Sentenza n. 116 del 1976
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SENTENZA N. 116

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Luigi OGGIONI, Presidente

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9, primo e secondo comma, del d.l. C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207 (trattamento giuridico ed economico del personale civile non di ruolo in servizio nelle Amministrazioni dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 22 giugno 1973 dal Consiglio di Stato sezione IV - sul ricorso di Penta Roma contro l'Istituto superiore di odontoiatria "George Eastman", iscritta al n. 1 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48 del 20 febbraio 1974.

Udita nella camera di consiglio del 13 novembre 1975 la relazione del Presidente.

Ritenuto in fatto

La signora Penta Roma, vedova del prof. Rocco Maria Pizzitutti, defunto il 17 gennaio 1965, già docente incaricato presso l'Istituto "Eastman", ha impugnato avanti al Consiglio di Stato la determinazione della liquidazione corrisposta da detto Istituto per la morte del marito, agendo anche quale procuratrice del figlio Eugenio.

La ricorrente sosteneva l'illegittimità dei criteri di calcolo adottati in quanto nella determinazione della somma erogata non era stato tenuto conto di alcune voci retributive, a suo dire costanti, oltre il mero stipendio.

Il Consiglio di Stato, ritenuto nella specie applicabile l'art. 9 del d.l. 4 aprile 1947, n. 207, trattandosi di rapporto d'impiego pubblico non di ruolo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo stesso nelle parti in cui dispone che l'indennità di licenziamento sia liquidata sulla base della "sola retribuzione" goduta all'atto del licenziamento o della morte ed esclude la corresponsione della indennità di preavviso per il caso di decesso del dipendente.

Secondo l'ordinanza del Consiglio di Stato, la norma impugnata contrasterebbe anzitutto con l'art. 36 Cost. L'espressione usata dall'art. 9 citato, che testualmente dispone, col primo comma, essere dovuta al "personale non di ruolo avente almeno un anno di servizio continuativo, una indennità commisurata ad una mensilità della sola retribuzione in godimento all'atto del licenziamento per ciascun anno di servizio o frazione di anno superiore a sei mesi" e, col secondo comma, che "il licenziamento per motivi non disciplinari deve essere preceduto da preavviso di un mese, se il dipendente abbia raggiunto cinque anni di servizio, e di due mesi, se abbia compiuto dieci anni di servizio" comporterebbe, invero, l'esclusione dal computo dell'indennità di licenziamento di tutte le indennità diverse dallo stipendio, anche se corrisposte in modo continuativo, non potendosi, nella specie, data la chiara lettera della legge, adottare in via analogica l'interpretazione estensiva alle indennità periodiche e continuative seguita in altri casi dallo stesso Consiglio di Stato, a proposito di disposizioni concernenti i criteri di determinazione di indennità di licenziamento aventi natura, caratteri e finalità diversi, come, ad esempio, quella prevista dall'art. 5 legge 27 febbraio 1955, n. 53, sull'esodo dei dipendenti pubblici.

Detta esclusione comporterebbe una sostanziale difformità della disciplina in esame dal trattamento di liquidazione previsto dagli artt. 2118, 2120 e 2121 cod. civ. per l'impiego privato, che dispongono, invece, espressamente, la corresponsione dell'indennità di preavviso in caso di decesso nonché il computo delle provvigioni, dei premi di produzione, della partecipazione agli utili o ai prodotti e di "ogni altro compenso continuativo". Data la natura retributiva delle indennità in esame, tale difformità, secondo il giudice a quo, si porrebbe in contrasto con il principio della proporzionalità della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato che, in virtù delle citate disposizioni, é invece attuato per il rapporto di impiego privato, e dovrebbe ritenersi valido anche per il rapporto di impiego pubblico trattandosi di principio generale comune all'uno ed all'altro tipo di rapporto, tanto più che, anche in questo secondo caso, dovrebbe riconoscersi la natura retributiva dell'indennità di licenziamento.

La denunziata disparità di trattamento, poi, si risolverebbe anche in una ingiustificata discriminazione a danno dei dipendenti non di ruolo della pubblica amministrazione, rispetto ai quali, come nel caso, trovi applicazione la norma impugnata, e costituirebbe quindi violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.

L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 48 del 1974.

Non vi é stata costituzione di parti in questa sede e la discussione della causa é stata assegnata, quindi, in camera di consiglio.

Considerato in diritto

1. - Il Consiglio di Stato, con l'ordinanza indicata in epigrafe, solleva, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, commi primo e secondo, del decreto legislativo C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207, nella parte in cui dispone che "la indennità di licenziamento sia liquidata sulla base della sola retribuzione goduta all'atto del licenziamento (o della morte) e per la parte in cui prevede la corresponsione della indennità di preavviso per il solo caso di licenziamento per motivi non disciplinari e non anche per quello di decesso del dipendente".

2. - La questione é fondata.

Il Consiglio di Stato esattamente mette a raffronto, in ordine ai detti due problemi sui quali era stato chiamato a pronunciarsi, la disciplina dettata dal codice civile e da leggi speciali per il rapporto di impiego privato (ed in particolare le norme di cui agli artt. 2118 e 2121 del codice civile) e quella applicabile al rapporto de quo (e precisamente le norme sui dipendenti non di ruolo dello Stato previste dal decreto legislativo n. 207 del 1947, ed in base all'art. 78 del regolamento organico dell'istituto "G. Eastman" con il quale il detto rapporto si era svolto).

E del pari esattamente rileva, a proposito della situazione giuridica del personale di codesto istituto (ente pubblico costituito con decreto reale del 10 luglio 1930), l'esistenza di una "palese disparità di trattamento nei confronti dei prestatori di lavoro disciplinati da norme di diritto privato".

Ed infatti, mentre l'art. 2121 del codice civile dispone che le indennità di cui agli artt. 2118 e 2120 debbono calcolarsi "computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti e ogni altro compenso di carattere continuativo", il primo comma dell'art. 9 citato, in caso di cessazione del rapporto di impiego non di ruolo, stabilisce che l'indennità sia commisurata alla "sola retribuzione in godimento all'atto della cessazione stessa"; e, in caso di morte del prestatore di lavoro, secondo l'art. 2122 del codice civile, sono dovute le indennità di preavviso e di anzianità e, invece, secondo il ripetuto art. 9, la corresponsione della prima delle due indennità anzidette non é prevista nel caso di decesso del dipendente.

Orbene, il differente trattamento giuridico che viene usato nei confronti del personale non di ruolo della pubblica amministrazione non trova riscontro e giustificazione in una situazione giuridica o di fatto di codesto personale, ché anzi, pur non potendosi negare l'esistenza di profili ed elementi per cui il rapporto di pubblico impiego debba essere tenuto distinto da quello di impiego privato, esistono sicuri punti di contatto o di identità (e tra questi rientrano quelli in considerazione).

Né d'altra parte soccorrono ragioni a sostegno della razionalità della rilevata disparità di trattamento (posta in essere, nonostante l'assimilabilità delle situazioni sostanziali di base): tutto ciò, salvo verifica, caso per caso, della rispondenza delle singole voci retributive ai requisiti previsti dalla suindicata legge generale e comune.

3. - Stante il contrasto con l'art. 3 della Costituzione, e rimanendo, pertanto, assorbito l'esame dell'ulteriore profilo di illegittimità costituzionale in relazione all'art. 36 della Costituzione, l'art. 9 del decreto legislativo n. 207 del 1947 risulta costituzionalmente illegittimo nelle parti di cui sopra.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 9, commi primo e secondo, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 4 aprile 1947, n. 207 (trattamento giuridico ed economico del personale civile non di ruolo in servizio nelle amministrazioni dello Stato), nella parte in cui dispone che l'indennità dovuta in caso di cessazione del rapporto é commisurata alla sola retribuzione e nella parte in cui prevede la corresponsione dell'indennità di preavviso per il solo caso di licenziamento per motivi non disciplinari e non anche per quello di decesso del dipendente.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1976.

Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE – Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 20 maggio 1976.