Sentenza n. 185 del 1976
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SENTENZA N. 185

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9 della legge 12 marzo 1968, n. 334 (norme per l'accertamento dei lavoratori agricoli aventi diritto alle prestazioni previdenziali e per l'accertamento dei contributi unificati in agricoltura), promosso con ordinanza emessa il 30 gennaio 1974 dal giudice del lavoro del tribunale di Bolzano nei procedimenti civili riuniti vertenti tra l'OPAN - cooperativa frutticoltori Andriano ed altre cooperative e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 116 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 dell'8 maggio 1974.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione dell'INPS;

udito nell'udienza pubblica del 21 aprile 1976 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

uditi l'avv. Sergio Traverso, per l'INPS, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di vari (riuniti) procedimenti civili (di opposizione a decreto ingiuntivo) vertenti tra cooperative di frutticoltori e l'INPS, l'adito giudice del lavoro del tribunale di Bolzano - rilevato che le cooperative opponenti resistevano alla richiesta dell'INPS relativa al pagamento (a decorrere dall'11 aprile 1968) dei contributi previsti per il settore commercio, deducendo di essere, invece, tenute al versamento (in fatto regolarmente effettuato) dei meno onerosi contributi stabiliti per il settore agricolo (e ciò in quanto svolgevano "a scopo mutualistico, attività di raccolta, conservazione, selezione e commercio della sola frutta prodotta dai soci" ed erano, perciò, parificabili, ai fini previdenziali, alle imprese agricole, giusto il parere in tal senso espresso, in data 8 aprile 1966, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale); e ritenuto che, d'altra parte, la pretesa dell'istituto assicurativo trovava, in realtà, fondamento nella circostanza "unicamente dell'avere esse cooperative, prima della disposizione ministeriale di cui sopra, accettato di essere inquadrate nel settore commercio; al che l'art. 9 della legge 12 marzo 1968, n. 334, ricollega automaticamente l'obbligo di continuare a versare i contributi del settore commercio" - con ordinanza 30 gennaio 1974, ha reputato rilevante e non manifestamente infondata (e ha, quindi, sollevato) questione di legittimità dell'art. 9, appunto, menzionato, in riferimento ai parametri di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione.

2. - Ritualmente notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza de qua ed instaurato il giudizio innanzi alla Corte, si é in questo costituito l'INPS, deducendo, in via preliminare, l'irrilevanza e, nel merito, la non fondatezza della sollevata questione.

3. - É intervenuto, altresì, il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha sostenuto essere la norma impugnata pienamente legittima.

Considerato in diritto

1. - La Corte é chiamata a decidere se sia o no costituzionalmente legittimo l'art. 9 della legge 12 marzo 1968, n. 334 (contenente "Norme per l'accertamento dei lavoratori agricoli aventi diritto alle prestazioni previdenziali e per l'accertamento dei contributi unificati in agricoltura"), secondo cui "in attesa dell'emanazione di norme legislative per l'inquadramento, ai fini previdenziali ed assistenziali, delle imprese individuali ed associate che manipolano, trasformano e commerciano i prodotti agricoli e zootecnici, nonché dei consorzi di bonifica, di irrigazione e di miglioramento fondiario, si applicano i trattamenti previdenziali più favorevoli già goduti dai lavoratori e i conseguenti obblighi contributivi o assicurativi assunti da ciascuna delle predette imprese e consorzi, anche se non più in atto all'entrata in vigore della presente legge".

Il giudice a quo solleva la questione in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dei quali assume la violazione, sul rilievo della irrazionale discriminazione di trattamento che - per effetto, appunto, della norma impugnata e "in dipendenza di una mera circostanza di fatto" - verrebbe nella specie a determinarsi: da un lato, tra imprese che, pur avendo identica struttura e natura giuridica, sono tenute a versare contributi di diversa onerosità, e dall'altro, tra i lavoratori delle imprese stesse, i quali - a parità di condizioni giuridiche - fruiscono di posizioni previdenziali non egualmente vantaggiose.

2. - L'Istituto nazionale della previdenza sociale eccepisce preliminarmente l'irrilevanza della questione per una duplice ragione, e cioè per la asserita "improponibilità dell'azione" per omesso previo esperimento dei rimedi amministrativi; e per la mancata valutazione (da parte del giudice a quo) della richiesta da parte dell'istituto medesimo di ammissione di prova sulle modalità ed ampiezza dell'attività svolta e, conseguentemente, sulla natura delle imprese opponenti.

3. - Vanno, innanzi tutto, respinte le eccezioni di irrilevanza su riferite.

Per quanto attiene alla improponibilità dell'azione - e con specifico riferimento proprio all'omesso esperimento preventivo di ricorsi amministrativi - questa Corte ha già avuto modo di affermare che trattasi di questione che riguarda il giudizio di merito; per tale ragione, appunto, non suscettibile di esame nella diversa sede del giudizio di costituzionalità (cfr. sentenza n. 24 del 1959).

Relativamente alla circostanza della omessa valutazione dell'indicata istanza di ammissione di prova, é da rilevare che il giudice a quo ha ritenuto che, nei riguardi delle cooperative svolgenti attività di manipolazione o commercio di prodotti agricoli, che abbiano precedentemente versato (per i rispettivi dipendenti) i contributi del settore commercio, la legge impugnata prevede la continuazione di tale contribuzione o (se nel frattempo mutata) il ripristino di essa (con decorrenza dalla data della sua entrata in vigore): e ciò indipendentemente dalla effettiva natura agricola o commerciale delle predette imprese, quale desumibile dalla attività in concreto svolta.

Coerentemente, l'indagine su tale attività é stata considerata superflua: sempre che, appunto, resti applicabile la normativa de qua.

4. - Nel merito, in riferimento al parametro dell'art. 3 della Costituzione, la questione é fondata.

5. - La norma di legge denunziata incide - come detto - sull'inquadramento (al fine della individuazione del tipo di contributi ai propri dipendenti) dei consorzi e delle cooperative svolgenti attività di manipolazione, trasformazione e commercio della frutta o di altri generi agricoli prodotti dai coltivatori associati.

Giova ricordare che, in precedenza, nei confronti degli enti predetti - sempreché l'attività svolta (in base agli indici obiettivi della dimensione quantitativa e delle modalità organizzative, in rapporto al tipo di prodotto lavorato od alienato) non eccedesse il ciclo normale dell'azienda agricola (giusta il criterio, appunto, reputato idoneo ad individuare le "attività agricole per connessione" ex art. 2135 cod. civ.) - era sorto il problema se il fatto di essere la detta attività esercitata da un soggetto "distinto", rispetto ai consorziati svolgenti l'attività agricola principale, valesse, di per sé, ad elidere il rapporto di "connessione" indicato: conseguentemente implicando l'inquadramento dell'ente associativo nel settore commerciale od industriale (con esclusione di quello agricolo).

L'argomento formò, come é noto, oggetto di una pronunzia della Corte di cassazione (sentenza n. 3586 del 1954), la quale - superando l'ostacolo del c.d. "diaframma dell'associazione" (con il configurare il consorzio come "organo comune" dei consorziati) - ritenne che le cooperative sopra menzionate dovessero inquadrarsi nel settore agricolo, quando, ovviamente, la relativa attività risultasse (in base al già enucleato criterio di "normalità") effettivamente "connessa" all'attività svolta dai coltivatori associati.

Seguirono a tale decisione (al fine di conformare il comportamento dell'Amministrazione ai principi in essa enunciati) varie disposizioni e circolari ministeriali: e tra l'altro la nota 8 aprile 1966 (indirizzata ad una delle parti dell'odierno giudizio) contenente (al di là delle determinazioni del caso singolo) l'enunciazione (di portata tendenzialmente generale) che "gli enti cooperativistici che provvedono alla raccolta, conservazione e smercio della produzione agricola dei consorziati... possono essere considerati, ai fini previdenziali, alla stregua delle imprese agricole".

Conseguentemente al consolidarsi di tale enunciato orientamento si verificò appunto il passaggio al settore agricolo di vari organismi associativi, rispondenti (o che, comunque, ritenevano di rispondere) alle caratteristiche sopraindicate; e che avevano in precedenza, invece, versato i contributi del settore commercio.

Delle ripercussioni di tale mutamento dell'inquadramento previdenziale, sulla posizione dei lavoratori dipendenti dai detti consorzi (che venivano, di conseguenza, a fruire di prestazioni in ragione di contributi meno elevati di quelli per l'innanzi in loro favore versati) sembra essersi preoccupato il legislatore del '68: il quale, con la disposizione denunziata, ha inteso (come dai lavori preparatori é dato evincere) evitare il pregiudizio di posizioni precostituite.

Ora, però, la soluzione normativamente accolta - in quanto si risolve, puramente e semplicemente, nel ripristino (o, comunque, nel mantenimento) dell'inquadramento nel settore commercio delle imprese che avevano (sia pur solo anteriormente alla decisione della Cassazione ed alle circolari indicate) assunto di fatto gli oneri relativi, senza, per altro, innovare o, comunque incidere sui criteri in base ai quali imprese identicamente strutturate restano, invece, inquadrabili nel settore agricolo - ha effettivamente determinato una irrazionale disparità di trattamento tra i soggetti (e per le ragioni) dal giudice a quo esattamente individuati. E precisamente:

- da un lato, tra imprese che manipolano e commerciano prodotti agricoli, tenute a versare contributi di differente onerosità, non in relazione a loro diversità di situazioni economiche o giuridiche, ma unicamente al fatto di avere già nel passato assunto obblighi contributivi propri del settore commercio o del settore agricolo;

- e, dall'altro, tra i lavoratori delle imprese stesse, che vengono, di conseguenza, a godere di una posizione previdenziale più o meno favorevole, non in dipendenza di una diversità del lavoro svolto ovvero in relazione ad una diversa situazione economica o giuridica in cui si trovi il loro datore di lavoro, ma unicamente in relazione alla circostanza di fatto predetta.

6. - Né tali rilevate diversità di trattamento possono ricevere giustificazione dalla prospettata esigenza di tutela di diritti quesiti: giacché - a prescindere da ogni altra considerazione (relativamente anche alla possibile non attualità delle situazioni contemplate) - é, comunque, da escludere che costituisca diritto quesito l'aspettativa del soggetto al mantenimento di una situazione che discenda non già da una sicura volontà di legge, sebbene dalla applicazione in fatto di una norma, in base ad una interpretazione di essa controversa ed, anzi, poi smentita.

7. - Inconsistente, infine, é anche l'argomento, che fa leva sulla pretesa transitorietà della norma denunziata. Giacché non può, infatti, ritenersi transitoria una disposizione (come quella di specie) che, con formula sostanzialmente vuota di contenuto, si limita ad adombrare l'esigenza di una futura disciplina della materia, senza alcun concreto riferimento ad una fonte normativa sia pur solo in elaborazione.

Ed é appena il caso di sottolineare che, a tutt'oggi, e cioè a circa otto anni di distanza dalla legge de qua, non si rinviene alcuna nuova iniziativa legislativa per la sistemazione della materia.

8. - Resta, pertanto, confermata la violazione del principio dell'eguaglianza, rimanendo assorbita di conseguenza l'ulteriore prospettata censura di violazione dell'art. 53 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 9 della legge 12 marzo 1968, n. 334 (Norme per l'accertamento dei lavoratori agricoli aventi diritto alle prestazioni previdenziali e per l'accertamento dei contributi agricoli unificati).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22 luglio 1976.