Sentenza n. 167 del 1976
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SENTENZA N. 167

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 47, quinto comma, del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (legge di registro), promosso con ordinanza emessa il 22 giugno 1973 dal tribunale di Torino nella causa civile tra l'Amministrazione delle finanze dello Stato e Negroponte Guido ed altri, iscritta al n. 84 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 89 del 3 aprile 1974.

Visti gli atti di costituzione di Negroponte Guido e Claudio e dell'Amministrazione delle finanze dello Stato, nonché l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 7 aprile 1976 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi l'avv. Bruno Calvosa, per Negroponte Guido e Claudio, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per l'Amministrazione finanziaria dello Stato e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Il tribunale di Torino, con ordinanza emessa il 22 giugno 1973 nel procedimento civile vertente tra l'Amministrazione delle finanze dello Stato e Negroponte Guido ed altri, ha proposto, con riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, quinto comma, della legge di registro approvata con r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269.

La disposizione impugnata stabilisce che i macchinari che servono ad un opificio e che non vengono effettivamente smontati e portati altrove, in quanto restano in servizi o nell'opificio, si presumono venduti all'acquirente dell'immobile, ancorché siano esclusi dalla vendita e non ostante che l'acquirente del macchinario apparisca una persona diversa dall'acquirente dell'opificio.

Secondo il giudice a quo, questa proposizione normativa, che, ai sensi della giurisprudenza largamente prevalente, con tiene una presunzione iuris et de iure contro la quale non é ammessa la prova contraria, non può essere considerata una norma di natura meramente probatoria, ma si presenta come una disposizione che assume una portata decisamente sostanziale: ed invero, nel caso in esame, il legislatore non si limiterebbe a facilitare il compito del fisco col concedergli un mezzo di prova privilegiato, ma perviene a stabilire una fictio iuris parificando in ogni caso la presenza dei macchinari nell'opificio al momento del trasferimento all'effettivo trasferimento degli stessi macchinari dal venditore dell'opificio al suo acquirente.

Ciò posto, il giudice a quo ritiene che la disposizione in esame sia in contrasto con i precetti costituzionali dell'eguaglianza di trattamento dei cittadini a parità di condizioni oggettive e della capacità contributiva come criterio base della legislazione fiscale.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

Nel giudizio dinanzi alla Corte, si sono costituiti sia l'Amministrazione delle finanze, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, che i signori Guido e Claudio Negroponte, rappresentati e difesi dagli avvocati Franco Agostini e Bruno Calvosa.

É altresì intervenuto, col patrocinio della Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 25, terzo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87.

La difesa dello Stato, con deduzioni formalmente distinte ma sostanzialmente dello stesso tenore, contesta entrambe le censure di legittimità costituzionale prospettate dal tribunale di Torino, sostenendo che la presunzione, prevista dalla norma impugnata, ha un fondamento di evidente ragionevolezza e trova la sua giustificazione nella ratio della norma, che é quella di evitare e prevenire le evasioni fiscali che potrebbero verificarsi se fosse in vigore una diversa e più liberale normativa.

A sostegno, invece, della fondatezza della proposta questione di legittimità costituzionale si esprime la difesa dei Negroponte, secondo la quale la norma impugnata sarebbe in contrasto non solo con il principio di eguaglianza e con quello della capacità contributiva, richiamati nella ordinanza di rimessione, ma anche con la tutela del diritto di difesa garantito dall'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione. In via subordinata, poi, la parte privata chiede che la Corte, con una sentenza di carattere meramente interpretativo, stabilisca che la norma in esame pone in essere esclusivamente una presunzione relativa, vincibile da prova contraria.

All'udienza di discussione le parti hanno ulteriormente illustrate le loro deduzioni scritte.

Considerato in diritto

1. - Il tribunale di Torino, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, quinto comma, della legge sull'imposta di registro, approvata con r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, a norma del quale "quando i macchinari che servono ad un opificio non vengono effettivamente smontati e trasportati, ma rimangono in servizio dell'opificio stesso, si presumono venduti all'acquirente, ancorché essi siano stati esclusi dalla vendita, e non ostante che l'acquirente del macchinario apparisca una persona diversa dall'acquirente dell'opificio".

Ad avviso del giudice a quo, la norma pone una presunzione assoluta (iuris et de iure), che non consente alcuna prova contraria, in merito al ritenuto contestuale trasferimento dei macchinari con l'opificio, non potendosi considerare prova contraria quella relativa alla previa rimozione dei macchinari dall'opificio stesso. Ma, interpretata in tali sensi - aggiunge il tribunale - la norma non può essere considerata di natura meramente probatoria, in quanto assume una portata chiaramente sostanziale, stabilendo che, in ogni caso, la presenza dei macchinari nell'opificio, al momento del trasferimento di quest'ultimo, é equiparata al trasferimento effettivo di detti macchinari dal venditore all'acquirente dell'opificio stesso.

E poiché il valore dei macchinari, ancorché non trasferiti, deve essere compreso nella valutazione dell'imponibile, ai tini dell'imposta di registro, sarebbe violato non solo il principio di eguaglianza sancito nell'art. 3, primo comma, della Costituzione, che postula la parità di trattamento in presenza delle stesse condizioni oggettive, ma anche il principio della capacità contributiva di cui all'art. 53, primo comma, in quanto la norma denunciata consentirebbe di superare ampiamente la capacità contributiva desumibile dall'atto di trasferimento tassato, ogni volta che il valore dei macchinari presuntivamente trasferiti insieme all'opificio e, in ipotesi, non trasferiti affatto, sia notevolmente superiore al valore dell'opificio.

2. - Che la norma impugnata debba essere necessariamente interpretata nel senso indicato dal giudice a quo non é affatto incontroverso in dottrina e in giurisprudenza.

Ed invero, anche a prescindere dal consistente, pur se minoritario, orientamento giurisprudenziale che afferma il carattere relativo della presunzione in esame (ritenendo che questa può essere vinta da atto di data certa per registrazione da cui risulti l'altrui appartenenza dei macchinari all'atto della vendita dell'opificio), merita di essere ricordata la tesi prospettata in dottrina, e recentemente recepita anche dalla Cassazione, secondo la quale la sola presenza del macchinario nell'opificio trasferito non é sufficiente a farne presumere il contestuale trasferimento se non si accerta l'esistenza di un valido vincolo pertinenziale costituito tra quei beni da soggetti legittimati a porlo in essere.

Ma, quale che sia la più corretta configurazione della presunzione prevista dalla norma impugnata, ritiene la Corte che, nel caso in esame, non possa farsi astrazione dalla interpretazione accolta dal giudice a quo, tanto più che essa rappresenta tuttora l'espressione prevalente della giurisprudenza e quindi della concreta operatività della disposizione.

3. - La questione, nei termini in cui é stata prospettata dal tribunale di Torino, risulta fondata.

Ed invero, se alla presunzione contemplata dall'art. 47, quinto comma, si attribuisce carattere di assolutezza, nel senso che non può essere data alcuna prova volta ad escludere che i macchinari, anche se non asportati, non sono compresi nella vendita dei locali ove sono situati, non può non apparire irrazionale indurre, dalla mancata asportazione dei macchinari e quindi dalla semplice presenza nell'opificio degli stessi, un ulteriore requisito, che allargherebbe notevolmente l'ambito di applicazione della presunzione, concernente l'esistenza di un vincolo pertinenziale tra l'immobile e le macchine destinate al suo durevole servizio. Per la sussistenza di tale requisito sono necessari, secondo un consolidato insegnamento, sia un elemento oggettivo, consistente nel rapporto funzionale tra i due beni (accessorio e principale), e sia un elemento soggettivo, consistente nella volontà effettiva di destinazione degli stessi beni, da parte degli aventi diritto, che risultino legittimati a costituire il vincolo pertinenziale, secondo le norme del codice civile (artt. 817 e segg.). Ora, la mancanza di tale legittimazione, che sicuramente esclude la sussistenza del vincolo pertinenziale, non può essere surrogata, sia pure in via presuntiva, dalle circostanze obbiettive previste dalla norma in esame.

D'altronde, la riprova della irrazionalità di una norma cui volesse darsi la più rigida interpretazione, é data dal caso limite, che non infrequentemente si é presentato in giurisprudenza, del locatario di un immobile da lui trasformato in opificio e da lui fornito di macchinari che, all'atto di acquisto dell'immobile, sia stato poi costretto, in base alla presunzione dell'art. 47 di cui é causa, a pagare l'imposta di registro sui macchinari che, da atti di data certa, pur risultavano di sua indiscutibile proprietà.

4. - Muovendo sempre dalla interpretazione più rigorosa fatta propria dall'ordinanza di rimessione, del tutto ingiustificato appare il contrasto che sorge tra il trattamento riservato ai macchinari industriali che, in base a una presunzione iuris et de jure, sono sempre sottoposti a tassazione, purché presenti nell'opificio trasferito, rispetto a quello cui gli altri commi dello stesso art. 47 sottopongono "gli immobili per destinazione" (ora pertinenze, giusta l'art. 817 segg. cod. civ.) che trovansi in servizio o sono addetti alla coltivazione del fondo agricolo, e per i quali la presunzione del loro trasferimento unitamente al fondo é solo juris tantum, perché può essere combattuta mediante atti di data certa anteriore debitamente registrati che dimostrino la provenienza o l'appartenenza diversa da quella del proprietario-venditore.

Tale differenza di trattamento tra le pertinenze industriali e quelle agricole non può essere giustificata da nessun motivo razionalmente apprezzabile, specie ora che le due attività produttive, l'agricoltura e l'industria, quanto alla necessità di investimenti e di impianti, si vanno sempre meno differenziando fra loro, accrescendosi nell'agricoltura il numero e l'importanza delle attrezzature mobiliari e immobiliari, e tenuto anche conto che oggi l'industria trova nella pratica del leasing il modo di soddisfare le sue pur crescenti necessità di mezzi di produzione nell'affitto di interi complessi di macchinari ed impianti. Il che rivela ancora meglio la vetustà della norma censurata nella sua più rigida interpretazione e spiega la necessità avvertita dal legislatore di modificare quella disciplina con il ricorso a criteri e principi diversi ma uniformi, ormai consacrati nell'articolo 23 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634.

5. - Per quanto sopra esposto, l'altro profilo di illegittimità relativo alla dedotta violazione dell'art. 53 Cost. deve ritenersi assorbito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 47, quinto comma, della legge del registro approvata con il r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, nella parte in cui non dispone che, relativamente ai macchinari industriali che servono ad un opificio, non venga fatto, all'atto del trasferimento di esso, il medesimo trattamento tributario che gli altri commi dello stesso articolo riservano alle pertinenze del fondo agricolo alienato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 14 luglio 1976.