Sentenza n. 87 del 1976
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SENTENZA N. 87

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 27, 28 e 29 della legge 22 maggio 1975, n. 152 (disposizioni a tutela dell'ordine pubblico), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 26 maggio 1975 dal pretore di Galatina nel procedimento penale a carico di Nobile Sebastiano, iscritta al n. 279 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 20 agosto 1975;

2) ordinanza emessa il 13 ottobre 1975 dal pretore di Modena nel procedimento penale a carico di ignoti, iscritta al n. 513 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 332 del 17 dicembre 1975.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1976 il Giudice relatore Guido Astuti;

udita il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento penale a carico di ignoti "allo stato" comunque appartenenti alle forze dell'ordine, il pretore di Modena ha sollevato, di ufficio, questione di legittimità costituzionale degli artt. 27, 28 e 29 della legge 22 maggio 1975, n. 152, "disposizioni a tutela dell'ordine pubblico", in riferimento agli artt. 3, 25, 107 e 112 della Costituzione.

Le norme impugnate, nel prevedere un particolare meccanismo processuale per i reati commessi dalle forze dell'ordine, violerebbero il principio di eguaglianza, per la introduzione di un procedimento privilegiato in favore di una determinata categoria di cittadini; si porrebbero in contrasto con il principio di obbligatorietà dell'azione penale, per essere il promovimento dell'azione subordinato all'informativa nei confronti del Procuratore generale presso la Corte di appello; urterebbero, infine, contro il disposto degli artt. 25 e 107 Cost., rendendo possibile il trasferimento al giudice istruttore della cognizione di reati di competenza pretorile.

Identica questione é stata proposta dal pretore di Galatina, nel procedimento a carico di Sebastiano Nobile, anche in riferimento all'art. 102 della Costituzione.

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, la infondatezza di tutte le questioni proposte.

Considerato in diritto

1. - Con le ordinanze indicate in epigrafe viene sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 27, 28 e 29 della legge 22 maggio 1975, n. 152, recante disposizioni a tutela dell'ordine pubblico, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, primo comma, 102, primo comma, 107, terzo comma, e 112 della Costituzione.

Secondo le ricordate ordinanze, le disposizioni della legge n. 152 del 1975, che prevedono particolari modalità di procedimento istruttorio in ordine ai reati commessi da ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o da militari in servizio di pubblica sicurezza, "per fatti compiuti in servizio e relativi all'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica", dovrebbero essere dichiarate incostituzionali, in quanto:

- introdurrebbero una procedura speciale e privilegiata per una categoria di cittadini, in violazione del principio di eguaglianza;

- renderebbero possibile, con il trasferimento al giudice istruttore dei reati di competenza pretorile, la sottrazione dell'imputato al suo giudice naturale;

- porrebbero un limite al promovimento dell'azione penale, in contrasto con il principio sancito dall'art. 112, subordinando l'attività istruttoria del pubblico ministero (procuratore della Repubblica o pretore inquirente) alla informativa nei confronti del procuratore generale presso la Corte d'appello;

- attuerebbero, infine, una distinzione tra i magistrati in contrasto con le norme sull'ordinamento giudiziario, e non sulla base di diversità di funzioni, violando i principi enunciati dagli artt. 102 e 107 della Costituzione.

2. - Le due ordinanze propongono sostanzialmente la medesima questione, e pertanto i giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

La questione non é fondata, non sussistendo alcuno dei profili di illegittimità prospettati dalle ordinanze di rimessione.

La speciale normativa introdotta con gli artt. 27 e seguenti per i reati commessi dalle forze dell'ordine - limitatamente alla fase istruttoria, e senza nulla innovare in ordine al giudizio, sempre regolato dalle norme ordinarie - non lede il principio di eguaglianza conferendo una ingiustificata situazione di privilegio. Essa non si applica agli ufficiali ed agenti delle forze dell'ordine in via generale per tutti i reati, ma esclusivamente "per fatti compiuti in servizio", ossia per fatti che nel servizio abbiano ragione e causa, e siano inoltre "relativi all'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica". La ratio delle disposizioni denunciate risulta con chiarezza dalla relazione delle Commissioni riunite della Camera dei deputati, nella seduta dell'8 aprile 1975: esse "sono determinate dall'esigenza di impedire che gli appartenenti alle forze dell'ordine siano esposti al rischio di processi penali conseguenti ad accuse infondate per reati concernenti l'uso, nell'esercizio delle loro funzioni, delle armi o di altro mezzo di coazione fisica". Nella presente situazione dell'ordine pubblico, valutata dal legislatore di particolare gravità, trova piena giustificazione il trattamento differenziato introdotto per le forze dell'ordine, alle quali é affidato il gravoso e rischioso compito di prevenire e reprimere la perpetrazione dei reati, e di garantire, con la sicurezza pubblica una ordinata convivenza civile.

Questa Corte ha già avuto occasione di rilevare che la considerazione delle funzioni ed attribuzioni conferite ai pubblici funzionari "se da un lato dà titolo ad una maggiore protezione penale, é poi fonte, dall'altro, di un aggravamento di responsabilità come nei casi in cui la qualità di pubblico ufficiale viene assunta ad elemento costitutivo o a circostanza aggravante dei reati commessi" (sentenza n. 109 del 1968). E giustamente l'Avvocatura dello Stato ha osservato che provvedimenti come quello in questione, "inteso ad una garanzia lato sensu processuale per gli appartenenti alle forze dell'ordine, di cui si contesta la legittimità, costituiscono l'elemento compensativo delle maggiori responsabilità". Non sussiste dunque una ingiustificata disparità di trattamento, che possa considerarsi lesiva del principio sancito dall'art. 3 della Costituzione.

3. - Le ordinanze denunciano, nell'ipotesi di reati di competenza pretorile, la violazione dell'art. 25, per la possibilità di sottrazione dell'imputato al suo giudice naturale, che conseguirebbe all'avocazione della istruttoria da parte del procuratore generale ed all'eventuale trasferimento della stessa al giudice istruttore. Ma la denunciata violazione non sussiste, perché le disposizioni di cui é causa non comportano alcuna deroga alla competenza del pretore, secondo la corretta interpretazione, prospettata anche dall'Avvocatura dello Stato nelle sue deduzioni. Per vero, gli artt. 27, 28 e 29 della legge n. 152 del 1975 contengono una normativa che regola in modo speciale soltanto i rapporti tra procuratore della Repubblica, procuratore generale e giudice istruttore, in relazione ai reati di competenza del tribunale e della Corte d'assise: ove abbia notizia di tali reati, imputabili alle forze dell'ordine per fatti compiuti in servizio con uso delle armi o di altro mezzo di coazione, il procuratore della Repubblica é tenuto ad informare immediatamente il procuratore generale, limitandosi a compiere frattanto esclusivamente gli atti urgenti relativi alla prova del reato; il procuratore generale, ove non ritenga di esercitare i poteri previsti dal codice di rito (ossia procedere ad atti di istruzione preliminare, ai sensi dell'art. 234, o avocare a sé l'istruzione sommaria, ai sensi dell'art. 392), restituisce gli atti al procuratore della Repubblica, perché proceda nelle forme stabilite dalla legge; entrambi, ove ne ravvisino gli estremi, possono richiedere al giudice istruttore, con atto motivato, di pronunciare decreto di archiviazione; ed infine il giudice, ove non ritenga di accogliere tale richiesta, dispone l'istruttoria formale, con ordinanza impugnabile dall'interessato davanti alla sezione istruttoria.

Il secondo comma dell'art. 27 stabilisce bensì che "la stessa disposizione si applica nel caso in cui il pretore ha comunque notizia di un reato previsto nel comma precedente": ma questa norma é stata evidentemente inserita sempre con riferimento ai reati di competenza del tribunale e della Corte di assise, in relazione ai poteri che anche per questi più gravi reati l'art. 231, secondo comma, del codice di procedura penale attribuisce al pretore. Egli é infatti tenuto bensì ad informare senza ritardo il procuratore della Repubblica d'ogni notitia criminis trasmettendogli "gli atti del procedimento e ogni cosa che vi si riferisce", ma ha tuttavia il potere di procedere in ogni caso agli atti urgenti di accertamento e di assicurazione delle prove, ed anche di emettere mandato d'arresto.

La disposizione dell'art. 27, invece, mentre impone anche al pretore di informare nello stesso giorno il procuratore generale, gli consente solo di compiere "esclusivamente gli atti urgenti, relativi alla prova di reato, dei quali non é possibile il rinvio", con preclusione, pertanto, dei provvedimenti relativi alla libertà personale. L'art. 27 non impone peraltro al pretore alcun obbligo di informativa al procuratore generale per i reati di sua competenza. A questi infatti non sono applicabili le disposizioni speciali della nuova legge, che fanno espresso ed esclusivo riferimento agli strumenti processuali concernenti i reati di competenza del tribunale e della Corte d'assise, rispetto ai quali soltanto il procuratore generale può " esercitare i poteri previsti dal codice di procedura penale", secondo il chiaro disposto dell'art. 28.

Non v'é dunque alcuna deroga alla competenza del pretore, quanto ai reati attribuiti alla sua cognizione. Ed é forse superfluo aggiungere che anche per quanto concerne i reati di competenza del tribunale o della Corte d'assise, le nuove disposizioni, pur importando una diversa distribuzione di competenze tra organi requirenti e giurisdizionali, non confliggono con il principio sancito dall'art. 25, primo comma, della Costituzione, essendo tali competenze sempre predeterminate in via generale dalla legge.

4. - É chiaro che le denunciate disposizioni non pongono la pretesa limitazione al promovimento dell'azione penale, né da parte del pretore, per i reati di sua competenza, né da parte degli uffici del pubblico ministero. L'obbligo di immediata informativa al procuratore generale non lede, di per sé, le prerogative del procuratore della Repubblica, e d'altra parte l'art. 28 non attribuisce al procuratore generale poteri diversi o maggiori di quelli che gli spettano in base al codice di rito; ove egli non ritenga di avocare a sé l'istruzione sommaria, dovrà restituire gli atti al procuratore della Repubblica, perché proceda a norma di legge.

Non sussiste nemmeno la pretesa discriminazione tra magistrati, che si assume lesiva dei principi sanciti dall'art. 102, primo comma, e dall'art. 107, terzo comma, della Costituzione. Non v'é infatti, per quanto già si é detto, nessuna "umiliazione" né "spoliazione di poteri" nei confronti del pretore, a torto lamentata con copia di considerazioni estravaganti dal pretore di Galatina; non v'é del pari nessuna lesione delle attribuzioni del procuratore della Repubblica, quali previste dal vigente ordinamento giudiziario, dato che le disposizioni di cui é causa concernono pur sempre l'esercizio di funzioni di competenza dell'ufficio del pubblico ministero, a cui nella circoscrizione della Corte d'appello presiede il procuratore generale (cfr. art. 70 dell'ordinamento giudiziario). Ed il potere di avocazione a lui riconosciuto dall'art. 392, come la Corte ha già avuto occasione di dichiarare, attua soltanto una legittima sostituzione di un organo del pubblico ministero ad altro organo dello stesso ufficio (sentenze n. 148 del 1963 e n. 32 del 1964).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 27, 28 e 29 della legge 22 maggio 1975, n. 152, "Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico", sollevata dalle ordinanze di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, primo comma, 102, primo comma, 107, terzo comma, e 112 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 aprile 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 14 aprile 1976.