Sentenza n. 59 del 1976
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SENTENZA N. 59

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, primo comma, e 9 della legge 12 marzo 1968, n. 316 (disciplina della professione di agente e rappresentante di commercio), promosso con ordinanza emessa il 4 luglio 1973 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Ravenna Mario e la società Ars Sutoria, iscritta al n. 5 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 6 marzo 1974.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 gennaio 1976 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento civile vertente tra Mario Ravenna e la società Ars Sutoria ed avente ad oggetto diritti relativi ad un precorso rapporto di agenzia, l'adito tribunale di Milano, con ordinanza 4 luglio 1973 - rilevato, in premessa, che il convenuto aveva eccepito la nullità del dedotto contratto per violazione dell'art. 9 della legge 1968 n. 316, che vieta i rapporti di agenzia nei quali l'agente sia (come nella specie) persona non iscritta nel ruolo di cui all'art. 2 della stessa legge - ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata ed ha, quindi, sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli, appunto, 2 e 9 della legge 1968 innanzi citata, in riferimento agli artt. 1, primo comma; 4, primo comma; 35, primo comma, e 41, primo comma, della Costituzione.

Ritualmente notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza de qua ed instaurato il giudizio innanzi alla Corte, é in questo intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso nel senso di una declaratoria di infondatezza della sollevata questione.

Considerato in diritto

1. - Dispone l'art. 1 della legge 12 marzo 1968, n. 316, che "al ruolo (per gli agenti e rappresentanti di commercio istituito presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura) devono iscriversi coloro che svolgono o intendono svolgere l'attività di agente o rappresentante di commercio...".

Correlativamente, aggiunge, poi, il successivo art. 9 che "é fatto divieto a chi non é iscritto al ruolo di cui alla presente legge di esercitare l'attività di agente o rappresentante di commercio. Sono vietati i contratti di agenzia o rappresentanza nei quali l'agente o rappresentante sia persona non iscritta al ruolo".

Il tribunale di Milano denunzia, come detto, questo sistema normativo e ne prospetta il contrasto con gli artt. 1, 4, 35 della Costituzione - che pongono il lavoro a "fondamento" della Repubblica, lo riconoscono come "diritto di tutti i cittadini" e ne prevedono la "tutela in tutte le sue forme ed applicazioni" - nonché con l'art. 41 della Costituzione, che, analogamente, garantisce la libertà della "iniziativa economica privata".

Il fatto stesso dell'obbligo, imposto all'agente (ed al rappresentante) di commercio, dell'iscrizione in apposito ruolo (a prescindere dalla natura e dal numero delle condizioni per tale iscrizione richieste) vulnererebbe, infatti - secondo il giudice a quo - i precetti costituzionali richiamati, ponendo un limite sia alle possibilità lavorative che alla privata iniziativa del soggetto.

2. - La questione non é fondata.

La normativa denunziata non ostacola, invero, né comprime in modo alcuno la libera esplicazione dell'attività di agente o rappresentante di commercio, bensì si limita a disciplinarne l'esercizio: prescrivendo (al duplice fine di dare pubblica notizia dei soggetti che svolgono la detta attività e di accertare i requisiti di idoneità morale e tecnica degli stessi) l'"iscrizione" in un apposito ruolo aperto a tutti coloro che "siano cittadini italiani, di uno Stato membro della CEE o stranieri residenti, abbiano il godimento dei diritti civili, non siano interdetti, inabilitati, falliti o incorsi in condanne per determinati reati e siano in possesso del titolo di scuola secondaria di primo grado".

La rispondenza di tale disciplina ad esigenze di tutela (nell'un tempo) degli interessi professionali degli stessi agenti e rappresentanti e degli interessi, altresì, di quanti, in genere, partecipano ai settori della produzione e dello scambio, é evidente; ed é stata, comunque, già ritenuta, da questa Corte, anche "in considerazione sia del carattere fiduciario dell'attività (dagli agenti e rappresentanti) svolta nell'interesse degli imprenditori e della pubblica fede, sia delle esigenze del mercato internazionale, in particolar modo di quello della Comunità economica europea, nei cui confronti vigono per lo Stato italiano speciali impegni". (Cfr. la sentenza della Corte costituzionale 21 maggio 1970 n. 82).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, primo comma, e 9 della legge 12 marzo 1968, n. 316 (Disciplina della professione di agente e rappresentante di commercio), sollevata - in riferimento agli artt. 1, 4, 35 e 41 della Costituzione - con l'ordinanza in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 25 marzo 1976.