Sentenza n. 108 del 1976
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SENTENZA N. 108

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 25 del r.d. 28 maggio 1931, n. 602 (disposizioni di attuazione del codice di procedura penale), in relazione all'art. 495, terzo comma, n. 2, del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 18 dicembre 1973 dal tribunale di Tolmezzo nel procedimento penale a carico di Bastiani Manlio, iscritta al n. 132 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 139 del 29 maggio 1974;

2) ordinanze emesse il 17 dicembre 1973 dal tribunale di Perugia nei procedimenti penali a carico di Marcomigni Pietro e di Agnesini Luigi, iscritte ai nn. 172 e 173 del registro ordinanze 1974 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 159 del 19 giugno 1974 e n. 153 del 12 giugno 1974.

Udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 1976 il Giudice relatore Ercole Rocchetti.

Ritenuto in fatto

Nel corso del procedimento penale a carico di Bastiani Manlio, imputato del delitto di cui all'art. 495, terzo comma, n. 2, del codice penale, per aver falsamente dichiarato ad un magistrato che lo interrogava, quale imputato, di essere incensurato, il tribunale di Tolmezzo, con ordinanza 12 ottobre 1971, sollevava d'ufficio la questione di legittimità costituzionale di detta norma del codice penale in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

All'uopo il tribunale rappresentava che la ripetuta norma "appare in contrasto con il principio della inviolabilità del diritto di difesa, garantito dalla Carta e regolato per molti aspetti da precise disposizioni delle leggi ordinarie, che legittimano l'imputato finanche ad astenersi da qualsivoglia dichiarazione a lui pregiudizievole"

L'esigenza che presiede all'art. 495, terzo comma n. 2 del codice penale, come quella di evitare false dichiarazioni dell'imputato nell'interesse dei terzi e del buon funzionamento della giustizia, deve essere mantenuta - argomentava l'ordinanza di rimessione - nei limiti rigorosamente compatibili con l'anzidetto diritto alla difesa. E tali limiti sembra vengano superati incriminando le false dichiarazioni dell'imputato sui propri precedenti penali.

Con ordinanza n. 138 del 1973 tuttavia questa Corte, all'esito dell'esame della proposta questione di legittimità costituzionale, disponeva la restituzione degli atti al giudice a quo, rilevando testualmente quanto segue:

"Considerato che la disposizione impugnata considera reato, per la parte che qui viene in esame, la falsa dichiarazione dell'imputato "sul proprio stato e sulle proprie qualità personali" '',

"che l'invito rivolto dal giudice all'imputato se egli sia stato "sottoposto ad altri procedimenti penali " e se abbia "riportato condanne nello Stato o all'estero " é previsto nell'art. 25 del r.d. 28 maggio 1931, n. 602, contenente "disposizioni di attuazione del codice di procedura penale" '';

"che si rende necessaria la restituzione degli atti al giudice a quo perché questi riesamini sotto il profilo della rilevanza e della puntuale determinazione dell'oggetto della questione di legittimità costituzionale se nella fattispecie sottoposta al suo esame debba trovare applicazione il disposto dell'art. 495 del codice penale".

Con ordinanza 18 dicembre 1973 il ripetuto tribunale ha riproposto la questione, precisando che, ferme rimanendo le argomentazioni addotte con la precedente ordinanza 12 ottobre 1971, va esaminata la legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 25 del r.d. 28 maggio 1931, n. 602, in relazione all'art. 495, terzo comma, n. 2, del codice penale, "nella parte in cui dispone che il magistrato deve chiedere all'imputato se é stato sottoposto ad altri procedimenti penali e se ha riportato condanne nello Stato o all'estero".

La stessa questione proponeva il tribunale di Perugia con due ordinanze del 17 dicembre, di identico contenuto, emesse, rispettivamente, nel corso dei procedimenti penali contro Marcomigni Pietro e Agnesini Luigi, entrambi imputati del menzionato delitto di cui all'art. 495, terzo comma, n. 2, del codice penale.

In dette ordinanze si fa presente che le norme denunziate "impongono, in sostanza, all'imputato (nel caso si tratti di persona già condannata) dichiarazioni utilizzabili contro di lui, quanto meno ai fini della determinazione della pena, ai sensi dell'art. 133, n. 2, del codice penale e che, in forza di ciò, si realizza una lesione del principio - riconducibile nell'ambito del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. - secondo cui l'imputato non é tenuto a rendere dichiarazioni a lui sfavorevoli"

In tutti e tre i giudizi seguiti avanti questa Corte non vi é stata costituzione di parti, né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri. Essi vanno perciò direttamente esaminati e decisi in camera di consiglio.

Considerato in diritto

1. - Poiché le ordinanze di rimessione propongono le stesse questioni di costituzionalità, i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Viene sottoposta alla Corte questione di legittimità costituzionale dell'art. 495, comma terzo, n. 2, del codice penale, che punisce la falsa dichiarazione dell'imputato sulla propria identità, sul proprio stato e sulle proprie qualità personali, nonché dell'art. 25 delle norme di attuazione del codice di procedura penale (r.d. 28 maggio 1931, n. 602) il quale dispone che, tra le domande da rivolgersi all'imputato allorché si procede al suo interrogatorio, deve essere compresa quella volta ad accertare se egli é stato sottoposto ad altri procedimenti penali, e se ha riportato condanne nello Stato o all'estero.

Secondo le ordinanze di rimessione, dal combinato disposto dei due articoli risulterebbe che l'imputato dovrebbe essere sottoposto alla sanzione prevista dall'art. 495, anche se dice il falso in merito ai suoi precedenti penali, alla cui rivelazione egli sarebbe costretto per rispondere agli inquirenti che sono tenuti a interrogarlo in proposito.

Da ciò le ordinanze deducono una lesione "del principio, riconducibile all'art. 24 della Costituzione, secondo cui l'imputato non é tenuto a rendere dichiarazioni a lui sfavorevoli".

3. - La questione non é fondata.

Non é dubbio che, se l'imputato, alla domanda rivoltagli dall'inquirente sui suoi precedenti penali risponde in modo contrario al vero, egli incorre nelle sanzioni previste dall'art. 495 del codice penale.

Ma non é esatto che, a tale domanda, egli sia tenuto a rispondere, essendo certo che può rifiutarsi di fornire le notizie, che in proposito gli vengano richieste, senza incorrere in alcuna responsabilità penale

4. - Ciò risulta in modo del tutto palese dal combinato disposto degli artt. 78 e 366 del codice di procedura penale, che dettano norme sui preliminari dell'interrogatorio.

Prescrive al riguardo l'art. 78 che "l'autorità giudiziaria o l'ufficiale di polizia giudiziaria, prima che abbia inizio l'interrogatorio, deve avvertire l'imputato, dandone atto nel verbale, che egli ha facoltà di non rispondere, salvo quanto dispone l'art. 366, primo comma".

Quest'ultimo articolo prescrive poi che, "prima di procedere all'interrogatorio, il giudice invita l'imputato a dichiarare le proprie generalità, ammonendolo delle conseguenze a cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false".

Coordinando le due norme, appare chiaro che l'imputato, solo alla richiesta delle proprie generalità é tenuto a fornire risposta, incorrendo in responsabilità penale qualora si rifiuti di rispondere, o dia false generalità.

Che poi per generalità attinenti alla persona debbano intendersi soltanto il nome, il cognome, la data e il luogo di nascita, oltre che dal significato proprio del lemma, risulta, benché in modo indiretto, dall'art. 25 delle norme di attuazione, che é stato denunziato. In detto articolo si precisa infatti che, "nel procedere all'interrogatorio, il giudice o il pubblico ministero invita l'imputato anche a dichiarare se ha un soprannome o pseudonimo, se sa leggere e scrivere, se ha beni patrimoniali, quali sono le sue condizioni di vita individuale, famigliare e sociale, se ha adempito agli obblighi del servizio militare, se é stato sottoposto ad altri procedimenti penali e se ha riportato condanne nello Stato o all'estero".

Ora tutte queste notizie, per così dire, supplementari, sulla personalità dell'imputato sono richieste dall'art. 25 delle norme di attuazione "anche" e cioè in aggiunta a quella principale, sottaciuta nell'articolo perché risultante dalle norme del codice, e che concerne la enunciazione delle generalità, costituite appunto dal nome, cognome, luogo e data di nascita (v. art. 3 legge 31 ottobre 1955, n. 1064). Ma, a fornire tali notizie accessorie, benché anch'esse dirette ad inquadrare la personalità dell'imputato, questi non é obbligato, appunto perché l'art. 366 citato restringe solo alle generalità l'obbligo e la sanzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 495, terzo comma, n. 2, del codice penale e 25 del r.d. 28 maggio 1931, n. 602 (contenente disposizioni di attuazione al codice di procedura penale), questioni proposte, con le ordinanze in epigrafe, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Luigi BROSIO - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 6 maggio 1976.