Sentenza n. 211 del 1976
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SENTENZA N. 211

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 38, 40, 41, 42, 45, 49, 51, 52, 53, 54, 55 e 60 del R.D. 16 luglio 1905, n. 646 (approvazione del testo unico delle leggi sul credito fondiario), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 25 febbraio 1974 dal giudice dell'esecuzione del tribunale di Prato nel procedimento civile vertente tra l'Istituto di credito fondiario della Toscana e Tempestini Paolo ed altro, iscritta al n. 120 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 dell'8 maggio 1974;

2) ordinanza emessa il 10 gennaio 1975 dal giudice di esecuzione del tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra la Sezione del credito fondiario del Monte dei Paschi di Siena ed il fallimento della società Immobiliare via di Pino, iscritta al n. 118 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 4 giugno 1975.

Visti gli atti di costituzione dell'Istituto di credito fondiario della Toscana e della Sezione di credito fondiario del Monte dei Paschi di Siena, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 aprile 1976 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'avv. Antonio Sorrentino, per l'Istituto di credito fondiario della Toscana, gli avvocati Gian Antonio Micheli e Domenico Anzaldi, per la Sezione di credito fondiario del Monte dei Paschi di Siena, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso della procedura esecutiva immobiliare promossa dall'Istituto di credito fondiario della Toscana contro il mutuatario moroso Paolo Tempestini che si trovava in stato di fallimento, il giudice dell'esecuzione del tribunale di Prato, chiamato a provvedere sull'istanza di vendita all'asta proposta dal creditore procedente giusta i criteri indicati dallo art. 49, comma secondo, del r.d. 16 luglio 1905, n. 646 (approvazione del testo unico delle leggi sul credito fondiario), con ordinanza del 25 febbraio 1974, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42, comma secondo, di detto testo unico, secondo cui "le disposizioni delle leggi e dei regolamenti sul credito fondiario sono sempre applicabili anche in caso di fallimento del debitore per i beni ipotecati agli istituti di credito fondiario".

Posto che gli enti che esercitano il credito fondiario contrariamente a tutti gli altri creditori di un fallito ed unitamente agli istituti di credito agrario ed all'esattore, possono iniziare o proseguire procedure esecutive individuali che si svolgono parallele a quelle fallimentari, ma non soggiacciono alle norme fallimentari stesse, il giudice a quo ha rilevato in ciò l'esistenza di un trattamento differenziato e di particolare riguardo per i detti enti nei confronti dei normali creditori. Ha, nel contempo, osservato che di codesta disparità di trattamento manca una ragionevole giustificazione, perché negli scopi degli istituti di credito fondiario non é dato di ravvisare un particolare fine cosiddetto sociale e, di conseguenza, di collettivo interesse; ed in subordine che nessun vantaggio gli stessi istituti possono ricavare dalla possibilità di "esprimere azioni esecutive invece che insinuazioni in una normale procedura fallimentare", e che a fronte di vantaggi di fatto inesistenti é previsto dal testo unico un completo e totale dispregio dei diritti degli altri creditori, i quali si trovano assolutamente disarmati in presenza di un creditore al quale, invece, "la legge consente di non soggiacere alle comuni norme fallimentari e di poter, da solo, dar vita ad una procedura esecutiva forzata senza che nessuno possa contestargli nulla essendo rimesso soltanto alla prudenza ed alla attenzione del giudice delle esecuzioni il controllo su tutta l'attività dell'istituto procedente".

Ha poi messo in evidenza che siffatto trattamento preferenziale si concreta non solo nel poter usufruire di un certo tipo di procedura, ma anche e soprattutto nel poter esperire una procedura senza alcun valido contraddittore (dato che il curatore, in rappresentanza dei creditori, non può intervenire nella procedura di esecuzione forzata sia perché il fallimento é intervenuto prima dell'inizio della procedura e sia perché esso curatore non ha alcun titolo per farlo). Ed ha concluso, per le ragioni sopraddette, per la non manifesta infondatezza della indicata questione di legittimità costituzionale.

2. - Davanti a questa Corte si é costituito delle parti private solo l'Istituto di credito fondiario della Toscana, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Sorrentino, ed ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato.

a) L'Istituto di credito fondiario della Toscana ha chiesto a questa Corte di voler dichiarare inammissibile e comunque non fondata la questione.

La questione non sarebbe ammissibile, perché non figura "sollevata da parte di un giudice investito di potestas iudicandi in ordine alla controversia" dato che "il giudice dell'esecuzione non svolge nel processo esecutivo una funzione giurisdizionale, ma, al più, in caso di opposizione, si limita ad istruire la causa per il collegio", e perché, "in secondo luogo, non può dirsi che l'applicazione da parte del giudice dell'esecuzione presso il tribunale di Prato della norma impugnata avesse carattere giurisdizionale e nemmeno contenzioso", dato che detto giudice non avrebbe dovuto far altro che "dar corso al processo esecutivo promosso dall'Istituto di credito fondiario" e la "rilevanza" richiesta per sollevare una questione di legittimità costituzionale é riferita all'applicazione giurisdizionale della norma impugnata, nel senso cioé che il giudice non possa definire il "giudizio" indipendentemente dalla risoluzione della relativa questione.

Nel merito, la difesa dell'Istituto ha dedotto, in relazione al profilo dell'art. 3 della Costituzione, che nell'ordinanza vi sarebbe un grave errore di prospettiva giacché si sostiene che a giustificare una disciplina differenziata non basti la diversità delle situazioni da regolare ma occorre anche che la differenza derivi da fini sociali; che, con la sentenza n. 166 del 1963, a proposito dell'art. 39 dello stesso testo unico, questa Corte ha escluso la violazione del principio di eguaglianza, rilevando che "le speciali garanzie assicurate agli istituti di credito fondiario ed agrario dalle norme impugnate rispondono a particolari esigenze di questo settore" e che "la speciale posizione in cui in virtù della detta norma vengono a trovarsi i mutuatari rispetto agli istituti di credito ovvero rispetto a coloro che contraggono mutui in genere, avendo una sua precisa e concreta giustificazione, non dà luogo ad alcuna arbitraria discriminazione in danno di quella categoria di cittadini"; che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 1017 del 1967, ha riconosciuto la presenza di una ragione giustificatrice della differenziazione stabilita a favore degli istituti di credito fondiario proprio sul punto della esperibilità delle azioni esecutive individuali in regime fallimentare; che "la ratio giustificatrice del particolare trattamento di favore riservato agli istituti di credito fondiario va individuata nella circostanza che gli scopi da essi perseguiti non sono meramente speculativi - come mostra di ritenere il giudice a quo - ma, da un lato, si differenziano chiaramente da quelli dell'intermediazione bancaria ordinaria e, dall'altro, essendo relativi alla tutela del risparmio, trovano un preciso riferimento nell'art. 47 della Costituzione"; e che conclusivamente non possono non ravvisarsi nell'attività degli istituti di credito fondiario elementi di carattere pubblicistico e sociale che giustificano la legislazione speciale anche per quella parte che realizza un recupero dei crediti particolarmente celere a cui si é provveduto anche con l'introduzione del processo esecutivo immobiliare privilegiato e con l'art. 42 del testo unico in relazione alle procedure concorsuali.

La difesa dell'Istituto ha poi escluso che avesse fondamento l'altro profilo di incostituzionalità, in primo luogo perché vi é ragione di dubitare anche in astratto dell'applicabilità dell'art. 24 della Costituzione; in secondo luogo, perché l'impossibilità per i creditori di intervenire nelle procedure esecutive a carico del fallito trova esatto riscontro nel sistema della legge fallimentare ed in particolare nell'art. 107, ed in terzo luogo, perché non é sostenibile la tesi che un curatore non sia legittimato ad intervenire nell'esecuzione speciale.

Ed infine, ha contestato la fondatezza dell'assunto del giudice a quo secondo cui la possibilità di iniziare o proseguire la procedura esecutiva non apporta alcun vantaggio all'Istituto creditore e, per il disposto dell'art. 49 del testo unico, si avrebbe un totale e complesso dispregio dei diritti degli altri creditori.

b) Il Presidente del Consiglio dei ministri ha concluso per la non fondatezza della questione.

La difesa dello Stato ha precisato che il carattere di privilegio di eccezionalità che inerisce alla legge speciale di cui si tratta, é una condizione necessaria del credito fondiario, e che la disciplina di esso é intesa al conseguimento di fini di utilità sociale, consistenti nella tutela del risparmio e nello sviluppo dell'economia pubblica; ed osservato che, avendo la normativa impugnata una precisa e concreta giustificazione, non può parlarsi in alcun modo di una arbitraria discriminazione in danno dei creditori ordinari. Non sarebbe, quindi, violato il principio di eguaglianza.

D'altra parte, i creditori ordinari, dal loro canto e compatibilmente con la particolare posizione riconosciuta agli istituti di credito fondiario, conservano il potere di agire in giudizio a tutela dei loro diritti; e quindi non c'é contrasto con l'art. 24 della Costituzione.

3. - Con ordinanza del 10 gennaio 1975 emessa dal giudice dell'esecuzione presso il tribunale di Genova nel procedimento esecutivo immobiliare promosso dal Monte dei Paschi di Siena, Sezione di credito fondiario nei confronti della s.p.a Immobiliare via di Pino, in precedenza dichiarata fallita, sono state sollevate: in riferimento agli artt. 111, comma secondo, e 24, comma primo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 38, comma primo, 41, comma secondo, 49, comma primo, 52, comma primo, 53, 54 e 60, comma secondo, del citato testo unico del 1905; e in riferimento agli artt. 3, comma primo, e 24, comma primo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 40, 41, commi primo e terzo, 42, commi primo e secondo, 45, in relazione all'art. 41, comma primo, 49, comma secondo, 51, comma primo, 55, commi primo e secondo, e 60, commi primo e terzo, del ripetuto testo unico.

Dopo aver dichiarato di non poter condividere l'assunto dell'Istituto procedente secondo cui il legislatore, con il secondo comma dell'art. 42 del testo unico, avrebbe inteso derogare espressamente al divieto di azioni esecutive individuali sancito dall'art. 51 della legge fallimentare ed escluso che la eccezione consentita da quest'ultimo articolo all'esecuzione esattoriale di cui all'art. 51 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, possa essere analogicamente invocata per spiegare la norma in esame, il giudice a quo ha sostenuto che con il detto art. 51 della legge fallimentare é stata creata una vera e propria "riserva di legge" da cui nasce per gli organi legislativi l'onere di una migliore disciplina della materia, ma che (mentre la riserva é stata esplicitamente colmata con il d.P.R. n. 602 del 1973) l'onere ovviamente non é stato soddisfatto con la conservazione e valorizzazione del disposto del citato art. 42, e che per spiegare l'evidente anomalia della instaurazione o prosecuzione di una autonoma esecuzione forzata degli Istituti esercenti il credito fondiario, non giova addurre che la ratio di tale eccezionale facoltà discende dagli impegni assunti da detti istituti verso i portatori di cartelle fondiarie. Ha affermato, quindi, che il complesso delle norme che consentono, secondo il creditore procedente, l'instaurazione ovvero la prosecuzione, della espropriazione forzata individuale in pendenza del fallimento del mutuatario, al di fuori di ogni collegamento con la procedura concorsuale, appare in contrasto con i criteri generali fissati nella relazione alla legge fallimentare; e che l'asserita "specialità" dei mutui fondiari non giustifica le eccezionali agevolazioni concesse a tale categoria di crediti rispetto a quelli collegati ad analoghe operazioni di finanziamento.

Dato che le modalità dell'espropriazione forzata di cui al testo unico del 1905 sovvertono le regole del concorso dei creditori nel fallimento, ed escludono agli organi di tale procedura la possibilità di qualsiasi azione a tutela degli altri soggetti interessati, le norme sopra indicate del testo unico risultano in contrasto con gli artt. 3, comma primo, 24, comma primo, e 111, comma secondo, della Costituzione, perché nella procedura espropriativa da esse norme prevista "gli altri creditori non possono far valere in alcun modo le proprie ragioni, o proporre gravami, od invocare la sospensione degli atti esecutivi contro le deliberazioni degli Istituti esercenti il credito fondiario, né in via autonoma né mediante i rimedi approntati in via generale dal r.d. 16 marzo 1942, n. 267".

4. - Anche in questo secondo procedimento davanti alla Corte si é costituito, delle parti private, solo l'Istituto procedente (e stavolta, il Monte dei Paschi di Siena, Sezione di credito fondiario) ed ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

La Sezione di credito fondiario, a mezzo degli avv.ti Domenico Anzaldi e prof. Gian Antonio Micheli, ha chiesto alla Corte di volere dichiarare inammissibile od irrilevante (quanto meno nella massima parte) o comunque infondata la questione; e dal canto suo il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità o comunque di infondatezza delle sollevate questioni.

5. - La Sezione di credito fondiario, in ordine alla tesi dell'inammissibilità o irrilevanza, ha sostenuto che nella fattispecie non ricorre il presupposto necessario per sollevare la questione, e cioé che penda un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale, perché il giudice dell'esecuzione non é un'autorità giurisdizionale (avendo la funzione non di emettere pronunce giurisdizionali, ma, a sensi dell'art. 484 del codice di procedura civile, di dirigere l'espropriazione, e non avendo il potere di decidere con pronuncia giurisdizionale le questioni che sorgono durante il corso dell'esecuzione ma quello di istruirle se competente o di rimetterle al giudice competente, giusta, per esempio, gli artt. 569, 616, 618, 512 e 598 del detto codice) e tale principio si trova enunciato in modo costante e nell'arco di un trentennio, in numerose sentenze della Corte di cassazione (nn. 2212 del 1965, 653 del 1953, 963 del 1960, 2375 del 1958, 2212 del 1953 e 1280 del 1946).

Per completezza di difesa, ha osservato ancora, che non é rilevante il fatto che il giudice dell'esecuzione de quo fosse competente per l'istruzione sulla proposta opposizione, anzitutto perché non esisteva il giudizio nel corso del quale la questione di costituzionalità potesse essere sollevata ed in secondo luogo e in subordine, mai nella fase istruttoria del giudizio che fosse stato ritualmente instaurato, si sarebbe potuto dar vita alla detta questione, essendo al riguardo legittimato il collegio che deve decidere la causa.

A proposito del difetto di rilevanza (della questione), la Sezione ha dedotto che questa ricorreva solo per il secondo comma dell'art. 42 del testo unico, che era la norma in forza della quale l'esecuzione era stata intrapresa e della quale il fallimento della società aveva eccepito l'incostituzionalità; e che di tutte le questioni relative alle altre norme denunciate avrebbe dovuto essere dichiarata l'inammissibilità per irrilevanza, ed in particolare, e tra le altre, di quella dell'art. 49, comma secondo, del testo unico, dato che nella fattispecie era stata chiesta e disposta la nomina di un esperto per la stima degli immobili in esproprio.

Nel merito la Sezione di credito fondiario del Monte dei Paschi di Siena ha osservato: che questa Corte, con le sentenze n. 166 del 1963 e n. 61 del 1968, ha riconosciuto la piena aderenza di tutta la legge speciale sul credito fondiario ai principi costituzionali, escludendo la lamentata violazione dell'art. 3 in quanto le speciali garanzie assicurate agli istituti di credito fondiario ed agrario rispondono a particolari esigenze di questo settore e negando la dedotta contrarietà all'art. 24 proprio a proposito di una norma del testo unico (l'art. 20) avente effettivamente carattere di specialità; che l'ordinanza de qua trova confutazione, oltre che nelle ricordate pronunce, nei principi generali posti in più occasioni da questa stessa Corte, per cui si ha: la mancata violazione del principio di eguaglianza, giacché il legislatore si é trovato a dover disciplinare un sistema particolare di tutela giurisdizionale a favore di uno speciale tipo di creditore quali sono gli istituti di credito fondiario, che si trovano ad essere in una situazione peculiare, consimile a quella dell'esattore, in quanto hanno una "necessità" giuridica oltre che economica di provvedere a pagamenti entro termini fissi; e si ha altresì la corretta tutela del diritto di difesa, giacché non risultano menomati i poteri di agire e di difendersi dei soggetti diversi dagli istituti di credito fondiario.

Perché l'Istituto di credito fondiario possa far fronte ai suoi peculiari ed indilazionabili impegni, é necessario assicurargli i mezzi, anche procedurali, configurando un processo esecutivo più snello di quello ordinario.

Uno di questi mezzi necessari é appunto dato dall'art. 42 del testo unico, per cui é consentito di iniziare e proseguire l'azione esecutiva, anche in costanza di fallimento del mutuatario e tale azione é così sottratta alle remore e agli indugi imposti dalla procedura fallimentare.

La difesa della Sezione di credito fondiario, poi, ha messo in rilievo l'infondatezza e la parziale inconferenza delle argomentazioni addotte dall'ordinanza in sede di denuncia dell'illegittimità costituzionale di tutte le altre norme del testo unico.

Tra l'altro ha negato che il curatore del fallimento e gli altri creditori non possano intervenire e mantenere il loro intervento nella procedura; ha escluso che a proposito dell'art. 51 della legge fallimentare nell'espressione "salvo diversa disposizione della legge" si possa vedere - come vorrebbe il giudice a quo - una "riserva di legge" suscettibile di essere sciolta dal legislatore solo con successivi procedimenti, mettendo in evidenza che secondo quella interpretazione, l'art. 42 del testo unico dovrebbe essere considerato non più in vigore; ha sostenuto che non é ipotizzabile nella specie la violazione del secondo comma dell'art. 111 della Costituzione, sia da parte dell'art. 42 del testo unico che da parte delle altre norme richiamate nell'ordinanza che sarebbero del tutto irrilevanti.

Ed ha concluso nei sensi sopra ricordati.

6. - Per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocato generale dello Stato, posto che se vi sono opposizioni all'esecuzione decide il tribunale con sentenza (art. 569, comma terzo del codice di procedura civile), ha eccepito che il giudizio sulla rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 42, comma secondo, del testo unico avrebbe dovuto essere effettuato dal tribunale, competente a decidere sul merito dell'opposizione proposta dal fallimento della società; ha fatto presente che le altre norme del testo unico denunciate non riguardano i rapporti tra esecuzione singolare e fallimentare, ma le particolari modalità dell'esecuzione singolare ad istanza degli istituti di credito fondiario e che quindi il giudice a quo avrebbe dovuto considerare che nella specie tali norme non erano state invocate e non avrebbero dovuto essere applicate; ha osservato che nell'ordinanza di rimessione sono stati affermati principi non condividibili in ordine al contenuto e alla interpretazione delle norme denunciate; ha precisato che la eccezionalità della normativa in oggetto (rettamente intesa) rispetto alle comuni disposizioni della legge fallimentare e del codice di procedura civile, é pienamente giustificata dalla particolare struttura del credito fondiario; ed ha infine opposto che non ricorrono le asserite violazioni degli artt. 3, comma primo, e 24, comma primo, della Costituzione, e della successiva norma dell'art. 111, comma secondo, non era infine il caso di discutere "perché non é ipotizzabile, e non é stata ipotizzata neppure dalla ordinanza di rimessione, una sentenza del giudice avverso la quale non sia proponibile, quale estrema garanzia, il ricorso in cassazione per violazione di legge".

7. - All'udienza del 21 aprile 1976 i difensori delle parti private avvocati Sorrentino, Micheli ed Anzaldi, nonché l'avvocato dello Stato Angelini Rota hanno confermato le conclusioni già prese.

Considerato in diritto

1. - Con le ordinanze indicate in epigrafe dei giudici dell'esecuzione dei tribunali di Prato e di Genova sono sollevate questioni di legittimità costituzionale a proposito di varie norme del r.d. 16 luglio 1905, n. 646 (testo unico delle leggi sul credito fondiario), e precisamente:

a) dal primo giudice, in riferimento agli artt. 3, comma primo, e 24, comma primo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42, comma secondo;

b) e dal secondo giudice, in riferimento alle stesse disposizioni costituzionali, le questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 42, comma secondo, nonché degli artt. 40, 41, commi primo e terzo, 42, comma primo, 45, in relazione all'art. 41, comma primo, 49, comma secondo, 51, comma primo, 55, commi primo e secondo, e 60, commi primo e terzo; ed in riferimento agli artt. 24, comma primo, e 111, comma secondo, della Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 38, comma primo, 41, comma secondo, 49, comma primo, 52, comma primo, 53, 54 e 60, comma secondo.

Sono così prospettate questioni di costituzionalità identiche o strettamente connesse. E pertanto i due procedimenti vengono riuniti e le relative cause sono decise con unica sentenza.

2. - L'Istituto di credito fondiario della Toscana, nel primo procedimento, e la Sezione di credito fondiario del Monte dei Paschi di Siena ed il Presidente del Consiglio dei ministri, nel secondo procedimento, eccepiscono l'inammissibilità delle questioni per mancanza nei giudici a quibus della legittimazione a sollevarle.

Sostengono, a prescindere dalla concezione, autorevolmente prospettata in dottrina, che nega carattere giurisdizionale al processo esecutivo, che il giudice dell'esecuzione non é un'autorità giurisdizionale, e sua funzione non é quella di emettere pronunce giurisdizionali, ma di dirigere l'espropriazione; che se davanti a lui sorge una questione che debba essere decisa con pronuncia giurisdizionale, egli non ha potere per deciderla e se ne spoglia, per istruirla se competente (e per rimettere quindi le parti davanti al collegio) o per rimetterla al giudice competente; che solo nei casi di opposizione (artt. 615 e 616, 617 e 618, e 619 e seguenti) si instaurano veri e propri giudizi ed in essi il giudice dell'esecuzione alla stessa stregua del giudice istruttore é legittimato a sollevare questioni di legittimità costituzionale solo nei confronti di norme processuali che disciplinano i suoi poteri istruttori; e con riferimento alla specie, che nel primo dei due procedimenti di espropriazione non era stata proposta alcuna opposizione e non era stata neppure eccepita l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma secondo, del testo unico, e la questione relativa era stata sollevata d'ufficio dal giudice dell'esecuzione a ciò non legittimato; e che nel secondo procedimento la curatela del fallimento del mutuatario esecutato avrebbe sostanzialmente proposto opposizione e chiesto (unicamente) al tribunale di dichiarare l'illegittimità costituzionale delle norme in oggetto, e quindi solo il collegio sarebbe stato legittimato a sollevare la questione.

Le ragioni addotte e le considerazioni svolte dai difensori delle parti private costituite e dall'Avvocatura generale dello Stato possono essere in parte condivise.

Dagli atti di causa risulta che nel primo dei due procedimenti nessuno degli interessati si era, comunque, opposto alla esecuzione o agli atti esecutivi e il giudice dell'esecuzione ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale sopra indicata; e che nel secondo procedimento il curatore del fallimento del mutuatario esecutato aveva contestato il diritto dell'istituto di credito fondiario a procedere ad esecuzione immobiliare individuale contro il debitore ed aveva eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma secondo, e chiesto al tribunale di voler sollevare la relativa questione.

Ciò induce a ritenere che nel secondo procedimento fosse chiaramente sorta una questione sulla spettanza o meno allo istituto di credito fondiario del diritto di agire in via esecutiva al di fuori della procedura concorsuale e che a decidere sopra codesta questione, stante l'opposizione, fosse competente il tribunale e non il giudice dell'esecuzione.

Le questioni di cui alla seconda ordinanza devono essere considerate inammissibili perché sollevate dal giudice dell'esecuzione e non dal tribunale.

A differente conclusione si deve, invece, pervenire a proposito del primo procedimento, atteso che il giudice dell'esecuzione il quale era stato chiamato ad autorizzare la vendita, ha ritenuto, ed in vista dell'emissione del relativo provvedimento, dubbia la legittimità costituzionale della norma (articolo 42, comma secondo, del testo unico) che riconosce all'istituto di credito fondiario il diritto all'espropriazione immobiliare individuale nonostante che il debitore sia stato in precedenza dichiarato fallito.

Ed infatti, ancorché non potesse decidere alcuna questione di merito, il giudice dell'esecuzione era tenuto a pronunciarsi sull'istanza di vendita ed a valutarne la ammissibilità e la fondatezza, e per accoglierla, avrebbe dovuto, espressamente o meno, presupporre l'esistenza e la operatività dell'art. 42, comma secondo, citato.

D'altra parte, nella materia dell'espropriazione forzata immobiliare, il giudice dell'esecuzione (art. 484, comma primo, del codice di procedura civile) é certamente un organo giurisdizionale, con una sfera di competenza propria e distinta da quella attribuita al tribunale che é il giudice competente per l'esecuzione; ed é del pari certo che durante il corso dell'espropriazione, il giudice, nel dirigerla, adotta provvedimenti aventi contenuto e valore decisori ed é da assimilare (anche per il rinvio di cui al comma quarto del detto articolo) al giudice istruttore del processo di cognizione, il quale, almeno in ordine alle norme che debba applicare, é legittimato a sollevare questioni di legittimità costituzionale (sentenze nn. 109 del 1962, 62 del 1966, 45 del 1969, e 60 e 88 del 1970 di questa Corte).

Deve quindi ammettersi che il giudice dell'esecuzione possa sottoporre a questa Corte le questioni di legittimità costituzionale che concernano, direttamente o indirettamente, norme che siano da applicare durante il corso dell'espropriazione, e non si riferiscano a punti controversi la cui decisione (come risulta, tra l'altro, dagli artt. 569, comma quarto, 615 e 616, 617 e 618, 619, 630, comma terzo, e 512 del codice di procedura civile) spetti al tribunale.

Ne consegue la non fondatezza dell'eccezione come sopra proposta a proposito della questione sollevata dal giudice dell'esecuzione presso il tribunale di Prato.

3. - Per le questioni di cui alla seconda ordinanza, considerate inammissibili, rimane preclusa, perché assorbita o superata, ogni indagine circa la loro asserita irrilevanza e non fondatezza.

Dato che, al contrario, la questione di cui alla prima ordinanza é stata sollevata da un giudice legittimato a farlo, deve valutarsi l'eccezione di inammissibilità della stessa per difetto di rilevanza.

Anche questa ulteriore eccezione non appare fondata.

Ricorre, infatti, nella specie la richiesta pregiudizialità della decisione della questione di legittimità costituzionale, dato che, ove questa Corte dovesse dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma secondo, citato, il giudice dell'esecuzione non potrebbe dar seguito alla istanza di vendita.

4. - La questione sulla quale questa Corte deve pronunciarsi, é prospettata dal giudice dell'esecuzione del tribunale di Prato nei termini che seguono.

Si assume che sia violato l'art. 3 della Costituzione perché, con l'art. 42, comma secondo, del testo unico, tra i creditori legittimati ad agire in via esecutiva contro i loro debitori é fatta una discriminazione in favore degli istituti che esercitano il credito fondiario (e altresì degli istituti di credito agrario e dell'esattore) e nei confronti di tutti gli altri creditori, per ciò che solo ai primi é consentito, nella pendenza di una procedura fallimentare contro il mutuatario, iniziare e proseguire contro lo stesso e su beni ipotecati, una procedura esecutiva individuale; e perché mancherebbe, per codesta disparità di trattamento, una ragionevole giustificazione in quanto che non é dato di ravvisare "negli scopi degli istituti di credito fondiario un particolare fine cosiddetto "sociale" e, di conseguenza, di collettivo interesse", nessun vantaggio gli stessi istituti possono ricavare dalla possibilità di esperire azioni esecutive invece che insinuazioni in una normale procedura fallimentare, e si ha invece "un completo e totale dispregio dei diritti degli altri creditori".

Ed a quest'ultimo riguardo si osserva che i creditori, per il disposto dell'art. 51 della legge fallimentare, non possono intervenire nel processo esecutivo promosso e proseguito dall'istituto di credito fondiario, e che gli stessi non possono opporsi ad una vendita all'asta ad un prezzo prefissato dall'istituto a sensi dell'art. 49 del testo unico ed opporsi alla distribuzione della somma ricavata.

Da ciò si deduce che gli istituti che esercitano il credito fondiario, possono esperire una procedura esecutiva senza alcun valido contraddittore: "neppure il curatore, infatti, in rappresentanza dei creditori, può intervenire nella procedura di esecuzione forzata sia perché il fallimento é intervenuto prima della procedura di esecuzione (vedi art. 107 della legge fallimentare), sia, soprattutto, perché non ha alcun titolo per farlo".

E si conclude ritenendo che l'art. 42 citato "in quanto non consente agli altri creditori, in pendenza di una esecuzione promossa dagli istituti di credito fondiario, di intervenire", sia contrastante anche con l'art. 24, comma primo, della Costituzione.

5. - La questione non é fondata.

Occorre tener presente che gli istituti di credito fondiario, per la loro funzione e per la natura delle operazioni (di credito speciale) che compiono, versano in una posizione ben diversa da quella in cui si trovano le aziende di credito ed in generale, i creditori.

L'attività di intermediazione che di essi é propria non é diretta alla provvista di mezzi finanziari ed alla concessione di somme a mutuo, di guisa che tra codeste componenti abbia a sussistere solo un generico collegamento, ma si sostanzia in operazioni con le quali si attinge al risparmio mediante l'emissione di cartelle fondiarie e si concede a mutuo su garanzia immobiliare il capitale in denaro così ottenuto, con la conseguenza che tra tali operazioni, di regola concomitanti, si instaura, almeno da un punto di vista quantitativo, un necessario collegamento che permane anche durante l'ammortamento.

Da qui discende l'esigenza che sia assicurato puntualmente il funzionamento del meccanismo di tale credito nell'interesse degli istituti operanti nel settore e di coloro che del credito fondiario hanno necessità di servirsi, ed altresì quella, alla prima connessa, di fornire agli istituti speciali garanzie contro le inadempienze dei mutuatari.

Tale peculiare posizione degli istituti esercenti il credito fondiario non può dirsi che sia stata essenzialmente modificata dalle recenti norme di cui al d.l. 16 agosto, n. 376, alla legge 13 ottobre 1975, n. 492, ed al d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7.

Nonostante che con tali norme il contante provenga da una preventiva provvista frutto di emissione e collocamento di obbligazioni del tutto estranee ai singoli mutui, anche per quanto riguarda interessi e durata di ammortamento, e che quindi non sussista più quello stretto nesso tra le operazioni attive e le passive, permane, infatti, la particolare intermediazione propria degli istituti di credito fondiario, per ciò ché, tra l'altro, le operazioni di tali istituti "oltre che con l'impiego dei fondi patrimoniali, saranno effettuate con le somme ricavate dalle emissioni obbligazionarie" (art. 2, comma secondo, d.P.R. n. 7 del 1976) e conseguentemente, non essendo ammesso altro mezzo di provvista, agli oneri passivi gli istituti non possono sostanzialmente far fronte se non con i proventi e l'amministrazione delle operazioni attive.

Alla (sia pure parziale) diversità delle posizioni sostanziali dei creditori anzidetti corrisponde una (limitata) diversità di disciplina giuridica.

Ad essa corrisponde, tra l'altro, il trattamento differenziato emergente dall'art. 42, comma secondo, del testo unico.

Ma tale norma non può dirsi che vada contro l'art. 3 della Costituzione. Codesta disposizione richiede e comporta che situazioni eguali siano regolate in modo eguale e che a situazioni diseguali faccia riscontro una disciplina differenziata. E circa i termini in cui questa disciplina possa e debba essere articolata, gioca la discrezionalità del legislatore, che trova un limite alle proprie scelte solo nella non ragionevolezza delle stesse. A proposito della norma oggetto di denuncia, le soluzioni che ne derivano, non risultano illogiche o arbitrarie, solo che si ricordi l'esigenza di fondo a cui si é sopra accennato. Ed infatti, posto che, secondo l'orientamento dominante in dottrina e in giurisprudenza, non é di ostacolo acché sia iniziata e proseguita la speciale procedura esecutiva individuale di cui al testo unico del 1905,il fatto che il mutuatario sia stato dichiarato fallito e sia quindi pendente la procedura concorsuale, l'istituto di credito fondiario procedente ha così la possibilità di pervenire nel modo più agevole e sollecito alla realizzazione del credito e di fare fronte nel contempo alla esigenza primaria, già ricordata, che sia assicurato il buon funzionamento del meccanismo del credito (sentenza n. 166 del 1963, di questa Corte).

Non risulta neppure violato l'art. 24, comma secondo, della Costituzione.

Non si ha, come si assume invece in ordinanza, il completo e totale dispregio del diritto degli altri creditori e così pure una esecuzione senza un valido contraddittore.

Ammessa, infatti, la possibilità di coesistenza della procedura concorsuale e del procedimento esecutivo individuale ex testo unico 1905, e verificatosi in concreto codesto concorso, i creditori del mutuatario fallito sono trattati, in relazione alle due situazioni, allo stesso modo, perché per essi trova applicazione il combinato disposto degli artt. 51 e 107 della legge fallimentare per cui nelle procedure di espropriazione (immobiliare) in corso all'atto della dichiarazione di fallimento il curatore si sostituisce ai creditori istanti, e da parte dei creditori, da quella data, nessuna azione individuale esecutiva può essere iniziata o proseguita.

L'interesse dei creditori viene pertanto ad avere una ragionevole ed adeguata tutela.

D'altra parte va rilevato (e ciò del pari contro l'assunto del giudice a quo) che il curatore del fallimento (anche fuori dell'ipotesi di cui all'art. 107 della legge fallimentare) é certamente legittimato e tenuto ad intervenire nella procedura esecutiva promossa ad iniziativa dell'istituto di credito fondiario, può e deve controllarne lo svolgimento e per ciò, nella sede opportuna, potrà far valere gli interessi dei creditori.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 38, comma primo, 41, comma secondo, 49, comma primo, 52, comma primo, 53, 54 e 60, comma secondo, e degli artt. 40, 41, commi primo e terzo, 42, commi primo e secondo, 45, in relazione all'art. 41, comma primo, 49, comma secondo, 51, comma primo, 55, commi primo e secondo, e 60, commi primo e terzo, del r.d. 16 luglio 1905, n. 646 (approvazione del testo unico delle leggi sul credito fondiario), questioni sollevate in riferimento, rispettivamente, agli artt. 111, comma secondo, e 24, comma primo, ed agli artt. 3, comma primo, e 24, comma primo, della Costituzione dal giudice dell'esecuzione del tribunale di Genova, con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42, comma secondo, del citato r.d. 16 luglio 1905, n. 646, sollevata in riferimento agli artt. 3, comma primo, e 24, comma primo, della Costituzione dal giudice dell'esecuzione del tribunale di Prato con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 3 agosto 1976.