Sentenza n. 209 del 1976
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SENTENZA N. 209

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 17 luglio 1942, n. 907 e successive modifiche contenute nella legge 3 gennaio 1951, n. 27, relativa al monopolio di Stato sui tabacchi, promosso con ordinanza emessa il 13 febbraio 1974 dalla Corte d'appello di Catanzaro nel procedimento penale a carico di Di Masi Giuseppe ed altri, iscritta al n. 466 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3 del 3 gennaio 1975.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 gennaio 1976 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel procedimento penale a carico di Giuseppe Di Masi, Antonio Serugli, Giuseppe Mesiano, Pasquale Calabria ed Elisabetta Mancari, su eccezione della difesa degli imputati, la Corte d'appello di Catanzaro, con ordinanza del 13 febbraio 1974, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 45 e segg. della legge 17 luglio 1942, n. 907, modificata con la legge 3 gennaio 1951, n. 27, in riferimento agli artt. 41 e 43 della Costituzione.

Posto che "l'art. 41 della Costituzione sancisce la libera iniziativa privata nel campo economico, con limiti stabiliti dal successivo art. 43, alla cui stregua la legge, ai fini di utilità generale, può riservare originariamente o trasferire allo Stato servizi pubblici essenziali o fonti di energia o situazione di monopolio aventi carattere di preminente interesse generale", il giudice a quo ha ritenuto "rilevante per l'esito del processo" e non manifestamente infondata la questione, perché la produzione e la vendita dei tabacchi "esercitata dallo Stato in regime di monopolio non possono considerarsi un servizio pubblico essenziale, né una fonte di energia, né sono dirette a soddisfare una situazione di preminente interesse generale, avente finalità meramente fiscali, che possono essere altrimenti raggiunte".

2. - Comunicata, notificata e pubblicata l'ordinanza, davanti a questa Corte non si é costituita alcuna delle parti.

Ha invece spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri che, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

Con l'atto di intervento la difesa dello Stato ha preliminarmente dedotto che nell'ordinanza non sarebbe sufficientemente specificato l'oggetto del giudizio di costituzionalità, perché il giudice a quo non avrebbe indicato in relazione a quale delle riserve monopolistiche impugnate la questione potesse dirsi rilevante; e che perciò apparirebbe necessaria una più puntuale specificazione dell'oggetto.

Ha poi sostenuto, passando all'esame del merito:

- che il monopolio dei tabacchi costituisce l'esempio tipico dei monopoli fiscali cioé dei monopoli di diritto, creati per legge allo scopo di conseguire entrate finanziarie per un ente pubblico (nella specie, lo Stato), da destinare al soddisfacimento di pubblici bisogni;

- che le finalità essenzialmente fiscali dell'istituzione del monopolio dei tabacchi si desumono in base a canoni della scienza economica e finanziaria e sono espressamente affermate da varie leggi;

- che ai monopoli fiscali é inoltre attribuito particolare rilievo giuridico dall'art. 90 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea;

- che a detti monopoli fiscali, secondo la prevalente dottrina, non sono applicabili le limitazioni poste dagli artt. 41 e 43 della Costituzione in favore dell'iniziativa economica privata, e che la legittimità costituzionale di tali monopoli vada piuttosto verificata in relazione ai precetti posti dagli articoli 23 e 53 della Costituzione: l'obbligo di astenersi dall'esercitare una data attività economica, quando sia imposto allo scopo di permettere allo Stato, con l'esercizio del monopolio, il conseguimento di una entrata, é un obbligo tributario, ed il divieto, da canto suo, viene imposto dallo Stato nell'esercizio della potestà di imposizione tributaria; diverso é il potere (dello Stato) di riforma dei rapporti economici che con l'articolo 43 si é voluto disciplinare e non rileva che per il suo esercizio possono anche essere utilizzati strumenti già creati per l'esercizio della potestà tributaria.

A sostegno della sua tesi l'Avvocatura generale dello Stato ha svolto anche considerazioni di carattere storico, osservando che il monopolio fiscale, ed in particolare quello fondamentale del tabacco, costituisce uno dei più antichi esempi di imprese pubbliche considerate un tempo strumento di carattere essenzialmente tributario, e da tempo ha acquistato particolarissima importanza dal punto di vista economico; che non é quindi pensabile che il costituente abbia potuto obliterare il problema della legittimità, nel nuovo ordine costituzionale, del monopolio dei tabacchi, né tanto meno che ne abbia voluto decretare l'eliminazione dal nostro ordinamento; e che il dibattito circa la formulazione dell'art. 43 é stato molto ampio ed approfondito e per ciò la mancanza di qualsiasi accenno, nei lavori parlamentari, al problema dei monopoli fiscali é chiara manifestazione che il costituente non volle affrontare, né comunque pregiudicare, in quella sede, il problema stesso.

Si é poi preoccupata di contestare la validità della tesi secondo cui nella sentenza n. 78 del 1970 di questa Corte sarebbero contenute affermazioni contrarie alla legittimità costituzionale dei monopoli fiscali, ed ha sostenuto che da quella sentenza possa anzi desumersi il principio che l'esistenza di valide ragioni fiscali giustifica la limitazione per legge della libertà di iniziativa economica.

La difesa dello Stato ha ancora osservato che nella specie non é consentito vagliare la congruità dello strumento monopolistico adottato rispetto al fine tributario perseguito dalla legge, trattandosi di problema di politica tributaria; e in subordine, che il monopolio dei tabacchi costituisce una delle fondamentali fonti della pubblica entrata, e che a fronte della particolarissima importanza economica del tributo sta la grande diffusione, facilitata dalla natura stessa del prodotto, dell'evasione tributaria.

Ed infine, ferma rimanendo la natura fiscale del monopolio dei tabacchi, ha rilevato che la gestione monopolistica da parte dello Stato permette il perseguimento anche di fini di interesse generale, sicché la limitazione imposta alla libera iniziativa può dirsi ora giustificata anche in base ai canoni stabiliti dall'art. 43. Con il monopolio, a tutela della salute, si sottraggono la produzione e la vendita del tabacco all'incontrollata speculazione; si evita la formazione inevitabile di monopoli o quanto meno di oligopoli privati; la produzione non é concentrata in pochi stabilimenti; é assicurata la protezione della tabacchicoltura nazionale e si é potuto organizzare la vendita del prodotto in base a criteri rispondenti ad esigenze di utilità generale piuttosto che al perseguimento del massimo profitto.

Con la memoria (unica, per questo giudizio e per altri fissati per la stessa udienza del 28 gennaio 1976), l'Avvocatura generale dello Stato, in punto di rilevanza, ha eccepito che dopo l'entrata in vigore della legge 10 dicembre 1975, n. 724, qualunque possa essere la sentenza di questa Corte sulla legittimità costituzionale del monopolio dei tabacchi, gli imputati nel processo a quo, se saranno riconosciuti colpevoli, dovranno essere puniti con le pene previste dalla legge doganale e non con quelle, più gravi, già previste dalla legge n. 27 del 1951. E nel merito ha richiamato e svolto le ragioni a sostegno della non fondatezza della questione.

3. - All'udienza del 28 gennaio 1976 la causa é stata trattata unitamente a tutte le altre sopra ricordate, e per il Presidente del Consiglio dei ministri il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti ha insistito nelle precedenti conclusioni.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Catanzaro solleva, in riferimento agli artt. 41 e 43 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 45 e seguenti della legge 17 luglio 1942, n. 907, modificata con la legge 3 gennaio 1951, n. 27.

2. - L'Avvocatura generale dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, eccepisce l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza. Assume nell'atto di intervento che l'oggetto del giudizio di costituzionalità non sia sufficientemente specificato e che ciò non consenta l'individuazione della riserva monopolistica e della normativa (denunciata) che la riguardi. E con la memoria insisté nella tesi ed esclude in generale che la rilevanza sussista dopo l'entrata in vigore della legge 10 dicembre 1975, n. 724.

In contrario é però possibile notare, solo che si tenga presente l'imputazione di cui al procedimento penale a quo (violazione: degli artt. 624 e 625, n. 2 e 5, e 61, n. 7 del codice penale; dell'art. 73 della legge 907 del 1942, e degli artt. 1 e 4 della legge n. 27 del 1951) e cioé si consideri che la Corte d'appello di Catanzaro é chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità penale dei prevenuti per avere "sottratto al monopolio dei tabacchi le entrate relative ad un quantitativo di sigarette nazionali di cui si erano impossessati", che, se da un canto rimangono fuori dal campo di incidenza dell'emittenda pronuncia da parte di questa Corte le norme relative alle riserve attinenti all'importazione o introduzione di tabacchi lavorati nel territorio soggetto a monopolio ed alla fabbricazione e preparazione dei tabacchi in detto territorio, vi rientrano certamente le norme di cui agli artt. 45 e seguenti della legge n. 907 del 1942 ed alla legge n. 27 del 1951 che riservano allo Stato la vendita dei tabacchi.

D'altra parte va constatato che sulla sopra richiamata imputazione non può influire la legge n. 724 del 1975 e segnatamente il disposto dell'art. 7 di essa, dato che nella specie, in ordine al reato contestato, non sono ipotizzate né sulla base degli atti sono ipotizzabili, violazioni della legge doganale (legge 25 settembre 1940, n.1424 e d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43).

Deve per ciò, concludersi per la rilevanza della questione.

3. - Si assume dal giudice a quo che "la produzione e la vendita dei tabacchi... non possono considerarsi un servizio pubblico essenziale, né una fonte di energia, né sono dirette a soddisfare una situazione di preminente interesse generale, avendo finalità meramente fiscali, che possono essere altrimenti raggiunte"; e si deduce da ciò il contrasto delle norme denunciate con gli artt. 41 e 43 della Costituzione.

La questione, valutata nei limiti in cui é rilevante e nei sensi in cui é proposta, non appare fondata.

4. - La riserva allo Stato della vendita dei tabacchi (entro l'ambito segnato dal disposto degli artt. 1 e segg. della legge n. 724 del 1975 e della loro concreta applicazione), come ogni altra riserva vigente ed operante nel settore, trova la sua fonte e base in una legislazione che, tranne per il quindicennio 1869-1883, si é sviluppata sostanzialmente su una medesima linea nell'arco di oltre un secolo. Durante tale lungo periodo, infatti, a cominciare dalla legge 13 luglio 1862, n.710, con la quale le diverse discipline di legge sul monopolio e sulle gabelle dei tabacchi furono fuse ed unificate ed allo Stato italiano vennero riservati la fabbricazione e lo spaccio dei tabacchi, e fino ai provvedimenti legislativi (decreto legge 30 novembre 1970, n. 870 e legge - di conversione con modifiche - 27 gennaio 1971, n. 3) con cui é stato liberalizzato il settore del tabacco greggio, ed alla recente legge n. 724 del 1975, con cui é implicitamente dichiarata cessata la riserva di importazione nel territorio della Repubblica dei tabacchi lavorati di provenienza dai paesi delle Comunità economiche europee, l'istituzione e la conservazione del monopolio statale dei tabacchi hanno avuto luogo per il perseguimento di fini pubblici, di vario e complesso contenuto e caratteristicamente consistenti nell'assicurazione di entrate tributarie, nella salvaguardia della salute pubblica e nell'occupazione dei lavoratori, di date categorie e in date zone del territorio nazionale.

E tali fini sono in atto esistenti.

La riserva allo Stato della distribuzione e vendita dei tabacchi, infatti, si risolve in servizi che sono disimpegnati dagli ispettorati compartimentali dei monopoli di Stato, dai depositi, dai magazzini di vendita e dalle rivendite di Stato, ordinarie e speciali (e dai concessionari a mezzo di patentini) (legge 22 dicembre 1957, n. 1293 e d.P.R. 14 ottobre 1958, n. 1074), e l'attività relativa é diretta al conseguimento di un'entrata tributaria, per un importo pari, in relazione all'unità di prodotto, alla differenza tra il prezzo di vendita e l'ammontare delle quote spettanti al fornitore (che può essere la stessa azienda di Stato o un esportatore straniero), all'amministrazione dei monopoli di Stato (per le spese di distribuzione) e al rivenditore (a titolo di aggio), e nel complesso, di un provento maggiore di quello che lo Stato stesso avrebbe potuto e potrebbe conseguire in regime di libera concorrenza.

In secondo luogo, posto che il consumo del tabacco, nonostante che ripetutamente e sistematicamente ne sia stata e ne venga messa in evidenza la nocività all'organismo umano, risulta essere un fatto permanente ed in aumento, lo Stato considera realisticamente il fenomeno, preoccupandosi di non favorirne l'incremento (ed a tal fine imponendo nel settore il divieto di pubblicità); e, dopo avere previsto ed attuato accorgimenti e metodi perché il prodotto abbia il più basso tasso nicotinico (compatibile con la domanda) e sia confezionato con filtri a sempre più elevato potere di assorbimento, lo custodisce e distribuisce all'ingrosso e al dettaglio nelle più favorevoli ed igieniche condizioni (soggettive ed oggettive) e d'altra parte dispone che il consumo avvenga con il minor danno per la collettività (non consentendo, con la legge 12 marzo 1968, la vendita di sigarette sciolte e imponendo, con la recente legge 11 novembre 1975, n. 584, il divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico).

Ed infine, attraverso il compimento della detta attività di impresa, trovano tutela esigenze di ordine sociale, oltre che nella fase della produzione (con la specializzazione, a vario livello, di numeroso personale e con il mantenimento e la creazione delle condizioni di gestione richiedenti un elevato impiego di mano d'opera), in quella della distribuzione (come risulta sin dalla legge 12 luglio 1908, n. 441, sulle rivendite di generi di privativa, ed ancor meglio, ed in atto, dalla citata legge n. 1293 del 1957, sull'organizzazione dei servizi di distribuzione e vendita dei generi di monopolio, e dal relativo regolamento di esecuzione, e successive modificazioni).

5. - La riserva allo Stato della distribuzione e vendita dei tabacchi trova nella legge n. 724 del 1975 un notevole condizionamento ed una sostanziale limitazione. É, infatti. ammessa l'importazione nel territorio della Repubblica di tabacchi lavorati di provenienza dai paesi delle Comunità economiche europee, destinati ad essere introdotti in depositi di distribuzione all'ingrosso, diversi da quelli dell'amministrazione dei monopoli di Stato (e da istituirsi su autorizzazione dell'amministrazione finanziaria), e però la vendita al pubblico dei tabacchi lavorati, così importati, deve essere effettuata con i sistemi di cui all'art. 16 della citata legge n. 1293 del 1957, e successive modificazioni.

E l'attuale disciplina della specifica materia é soggetta a modifiche. In base al Trattato che istituisce la Comunità economica europea gli Stati membri avrebbero dovuto procedere ad un progressivo riordinamento dei monopoli nazionali a carattere commerciale, al fine della realizzazione di un effettivo mercato comune in tutti i settori produttivi; e per quel che riguarda i tabacchi manifatturati, l'Italia, come la Francia.avrebbe dovuto modificarne il regime di monopolio anche con riferimento alla fase della distribuzione e della vendita, entro i limiti in cui l'applicazione delle norme comunitarie non fosse stata d'ostacolo all'adempimento in via di diritto e di fatto delle specifiche missioni ad essi monopoli affidate ed in particolare di quella (di solito non isolata) di carattere fiscale.

Ora la normativa vigente in materia di distribuzione e vendita dei tabacchi non appare in contrasto con gli artt. 43 e 41 della Costituzione.

Per il passaggio dalla situazione di totale monopolio del settore a quella di totale liberalizzazione dello stesso, é inevitabile una fase intermedia e provvisoria in cui si possano modificare le strutture della rete di distribuzione e vendita per adeguarle alle nuove esigenze ed in cui l'attività relativa risulta rivolta in modo essenziale al perseguimento di rilevanti fini pubblici.

É consentito, quindi, ravvisare nella specie presupposti, mezzi e fini propri di un servizio pubblico essenziale.

D'altra parte, per quanto sopra detto, non mancano fini di utilità generale e l'impresa che tende a conseguirli ha preminente interesse generale.

Riconosciuta la mancanza di un contrasto con l'art. 43 della Costituzione, della normativa in questione, la stessa non risulta posta in violazione del precedente art. 41: la questione relativa é sostanzialmente superata, dato che, ammessa, per la sua transitorietà, la possibilità che permanga l'impresa di distribuzione e vendita dei tabacchi, rimane assorbito e comunque giustificato ogni limite, in quanto temporaneo, alla iniziativa economica privata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 45 e seguenti della legge 17 luglio 1942, numero 907 (legge sul monopolio del sale e dei tabacchi), modificata con la legge 3 gennaio 1951, n. 27 (modificazioni alla legge 17 luglio 1942, n. 907 sul monopolio del sale e dei tabacchi), questione sollevata, in riferimento agli artt. 41 e 43 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Catanzaro con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 3 agosto 1976.