Sentenza n. 245 del 1976
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SENTENZA N. 245

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, 11, 12, 24, 27, 28, 31, 32 e 34 della legge 1 giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose di interesse artistico o storico), promosso con ordinanza emessa il 20 giugno 1974 dal pretore di Firenze, nel procedimento civile vertente tra Di Frassineto Gerardo e Borga Bettino, iscritta al n. 391 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 289 del 6 novembre 1974.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1976 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il vice Avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un giudizio civile iniziato dall'acquirente di un oggetto d'arte (un ventaglio in cornice), che il venditore si era rifiutato di consegnare a seguito di un decreto del Ministro della pubblica istruzione, che aveva imposto il vincolo di eccezionale interesse artistico e storico alla collezione di cui l'oggetto faceva parte, ai sensi dell'art. 5 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, il pretore di Firenze, con ordinanza 20 giugno 1974, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale della suddetta disposizione, nonché degli artt. 11, 12, 24, 27, 28, 31,32 e 34 della stessa legge, in riferimento all'art. 42 della Costituzione.

Il pretore richiama, anzitutto, la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale i vincoli alla proprietà che ne annullino o ne diminuiscano notevolmente il contenuto patrimoniale o questo svuotino in modo rilevante ed incisivo, equivarrebbero ad esproprio e sarebbero costituzionalmente illegittimi, quando alla loro imposizione non segua l'indennizzo di cui all'art. 42, terzo comma, della Costituzione.

Assume, poi, che siffatta limitazione si avrebbe sia nell'art. 5, che prevede il vincolo, sia negli indicati successivi articoli della legge, che contengono divieti vari in violazione del medesimo precetto costituzionale.

Fa, inoltre, presente che l'alienazione dei singoli oggetti che fanno parte della collezione vincolata sarebbe pressoché impossibile nella specie, in quanto potrebbe attuarsi solo unitamente all'immobile monumentale ove sono collocati.

Sulla rilevanza della questione il pretore osserva che, ove il vincolo dovesse risultare illegittimo, verrebbe meno l'intrasferibilità dell'oggetto alienato e potrebbe farsi luogo all'esecuzione del relativo contratto di compravendita.

Dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale chiede che la questione sia dichiarata non fondata, ponendone in dubbio anche la rilevanza per quanto attiene alle disposizioni diverse da quella dell'art. 5 della legge n. 1089 del 1939, in base al quale si é disposto il vincolo sul bene di cui si controverteva nel giudizio di merito.

Dopo aver precisato che la collezione non é indivisibile, potendo esserne autorizzata l'alienazione parziale, l'Avvocatura osserva che la qualità di cose d'arte o di beni culturali ha carattere originario e sostanziale e perciò indipendente dall'imposizione, meramente dichiarativa, del vincolo.

Il regime particolare previsto dalla legge n. 1089 del 1939 troverebbe poi la sua giustificazione nell'art. 9 Cost. sulla tutela del patrimonio storico ed artistico della nazione. D'altronde, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, l'articolo 42 non impone indennizzo quando la legge regoli in via generale i diritti dominicali in relazione a determinati beni, al fine di assicurarne la funzione sociale e di evitare lesioni all'interesse pubblico.

Considerato in diritto

1. - É stata sottoposta alla Corte la seguente questione: se gli artt. 5, 11, 12, 24, 27, 28, 31, 32 e 34 della legge 1 giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose di interesse artistico o storico), consentendo l'assoggettamento della proprietà privata a vincoli che ne annullino o diminuiscano notevolmente il contenuto patrimoniale, senza indennizzo, violino l'art. 42 della Costituzione.

2. - Si devono determinare, anzitutto, nell'attuale giudizio di legittimità, i confini della rilevanza.

Va tenuto presente che la causa di merito era sorta perché il venditore di un oggetto non l'aveva consegnato all'acquirente, essendo stato imposto alla collezione, di cui l'oggetto stesso era parte, il vincolo di eccezionale interesse artistico e storico.

É esatto il rilievo dell'Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la questione va limitata al solo art. 5 della citata legge del 1939, che, in mancanza di apposita autorizzazione, sancisce il divieto dello smembramento della collezione o serie di oggetti notificata ai sensi di detto art. 5.

Infatti, per le altre norme manca qualsiasi attestazione sulla rilevanza; e questa va, comunque, esclusa.

Tali altre norme, invero, non concernono lo smembramento della collezione (che, concretandosi in una operazione materiale, prescinde dall'alienazione o da qualsiasi altro negozio), ma riguardano la demolizione, la rimozione, la modificazione o il restauro delle cose indicate negli artt. 1 e 2 (artt. 11 e 12); il diritto di prelazione dello Stato negli acquisti a titolo oneroso di cose e di collezioni appartenenti a privati (artt. 31, 32 e 34, secondo comma); il divieto di alienazione non autorizzata sia di singole cose di antichità e d'arte di cui agli artt. 1 e 2, quando appartengano allo Stato o ad altro ente o istituto pubblico, sia delle collezioni di proprietà di enti o istituti legalmente riconosciuti oppure di proprietà privata (artt. 24, in relazione all'art. 23, 27 e 34, primo comma), nonché di atti di disposizione o di costituzione in garanzia (art. 28).

3. - Pur così circoscritta, la questione é infondata.

La vigente disciplina legislativa in tema di tutela delle cose di interesse artistico e storico, da un lato, trova rispondenza nell'art. 9 Cost., dall'altro, non viola l'art. 42 Cost. che prevede un indennizzo per l'imposizione di vincoli sostanzialmente ablativi: é costante giurisprudenza di questa Corte che non deve farsi luogo ad indennizzo allorché i limiti imposti alla proprietà privata, nell'ambito delle garanzie costituzionali, si riferiscano a modi di godimento di intere categorie di beni, né quando sia regolata la situazione che i beni stessi hanno rispetto ad interessi della pubblica amministrazione, sempreché la legge - come nella specie - abbia per destinataria la generalità dei soggetti (sentenza n. 6 del 1966; vedansi pure le sentenze n. 56 del 1968, n. 79 del 1971, n. 9 del 1973, n. 202 del 1974).

4. - L'art. 5 della legge n. 1089 del 1939, lungi dal menomare il contenuto patrimoniale degli oggetti facenti parte delle collezioni, é diretto a garantirne la destinazione unitaria, stante l'eccezionale valore artistico o storico che gli oggetti stessi rivestono nel loro complesso e non nella singola individualità di ciascuno di essi.

Deriva da ciò che la previsione dell'autorizzazione ministeriale richiesta dalla norma censurata per lo smembramento di una collezione (salvi, si intende, i normali rimedi amministrativi e giurisdizionali) non può in alcun modo intendersi come una violazione del diritto di proprietà, cui debba seguire un indennizzo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 11, 12, 24, 27, 28, 31, 32 e 34 della legge 1 giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose di interesse artistico o storico);

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della stessa legge, sollevata, in riferimento all'art. 42 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe, dal pretore di Firenze.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 dicembre 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 20 dicembre 1976.