibilità di previsione circa la data della futura espropriazione, che potrebbe anche non verificarsi, e senza apprezzabile indennità per l'immobilizzo conseguente al vincolo, per quanto protratto nel tempo.

6. - L'esigenza che i vincoli di destinazione imposti sopra beni determinati di privata proprietà debbano avere efficacia limitata nel tempo é stata riconosciuta dal legislatore non soltanto con la ricordata legge 19 novembre 1968, n. 1187, e con le successive disposizioni di proroga temporanea emanate in vista della riforma del regime urbanistico circa l'uso dei suoli, ma anche con una serie di altre norme legislative, concernenti specificamente l'efficacia dei piani particolareggiati e la loro attuazione. Così, già la legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, stabiliva agli artt. 16 e 17 che i piani particolareggiati debbono essere attuati entro il termine massimo di dieci anni dalla loro approvazione, e decorso tale termine diventano inefficaci per la parte in cui non abbiano avuto attuazione (norme non modificate dalla successiva legge 6 agosto 1967, n. 765); ed anche la legge 18 aprile 1962, n. 167, attribuiva ai piani di zona per l'edilizia economica e popolare efficacia per 10 anni, prorogabile per giustificati motivi per non oltre due anni (art. 9: efficacia estesa poi a quindici anni dal d.l. 2 maggio 1974, n. 115, convertito in legge 27 giugno 1974, n. 247). Anche la legge 22 ottobre 1971, n. 865, prevede che i comuni, nel delimitare i comprensori di aree da espropriare per l'attuazione dei loro programmi, da aggiornare ogni cinque anni, possono vincolare dette aree "per un periodo non superiore ad un quinquennio" (art. 26), e che i piani delle zone da destinare all'edilizia popolare o ad insediamenti produttivi, aventi del pari valore di piani particolareggiati di esecuzione, hanno efficacia per dieci anni dalla data dei decreti di approvazione (artt. 27 e 38).

Per quanto concerne i piani regolatori delle aree e nuclei di sviluppo industriale previsti dal t.u. delle leggi sul Mezzogiorno, occorre tener presente che la loro attuazione non richiede la successiva formazione ed approvazione di piani particolareggiati di esecuzione, potendosi direttamente procedere alle espropriazioni, secondo le norme dettate dall'art. 147, sulla base delle indicazioni contenute nei piani. Di fatto, nel caso di specie, le Norme di attuazione del piano regolatore territoriale del nucleo di industrializzazione di Reggio Calabria stabiliscono all'art. 7 che "le opere previste dal piano regolatore sono attuate mediante progetti esecutivi redatti sulla base delle planimetrie di piano riguardanti sia l'assetto generale che i singoli agglomerati industriali", mentre gli artt. 10 e seguenti enunciano le prescrizioni di zona, relative alle diverse "zone contenute e definite entro il perimetro degli agglomerati, per le quali il piano ha valore normativo immediato".

Di fronte a tale situazione, mentre é ovvio e naturale che questi piani, nella parte in cui contengano direttive e previsioni di lungo periodo, debbano aver vigore a tempo indeterminato, al pari dei piani territoriali di coordinamento e dei piani regolatori urbanistici, essendo la loro attuazione necessariamente graduale nel corso dei decenni, non sussiste invece giustificazione razionale per cui anche le prescrizioni o indicazioni direttamente incidenti su beni determinati, con l'imposizione di vincoli di destinazione preordinati all'espropriazione, debbano avere efficacia senza limite di tempo, nell'attesa di future espropriazioni che potrebbero anche essere lungamente differite, o non avvenire.

Appare invece conforme alle più evidenti esigenze di contemperamento tra gli interessi pubblici e quelli privati, (che ai primi debbono soggiacere solo per motivi di utilità generale, e nei limiti da questa richiesti), nonché ad ovvii criteri di buona e ordinata amministrazione, che i programmi di sviluppo delle zone destinate alla localizzazione di imprese industriali vengano formati sulla base di prudente valutazione dei tempi tecnici occorrenti e dei mezzi finanziari disponibili per la effettiva esecuzione delle infrastrutture, dei servizi e degli impianti, in correlazione con le richieste di insediamento di nuovi stabilimenti industriali. Nei piani potrà essere inserita anche la previsione di opere eventualmente programmate nel lungo periodo, con riguardo a possibili maggiori sviluppi futuri, ma non pare ammissibile che l'esecuzione delle opere riconosciute di immediata necessità, dichiarate dalla legge non solo di pubblica utilità ma anche indifferibili ed urgenti, possa essere decisa imponendo alla proprietà privata vincoli di destinazione immediatamente operativi, senza la indicazione di un termine per l'effettiva esecuzione, e quindi per le conseguenti espropriazioni.

7. - La difesa del Consorzio ha eccepito che la mancanza di un termine per gli espropri non avrebbe importanza, perché in base al disposto dell'art. 147, primo comma, "la dichiarazione di pubblica utilità e quindi la espropriabilità derivano direttamente dalla legge e non sono affatto collegate all'approvazione dei piani, anzi, a b en vedere, non discendono nemmeno dal t.u. del 1967, ma dalle prime leggi sulla industrializzazione del Mezzogiorno, emanate a partire dal 1947", talché "in tesi tutti i beni (ivi compresi gli edifici) che si trovano nel Mezzogiorno si trovano indefinitamente soggetti ad esproprio"; che, "trattandosi di terreni destinati all'installazione dei servizi pubblici o di interesse generale, la cui esecuzione é il presupposto stesso del piano, é normale che, pur in assenza di un termine di legge, l'esproprio segua (come di fatto é seguito) sollecitamente"; che infine l'indennizzo per il vincolo derivante dalla inclusione nel piano é accordato dalla legge n. 904 del 1965 sotto forma di maggiorazione dell'indennità di espropriazione, e che qualora esproprio non segua "il proprietario avrà un vantaggio ben più sensibile di quel che sia la maggiorazione dell'indennità".

Non occorre confutare questi argomenti, essendo di chiara evidenza che, pur in base alla dichiarazione di pubblica utilità contenuta nella legge, la espropriabilità dei beni conseguiti, e solo al vincolo di destinazione su di essi imposto con la approvazione dei piani, e che proprio per la esecuzione di opere pubbliche dichiarate urgenti e indifferibili si rende opportuna la prefissione d'un termine di efficacia dei vincoli imposti con i piani, la cui attuazione non può essere rimessa solo alla sollecitudine delle amministrazioni (nel caso di specie, il piano fu approvato nel 1966 e quindi modificato con variante dopo cinque anni, nel 1971, mentre i primi esproprii per la costruzione del I lotto d'una strada consortile sono avvenuti il 16 dicembre 1972).

Per quanto concerne la misura delle indennità - di cui peraltro non si contende nel presente giudizio - occorre rilevare che sebbene l'art. 147, settimo comma, ne preveda la determinazione "ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 167, modificata dalla legge 21 luglio 1965, n. 904", (la quale ultima, all'art. 1, dispone la corresponsione ai proprietari espropriati, in aggiunta all'indennità, di una somma pari al due per cento dell'importo medio degli indennizzi per ogni anno o frazione di anno dalla data di approvazione del piano a quella del decreto di e sproprio), é legittimo il dubbio circa la perdurante applicabilità, nella fattispecie di cui é causa, di queste disposizioni, posto che l'art. 39 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, ha espressamente abrogato gli artt. 12 e seguenti della legge n. 167 del 1962 e successive modificazioni, ed inoltre la legge 27 giugno 1974, n. 247, ha stabilito che le disposizioni del tit. II della legge n. 865 del 1971 relative alla determinazione dell'indennità di espropriazione "si applicano a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato, delle Regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali". Sono d'altra parte veramente fuori luogo le ipotesi circa i vantaggi che avrebbero i proprietari dei terreni vincolati dai piani, qualora le previste espropriazioni fossero rinviate sine die, o non mai pronunciate.

8. - Non pertinente é, infine, il richiamo alla sentenza n. 17 del 1975 di questa Corte, con la quale é stata dichiarata non fondata la questione di costituzionalità degli artt. 2 e 3 della legge 13 giugno 1961, n. 528 (Provvedimenti per il completamento del Porto canale Corsini, dell'annessa zona industriale di Ravenna e del Porto di Venezia), riconoscendo che la statuizione d'un limite temporale per la esecuzione delle opere ivi previste non doveva necessariamente essere contenuta nella legge dichiarativa della loro pubblica utilità, ben potendo l'indicazione del termine legittimamente riconnettersi al primo atto amministrativo della procedura espropriativa. Nel caso oggi in esame non é contestata la mancata previsione di un termine nella stessa disposizione del primo comma dell'art. 147 del t.u. delle leggi sul Mezzogiorno, che contiene la declaratoria astratta e generale di pubblica utilità di tutte le opere occorrenti per l'attuazione dei piani regolatori delle zone di sviluppo industriale, bensì é stata denunciata la mancanza di una norma che, nell'atto in cui la legge consentiva, mediante la formazione dei piani, l'imposizione sulle private proprietà di vincoli immediati di destinazione preordinati all'espropriazione, stabilisse un limite temporale di efficacia dei vincoli stessi, secondo i principi enunciati da questa Corte con la sentenza n. 55 del 1968, e recepiti dalla legge 19 novembre 1968, n. 1187.

Concludendo, anche in rapporto alla accertata inconsistenza delle suesposte eccezioni, deve riconoscersi la fondatezza della questione di costituzionalità sollevata dal Consiglio di Stato, nei sensi e limiti sopra precisati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 147, primo ed ultimo comma, del testo unico delle leggi sul Mezzogiorno, approvato con d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523, nella parte in cui dette norme, senza prevedere un indennizzo, consentono che vincoli di destinazione preordinati all'espropriazione siano imposti sui beni di proprietà privata dai piani regolatori delle aree dei nuclei di sviluppo industriale, disciplinati dagli articoli 146 e 147 dello stesso testo unico, senza prefissione di un termine di durata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 dicembre 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1976.