Sentenza n. 70 del 1976
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 70

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

   SENTENZA               

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383 (militarizzazione del personale civile e salariato in servizio presso la guardia di finanza e disposizioni penali per i militari del suddetto corpo), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 4 giugno 1973 dal tribunale di Varese nel procedimento penale a carico di Ciaramitaro Antonio ed altri, iscritta al n. 379 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 294 del 14 novembre 1973;

2) ordinanza emessa il 18 ottobre 1973 dalla Corte d'appello di Napoli nel procedimento penale a carico di Busiello Antonio ed altri, iscritta al n. 8 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 6 marzo 1974;

3) ordinanza emessa il 13 dicembre 1973 dal giudice istruttore del tribunale di Tolmezzo nel procedimento penale a carico di Di Gaspero Attilio ed altri, iscritta al n. 244 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 180 del 10 luglio 1974.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 gennaio 1976 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Il tribunale di Varese, innanzi al quale, per ragioni di connessione (art. 264 c.p.m.p.) era stato rinviato a giudizio un militare della guardia di finanza (imputato - tra l'altro dei delitti di cui agli artt. 94 e 109 legge 25 settembre 1940, n. 1424; 3, legge 9 dicembre 1941, n. 1383 e 215, 219 c.p.m.p. per aver colluso con altri estranei al Corpo al fine di introdurre in Italia merce di contrabbando), con ordinanza emessa il 4 giugno 1973, prospetta il dubbio che il già citato art. 3, legge 9 dicembre 1941, n. 1383 (contenente norme sulla militarizzazione del personale civile e salariato in servizio presso la guardia di finanza) crei un'ingiustificata disparità di trattamento, lesiva del principio di uguaglianza, tra i militari appartenenti al Corpo della guardia di finanza e i funzionari dell'Amministrazione finanziaria dello Stato preposti all'espletamento di funzioni identiche o quanto meno omogenee, i quali nelle ipotesi previste dalla norma impugnata sarebbero puniti meno gravemente dei primi.

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ed é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari non fondata la questione.

2. - La legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383, é stata posta in dubbio - sempre in riferimento all'art. 3 Cost. - ma sotto profili parzialmente diversi, anche dalla Corte d'appello di Napoli con ordinanza del 18 ottobre 1973, emessa in relazione ad identica fattispecie.

In essa si censura, infatti, la disparità di trattamento, nei sensi che sono già stati posti in rilievo, tra i militari della guardia di finanza e gli altri organi di polizia giudiziaria che, al pari dei primi, sono preposti, con identità di funzioni e di attribuzioni, all'accertamento delle violazioni delle leggi finanziarie.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri concludendo per l'infondatezza della questione.

3. - Il giudice istruttore presso il tribunale di Tolmezzo, nel corso di procedimento penale a carico di alcuni soggetti appartenenti al Corpo della guardia di finanza, imputati di aver colluso con altri estranei al Corpo per introdurre in Italia merce di contrabbando, prospetta infine il dubbio che il predetto art. 3 della legge n. 1383 del 1941 sia lesivo del principio di uguaglianza, non solo per la disparità di trattamento, posta in rilievo nella già citata ordinanza della Corte d'appello di Napoli, ma anche per la mancata previsione di un trattamento differenziato tra il militare della guardia di finanza che colluda con i terzi per fini personali di lucro e quello che invece colluda con il terzo per consentire al Corpo della guardia di finanza un risparmio di spesa ovvero per conferire ad esso un particolare lustro.

Anche in questo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate non fondate.

Considerato in diritto

1. - Le tre ordinanze sollevano questioni di legittimità tra loro connesse. I relativi giudizi possono, pertanto, essere riuniti onde essere definiti con unica sentenza.

2. - L'art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383, dispone, tra l'altro, che il militare della guardia di finanza il quale colluda con estranei per frodare la finanza, soggiace alle pene stabilite dagli artt. 215 e 219 c.m.p.p. (e cioè alla reclusione da due a dieci anni e alla pena accessoria della rimozione, previste per il peculato militare), ferme le sanzioni pecuniarie previste dalle leggi speciali.

Si tratta, come é noto, di un reato proprio del detto militare che si perfeziona col semplice accordo fraudolento tra lui e l'estraneo in danno della finanza che, secondo quanto si ritiene ormai pacificamente in giurisprudenza, non assorbe, attesa la diversa obbiettività giuridica, altri reati eventualmente concorrenti.

Orbene, secondo i giudici a quibus, la detta norma violerebbe l'art. 3 Cost.:

a) per l'ingiustificata disparità di trattamento che determinerebbe a danno dei militari della guardia di finanza rispetto ai dipendenti civili dell'Amministrazione finanziaria dello Stato e agli altri militari che sono organi di polizia giudiziaria; disparità derivante dal fatto che costoro, nelle ipotesi contemplate dalla norma impugnata non sono assoggettati alle gravi sanzioni comminate da detta norma, ma solo a quelle previste per altri reati eventualmente ravvisabili nella loro condotta;

b) per la mancata differenziazione, in ordine al trattamento punitivo, tra l'ipotesi in cui il militare della guardia di finanza colluda per fini personali di lucro e quella in cui invece colluda per consentire al Corpo un risparmio di spesa ovvero per conferire ad essa un particolare lustro.

3. - La questione non é fondata.

É certo esatto che la violazione delle leggi finanziarie compiuta dagli appartenenti al Corpo della guardia di finanza é punita con particolare rigore. Questi militari per il solo fatto di essersi accordati con estranei per frodare la finanza rispondono, come si é rilevato, del delitto di collusione, previsto dalla norma impugnata, oltre che del reato finanziario eventualmente commesso. Se poi a tal fine ricevono o concordano un compenso incorrono, altresì, nel reato di corruzione (art. 319 cod. pen.). Invece i dipendenti civili dell'Amministrazione finanziaria o altri militari (quali gli appartenenti all'Arma dei carabinieri o al Corpo delle guardie di P.S.) che concorrano con un estraneo nella violazione di una legge finanziaria non sono soggetti alle gravi sanzioni comminate per il delitto di collusione ma, tutt'al più, solo all'aumento di pena (nel massimo 1/3), stabilito per la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 9, cod. pen. e applicabile per i diversi reati di cui essi siano dichiarati responsabili.

La maggior gravità della normativa concernente gli appartenenti al Corpo della guardia di finanza é indubbia e tale é rimasta anche dopo la recente riforma della disciplina del concorso formale dei reati, attuata con il decreto legge 11 aprile 1974, n. 99 (convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220).

4. - Ciò non basta tuttavia a far ritenere la norma impugnata inficiata d'irragionevolezza e quindi lesiva del principio di uguaglianza, il quale non esclude che il legislatore possa dettare norme diverse per regolare situazioni che egli ritenga diverse, entro un margine di discrezionalità che giustifichi razionalmente il criterio adottato.

Orbene, il Corpo della guardia di finanza, pur essendo funzionalmente inquadrato nell'Amministrazione finanziaria (il Comandante del Corpo dipende dal Ministro delle finanze) presenta una spiccata caratterizzazione militare di vero e proprio corpo armato, che di per sé già può giustificare l'applicazione di una disciplina più rigorosa di quella riservata ai funzionari civili dello Stato.

A ciò si aggiunga che compito specifico, anche se non esclusivo, degli appartenenti al Corpo della guardia di finanza é proprio quello di prevenire, ricercare e denunziare le violazioni delle leggi finanziarie (art. 1 legge 23 aprile 1959, n. 189). I suddetti militari, inoltre, accentrando nella loro azione le facoltà della polizia tributaria e della polizia giudiziaria dispongono di un complesso di poteri che non ha riscontro negli altri Corpi di polizia, come quello di accedere negli esercizi pubblici ed in ogni locale adibito ad un'azienda commerciale o industriale, al fine di eseguire verificazioni e ricerche (art. 35, legge 7 gennaio 1929, n. 4, e - in riferimento alle recenti innovazioni in materia tributaria - gli artt. 33, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 63, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633).

5. - La posizione del componente il Corpo della guardia di finanza é pertanto diversa da quella del pubblico ufficiale appartenente agli altri Corpi di pubblica sicurezza e del dipendente civile dell'Amministrazione finanziaria.

Cio spiega perché la violazione delle leggi finanziarie compiuta dagli appartenenti alla guardia di finanza sia valutata con maggiore severità. In tal caso, infatti, si viene meno non soltanto al vincolo di fedeltà che incombe su tutti coloro che esercitano pubbliche funzioni (v. art. 54, comma secondo, Cost.) ma anche a quei particolari doveri inerenti alla tutela degli interessi finanziari dello Stato, la cui cura, come si é visto, é istituzionalmente affidata al Corpo della guardia di finanza. D'altra parte, nel diritto penale non mancano casi nei quali colui che viola i doveri inerenti alla funzione a lui specificamente affidata in relazione all'ufficio o al servizio cui é preposto, é assoggettato a sanzioni penali speciali e più gravi, come ad esempio nell'ipotesi prevista dall'art. 619 del codice penale.

É perciò da escludere che la norma impugnata contrasti con il principio di uguaglianza garantito dall'art. 3 della Costituzione.

6. - Come si é già accennato, la violazione dell'art. 3 é prospettata dal giudice istruttore presso il tribunale di Tolmezzo, anche sotto il profilo che la norma impugnata non prevede un trattamento di minore rigore nel caso di collusione effettuata non per fine di lucro personale ma per consentire al Corpo della guardia di finanza un risparmio di spesa ovvero per conferire ad esso un particolare lustro.

Tale censura, però, oltre a non avere precisa relazione con i fatti commessi dagli imputati, involge, come esattamente é rilevato dall'Avvocatura, profili generali di politica criminale riguardanti l'opportunità di attribuire per un singolo reato speciale rilievo ai motivi a delinquere o quella di evitare la previsione di un minimo di pena molto elevato. Ma é ovvio che la scelta fatta dal legislatore nell'ambito della propria discrezionalità non risulta sindacabile sotto il profilo del principio di uguaglianza rettamente inteso. E tanto basta per ritenere la infondatezza della questione sotto quest'ultimo aspetto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383 (militarizzazione del personale civile e salariato in servizio presso la guardia di finanza e disposizioni penali per i militari del suddetto Corpo), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal tribunale di Varese, dalla Corte d'appello di Napoli e dal giudice istruttore presso il tribunale di Tolmezzo, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria l'8 aprile 1976.