Sentenza n. 97 del 1976
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SENTENZA N. 97

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 20, primo comma, lett. c del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488 (aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 28 giugno 1973 dal tribunale di Trento nel procedimento civile vertente tra Campestrini Guido e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 358 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 276 del 24 ottobre 1973;

2) ordinanza emessa il 29 ottobre 1974 dal giudice del lavoro del tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Capatti Adriana e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 159 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 140 del 28 maggio 1975.

Visti gli atti di costituzione di Campestrini Guido, di Capatti Adriana e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale;

udito nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1976 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi gli avvocati Paolo Barile e Franco Agostini, per Campestrini Guido, l'avv. Franco Agostini per Capatti Adriana, e l'avv. Giovanni Battista Rossi Doria, per l'INPS.

Ritenuto in fatto

1. - Il decreto presidenziale 27 aprile 1968, n. 488, in attuazione della delega contenuta nella legge 18 marzo 1968, n. 238, stabiliva che le pensioni di vecchiaia, di anzianità e di invalidità, corrisposte dall'Istituto nazionale non fossero cumulabili totalmente o parzialmente con la retribuzione percepita dai pensionati che continuassero a lavorare. Le norme che disciplinavano il divieto del cumulo venivano impugnate dinanzi alla Corte costituzionale, che, con sentenza n. 155 del 1969, dichiarava la illegittimità costituzionale delle norme stesse solo nella parte in cui dispongono che non sono cumulabili con la retribuzione le pensioni di vecchiaia, mentre, in ordine alle pensioni di invalidità e di anzianità, la stessa questione di legittimità costituzionale veniva ritenuta non fondata.

La disciplina del cumulo, contenuta nella legge n. 238 e nel decreto n. 488 del 1968, prima ancora che venisse dichiarata parzialmente illegittima, era stata modificata, in senso più favorevole ai pensionati con la legge 30 aprile 1969, n. 153 (artt. 20-22).

2. - Nel corso del procedimento civile promosso da Campestrini Guido contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale per ottenere il rimborso delle somme trattenute ai sensi dell'art. 20, lett. c, del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, che vietava il cumulo della pensione di anzianità con la retribuzione, il tribunale di Trento, con ordinanza emessa il 28 giugno 1973, ha riproposto la questione di legittimità costituzionale del citato art. 20, lett. c, con riferimento agli artt. 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione, limitatamente alla ipotesi del pensionato di anzianità che, avendo raggiunto l'età pensionabile, avesse acquisito il diritto a conseguire la pensione di vecchiaia.

Secondo il giudice a quo, nel caso del lavoratore fruente della pensione di anzianità, ma in età tale che avrebbe diritto alla pensione di vecchiaia, dovrebbero valere le stesse ragioni che indussero la Corte a dichiarare la illegittimità del divieto del cumulo tra pensione di vecchiaia e retribuzione, in quanto le particolari caratteristiche della pensione di anzianità, messe in luce dalla sentenza n. 155 del 1969, non sarebbero più operanti nella ipotesi in cui il pensionato di anzianità si trovi nelle condizioni per godere della pensione di vecchiaia.

A sostegno di tale interpretazione, il tribunale di Trento invoca la norma (che per altro vale solo per il futuro) contenuta nell'art. 22, sesto comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, che ha equiparato a tutti gli effetti la pensione di anzianità a quella di vecchiaia, quando il titolare di essa compie l'età stabilita per il pensionamento di vecchiaia.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

3. - Nel giudizio dinanzi alla Corte, si é costituito il Campestrini che con deduzioni del 7 novembre 1973 chiede che la Corte dichiari l'illegittimità della norma denunziata, sostenendo che il citato art. 22, sesto comma, non ha che registrato una situazione esistente anche anteriormente alla legge n. 153 del 1969, in quanto, anche nel caso della pensione di anzianità, nel momento in cui si verifica l'età stabilita per il pensionamento di vecchiaia, il trattamento corrisposto adempie alla stessa funzione alimentare nei confronti di chi ha lavorato e ha versato contributi assicurativi.

Si é, altresì, costituito l'Istituto nazionale della previdenza sociale, il quale, pur chiedendo che la Corte provveda come di giustizia sulla dedotta questione di costituzionalità, ritiene che l'ordinanza non prospetti nuovi profili rispetto alla decisione n. 155 del 1969 e che comunque la questione proposta sia infondata proprio alla stregua delle argomentazioni contenute nella stessa sentenza.

4. - La medesima questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, lett. c, del d.P.R. n. 488 del 1968 é stata proposta, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal giudice del lavoro del tribunale di Genova, con ordinanza emessa il 29 ottobre 1974 nel procedimento civile vertente tra Capatti Adriana e l'Istituto nazionale della previdenza sociale. Secondo il giudice a quo, il titolare della pensione di anzianità, che abbia maturato anche il diritto alla pensione di vecchiaia, viene a trovarsi, in conseguenza della normativa disposta dal d.P.R. n. 488, tuttora rilevante per il periodo 1 maggio 1968 - 1 maggio 1969, in una situazione deteriore rispetto al titolare della pensione di vecchiaia senza che di ciò vi sia adeguata giustificazione.

Anche tale ordinanza é stata notificata, comunicata e pubblicata ai sensi di legge.

5. - A sostegno dei motivi dedotti nella ordinanza di rinvio, si é costituita dinanzi alla Corte la signora Adriana Capatti, chiedendo che venga dichiarata la illegittimità costituzionale della norma impugnata.

Anche in questo giudizio si é costituito l'Istituto nazionale della previdenza sociale il quale con deduzioni del 16 giugno 1975 ribadisce le richieste che, con analoghe argomentazioni, aveva già sottoposte alla Corte nel giudizio proposto dal tribunale di Trento.

6. - Per l'udienza del 12 febbraio 1976, hanno presentato memorie illustrative, ribadendo le richieste già formulate in sede di deduzioni, i difensori dell'INPS e quelli del Campestrini.

All'udienza di discussione le parti costituite hanno ulteriormente illustrate le deduzioni scritte. Considerato in diritto

1. - Poiché le ordinanze di rimessione propongono la stessa questione di legittimità costituzionale, i due giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Il tribunale di Trento e il giudice del lavoro del tribunale di Genova hanno sottoposto all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, primo comma, lett. c, del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, che, per il periodo 1 maggio 1968 - 1 maggio 1969, ancora disciplina, vietandolo, il cumulo della pensione di anzianità con la retribuzione percepita in rapporto di lavoro dipendente. La questione in esame, strettamente collegata alla sentenza di questa Corte n. 155 del 1969, che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme relative al divieto di cumulo tra pensione di vecchiaia e retribuzione, viene ora prospettata con riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, ma limitatamente alla particolare ipotesi in cui il pensionato di anzianità si sia venuto a trovare nelle condizioni per godere della pensione di vecchiaia nel periodo di tempo in cui la legge impugnata, poi modificata, seguita ad avere efficacia.

Rilevano in proposito le ordinanze di rimessione che l'equiparazione della pensione di anzianità a quella di vecchiaia, quando il titolare di essa compie l'età stabilita per il pensionamento di vecchiaia, é stata riconosciuta dall'art. 22, sesto comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, ovviamente con efficacia per l'avvenire e precisamente dal 1 luglio 1969. Ciò rilevato, le stesse ordinanze affermano che, per il periodo anteriore, in cui ancora é applicabile la disposizione impugnata, il divieto di cumulo appare illegittimo perché, nella ipotesi dedotta, verrebbero meno, con l'acquisto del diritto alla pensione di vecchiaia, le particolari caratteristiche della pensione di anzianità, dalle quali la Corte aveva desunto le ragioni per ritenere legittimo il divieto posto dal legislatore.

3. - La questione, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, é da ritenersi fondata.

Nella vigente tipologia dei trattamenti pensionistici, la pensione di anzianità, istituita dall'art. 13 della legge 21 luglio 1965, n. 903 e successivamente disciplinata prima dall'art. 16 del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, e poi dall'art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, attribuisce al lavoratore il diritto al conseguimento della pensione prima del compimento dell'età stabilita per il pensionamento di vecchiaia, sulla base del solo requisito dell'accreditamento di 35 annualità di effettiva contribuzione. Con riferimento a questo trattamento di quiescenza, il problema della legittimità costituzionale del divieto del cumulo fra pensione e retribuzione fu risolto dalla Corte nel senso che le particolari caratteristiche della pensione di anzianità giustificavano il divieto totale, in quanto la liquidazione di tale pensione, avvenendo anticipatamente, e costituendo perciò un beneficio a favore del lavoratore, poteva essere subordinata dalla legge alla condizione di cessazione effettiva dal lavoro (sent. n. 155 del 1969).

Questo criterio, che la Corte ritiene tuttora valido come regola e fondamento dell'istituto del divieto di cumulo per il trattamento pensionistico in esame, non appare però razionale nella ipotesi in cui il titolare della pensione di anzianità raggiunga l'età pensionabile per conseguire la pensione di vecchiaia; ed invero, la liquidazione della pensione prima del compimento dell'età prevista per il pensionamento di vecchiaia costituisce un vantaggio per il lavoratore, ma soltanto fino al momento in cui il suo titolare non acquisti, con il raggiungimento dell'età pensionabile, il diritto a conseguire la pensione di vecchiaia. Da quel momento egli cessa, infatti, di usufruire del vantaggio costituito dal pensionamento anticipato, e cioè del beneficio che giustificava il divieto del cumulo; con la conseguenza che deve essere ritenuta illegittima la norma la quale, seguitando, senza ragione, a considerarlo titolare di pensione di anzianità anziché di quella di vecchiaia, mantiene la imposizione di un divieto che é restato privo di ogni giustificazione razionale.

D'altra parte, secondo é stato esattamente rilevato dalle ordinanze di rimessione, il titolare della pensione di anzianità che raggiunga l'età pensionabile si trova nella stessa situazione di colui che acquisisce per la prima volta il diritto alla pensione di vecchiaia. Pertanto, la norma impugnata che, in ordine al divieto di cumulo, consente un trattamento differenziato, viene a porsi, anche sotto questo profilo, in contrasto con il principio di eguaglianza.

Questa situazione, che secondo si é già detto, é stata esattamente valutata dal legislatore in sede di revisione degli ordinamenti pensionistici, ma con effetto soltanto per l'avvenire, determina la illegittimità dell'art. 20, primo comma, lett. c, del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, che ancora disciplina la pensione di anzianità per il periodo 1 luglio 1968 - 1 luglio 1969, e ciò per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che la pensione di anzianità sia equiparata a quella di vecchiaia quando il titolare di essa compia l'età stabilita per il pensionamento di vecchiaia.

Le altre questioni, proposte in riferimento agli artt. 36 e 38 della Costituzione, possono essere ritenute assorbite.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 20, comma primo, lett. c, del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, nella parte in cui non prevede che la pensione di anzianità sia equiparata a tutti gli effetti alla pensione di vecchiaia, quando il titolare di essa compia l'età stabilita per il pensionamento di vecchiaia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 aprile 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 aprile 1976.