Sentenza n. 197 del 1976
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SENTENZA N. 197

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 170, ultimo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1974 dalla Corte d'appello di Roma sull'incidente di esecuzione proposto da Guerrisi Alberto, iscritta al n. 5 .del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 55 del 26 febbraio 1975.

Udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1976 il Giudice relatore Michele Rossano.

Ritenuto in fatto

Nel corso del procedimento per incidente di esecuzione promosso da Alberto Guerrisi, la Corte di appello di Roma, con ordinanza 13 marzo 1974, ha sollevato di ufficio e ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, "la questione di legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 170 c.p.p. in quanto non stabilisce l'obbligo di disporre nuove ricerche dell'imputato irreperibile e la emanazione di un nuovo decreto di irreperibilità ai fini della notificazione dell'estratto della sentenza contumaciale emanata nel giudizio di appello".

Ha premesso, in fatto, che Alberto Guerrisi - condannato quale irreperibile e contumace, dalla Corte di appello di Roma con sentenza 20 novembre 1971 alla pena di anni tre e mesi due di reclusione e lire 100.000 di multa per furto aggravato - aveva proposto incidente di esecuzione avverso l'ordine di carcerazione e chiesto la revoca di tale ordine, affermando che la sentenza di appello non era passata in giudicato poiché la notifica dell'estratto della stessa sentenza era affetta da nullità, dato che dopo la medesima pronuncia di appello non erano state effettuate nuove ricerche al fine di emettere eventualmente nuovo decreto di irreperibilità.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 26 febbraio 1975.

Davanti a questa Corte la parte non si é costituita e non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

Nell'ordinanza di rinvio della Corte di appello di Roma si premette che la Corte costituzionale, con sentenza 22 marzo 1971, n. 54, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 3 d.P.R. 8 agosto 1955, n. 666 (norme di attuazione, transitorie e di coordinamento della legge 18 giugno 1955, n. 517), "nella parte in cui prescrive che il decreto di irreperibilità, emesso nel giudizio di primo grado, cessa di avere efficacia solo con la trasmissione degli atti al giudice competente per il giudizio di appello e non con la pronuncia del giudice di primo grado".

Si osserva "che anche in grado di appello, correlativamente a quanto ritenuto nella predetta sentenza per il giudizio di primo grado, il diritto dell'imputato alla difesa e, quindi, all'esercizio del diritto di impugnazione, si appalesa legittimamente tutelato mediante l'espletamento di nuove ricerche ai fini della notifica della sentenza contumaciale emessa nel giudizio di appello".

La questione é fondata.

Questa Corte, con la citata sentenza 11-22 marzo 1971, n. 54, ha affermato che la norma dell'art. 3 d.P.R. 8 agosto 1955, n. 666 - che, con riferimento all'ultimo comma dell'art. 170 c.p.p. precisa, tra l'altro, che il decreto di irreperibilità, emanato nel giudizio di primo grado, "cessa di avere efficacia con la trasmissione degli atti al giudice competente per il giudizio d'appello" - "incide negativamente sul diritto dell'imputato alla difesa in ogni stato e grado del processo, apportando limitazione al suo esercizio, con palese e non razionale deviazione dalle linee stesse del sistema. E ciò in quanto detta norma richiede l'espletamento di nuove ricerche dell'imputato irreperibile e contumace solo dopo che il procedimento di appello é già stato instaurato, ad iniziativa di coimputati o del p.m., ed anzi ha superato la fase di verifica dell'ammissibilità dell'impugnazione. Dette ricerche non sono imposte, invece, allo scopo di rendere possibile l'esercizio della difesa dell'imputato fin dal momento in cui sorge nei suoi riguardi l'onere di proporre impugnazione; ai fini, cioé, della notificazione dell'estratto della sentenza pronunziata a carico del contumace, giacché dalla data di questa notificazione decorre il termine perentorio per la dichiarazione di appello...".

Ha, quindi, dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato art. 3 d.P.R. n. 666 del 1955 "nella parte in cui prescrive che il decreto di irreperibilità, emesso nel giudizio di primo grado, cessa di avere efficacia solo con la trasmissione degli atti al giudice competente per il giudizio di appello e non con la pronuncia del giudice di primo grado".

Questa Corte, poi, con le ordinanze 19-26 maggio 1971, n. 117, e 28 giugno-16 luglio 1973, n. 139, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 d.P.R. n. 666 del 1955 perché già dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 54 dell'11-22 marzo 1971.

Le stesse considerazioni della richiamata sentenza n. 54 del 1971 giustificano l'estensione della medesima disciplina, prevista per il procedimento di primo grado, al procedimento di appello, dato che anche in tale procedimento sussiste l'esigenza di assicurare all'imputato una compiuta tutela, quale può conseguirsi con l'esercizio diretto del diritto di impugnazione o comunque a seguito di valutazione personale del contenuto della pronunzia di secondo grado. Per soddisfare tale esigenza il limite di efficacia del decreto di irreperibilità, emesso nel procedimento di appello, deve essere anticipato al momento della pronuncia di appello con la conseguente necessaria rinnovazione dell'accertamento dell'irreperibilità e dell'eventuale emissione del decreto prima della notifica della pronuncia di appello. In proposito va posto in risalto che l'art. 519 c.p.p. prescrive, in generale, che nel giudizio di appello si osservano le disposizioni relative al giudizio di primo grado in quanto applicabili.

La mancata indicazione, nel dispositivo dell'ordinanza di rinvio della Corte di appello di Roma, dell'art. 3 d.P.R. n. 666 del 1955 non ha rilevanza, dato che nella motivazione della stessa ordinanza tale norma é espressamente citata e risultano chiaramente esposti i termini della questione di legittimità costituzionale (sentenze di questa Corte nn. 47 del 1962; 29 e 74 del 1964; 124 del 1969; 58 del 1970; 220 del 1974).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 del d.P.R. 8 agosto 1955, n. 666 (norme di attuazione, transitorie e di coordinamento della legge 18 giugno 1955, n. 517, contenente modificazioni al codice di procedura penale), nella parte in cui - in relazione all'art. 170, ultimo comma, codice di procedura penale e per effetto dell'estensione delle norme sul giudizio di primo grado al giudizio di appello, prevista dall'art. 519 codice di procedura penale - prescrive che il decreto di irreperibilità, emesso nel giudizio di appello, cessa di avere efficacia solo con la trasmissione degli atti alla Corte di cassazione e non con la pronuncia del giudice di appello.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1976.