Sentenza n. 207 del 1975
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SENTENZA N. 207

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9, quarto comma, del r.d.l. 8 maggio 1927, n. 798 (Ordinamento del servizio di assistenza dei fanciulli illegittimi abbandonati o esposti all'abbandono), convertito in legge 6 dicembre 1928, n. 2838, promosso con ordinanza emessa il 14 marzo 1973 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Quari Luigi e Riva Angiola ed altri, iscritta al n. 265 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 205 dell'8 agosto 1973.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 1975 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un giudizio per "dichiarazione di maternità naturale" promosso da Quari Luigi contro Riva Angiola, Maria, Carlotta e Adele, il tribunale di Milano respingeva l'istanza formulata dall'attore intesa ad ottenere l'esibizione da parte del Brefotrofio di Como del fascicolo contenente la documentazione relativa alla sua nascita, colà avvenuta, sul rilievo che la pubblica Amministrazione non può essere costretta ad alcuna azione specifica che non sia espressamente prevista dalla legge.

Ravvisata tuttavia la necessità di chiedere al riguardo informazioni al Brefotrofio ai sensi dell'art. 213 cod. proc. civ. e ritenuto di non poter fare applicazione di detta norma in quanto l'art. 9, comma quarto, del r.d.l. 8 maggio 1927, n. 798, vieta "rigorosamente di rivelare l'esito delle indagini compiute per accertare la maternità degli illegittimi" - comminando per i trasgressori le pene previste dal codice penale per la violazione del segreto di ufficio e del segreto professionale - il tribunale ha sollevato questione di legittimità costituzionale della indicata norma in riferimento all'art. 30, comma terzo, Cost. che "assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima". Il contrasto appare ancor più evidente ove si consideri che il comma quarto dell'art. 30 Cost. pone una riserva di legge in tema di ricerca della paternità e non stabilisce, invece, limiti di sorta rispetto alla ricerca della maternità.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte le parti private non si sono costituite. É invece intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato che nelle proprie deduzioni depositate in cancelleria ha concluso per l'infondatezza della proposta questione. La norma impugnata realizza una migliore tutela giuridica e sociale dei figli nati fuori del matrimonio giacché con le indagini rivolte ad individuare la madre é possibile accertare le condizioni sanitarie di quest'ultima, si può procurare l'allattamento materno al neonato e indurre la madre stessa a riconoscerlo. Qualora non fosse imposto l'assoluto divieto di rivelare l'esito di queste indagini lo scopo cui tende la norma ben di rado sarebbe raggiunto e la mancata individuazione della madre si ritorcerebbe in grave pregiudizio per il figlio. Il divieto sancito dalla disposizione, rendendo più agevole l'individuazione, si inquadra quindi nello spirito dei precetti contenuti negli art. 30, 31 e 32 della Costituzione.

Il rilievo del tribunale secondo cui l'art. 30, comma quarto, Cost., pone limiti alla ricerca della paternità e non della maternità, non avrebbe alcun pregio in quanto, ad avviso della Avvocatura, i limiti cui fa riferimento la norma costituzionale sono quelli di carattere sostanziale indicati dall'art. 269 cod. civ., mentre la maternità naturale é dimostrata "provando l'identità di colui che si pretende essere il figlio e colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume esserne la madre (art. 272, comma secondo, cod. civ.).

Una volta, però, precisato il limite più ristretto per la dichiarazione della paternità rispetto a quella di maternità sul piano sostanziale, le due azioni soggiacciono alle stesse regole sul piano probatorio tra le quali vi é anche quella del divieto di rivelare atti o fatti che sono coperti dal segreto di ufficio o professionale.

Considerato in diritto

1. - La Corte é chiamata a decidere se sia in contrasto con l'art. 30, comma terzo, della Costituzione, che assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima, la disposizione contenuta nell'art. 9, comma quarto, del r.d.l. 8 maggio 1927, n. 798, sull'"Ordinamento del servizio di assistenza dei fanciulli illegittimi abbandonati o esposti all'abbandono", la quale, con l'enunciare il divieto penalmente sanzionato a carico della direzione sanitaria dell'istituto ricoverante di rivelare l'esito delle indagini compiute per accertare la maternità degli illegittimi, porrebbe un limite, secondo l'ordinanza di rimessione, alla ricerca e alla dichiarazione giudiziale della maternità.

2. - La questione non é fondata.

La lettera e il contenuto della norma denunciata indicano chiaramente che lo scopo della stessa é unicamente rivolto alla tutela della filiazione naturale.

Dispone, infatti, l'art. 9 che quando venga richiesta la pubblica assistenza per un illegittimo abbandonato o esposto all'abbandono la direzione dell'istituto che provvede al ricovero "deve compiere riservate indagini per accertarne la madre, allo scopo di constatare le condizioni sanitarie di quest'ultima, di procurare all'infante l'allattamento materno e di indurre la madre stessa a riconoscere il figlio". In altre disposizioni dello stesso articolo il legislatore ha altresì stabilito che la levatrice ed il medico, che hanno prestato assistenza durante il parto alla madre dell'infante, sono tenuti a rispondere alle domande delle persone incaricate delle indagini"; che, infine, "é rigorosamente vietato di rivelare l'esito delle indagini compiute per accertare la maternità degli illegittimi" sotto comminatoria della applicazione, ove ne ricorrano gli estremi, delle sanzioni stabilite per i reati di rivelazione dei segreti di ufficio e del segreto professionale - art. 326 e 622 del codice penale vigente.

Ora é nel contesto di questa normativa che va inquadrata la disposizione impugnata per coglierne l'esatta portata e il preciso significato. Si comprenderà in tal modo che essa risulta dettata in relazione ad un fine ben individuabile: agevolare la ricerca della maternità dei fanciulli illegittimi abbandonati per assicurar loro una migliore assistenza. Ed é ovvio che questo fine può essere più agevolmente conseguito attribuendo il carattere della massima riservatezza alle indagini svolte dall'istituto ricoverante.

La sanzione penale posta a garanzia del divieto di rivelare l'esito di dette indagini assolve la funzione di stimolo ed esortazione per la madre che abbia partorito un illegittimo ad avvicinare la sua creatura. La sicurezza che la sua identificazione viene effettuata unicamente allo scopo di giovare al figlio, che l'esito delle indagini resterà rigorosamente segreto nei confronti di tutti e senza eccezione alcuna e non potrà essere utilizzato per diversi scopi, consentirà in modo più efficace la realizzazione della precipua finalità cui é indirizzata la norma in esame che consiste nell'assicurare all'infante, specie nel momento più delicato del primo periodo della sua vita, quella tutela e quell'assistenza di cui ha maggior bisogno e che soltanto la presenza attiva e l'affetto materno possono dare in idonea misura.

E poiché queste finalità, al cui perseguimento concorre la norma censurata, sicuramente rientrano nella tutela sociale che l'art. 30, comma terzo, Cost. garantisce ai figli nati fuori del matrimonio, deve concludersi per l'infondatezza della proposta questione di legittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma quarto, del r.d.l. 8 maggio 1927, n. 798, sull'"Ordinamento del servizio di assistenza dei fanciulli illegittimi abbandonati o esposti all'abbandono" sollevata con ordinanza 14 marzo 1973 dal tribunale di Milano in riferimento all'art. 30, comma terzo, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO -  Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 15 luglio 1975.