Sentenza n. 195 del 1975
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SENTENZA N. 195

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 70, 101 e 103 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), e dell'art. 207 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette), promosso con ordinanza emessa il 21 ottobre 1972 dal Presidente del tribunale di Avezzano, quale giudice delegato al fallimento della società Massimo Del Fante ed altri, sul ricorso di Mirti Veturia, iscritta al n. 90 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 126 del 16 maggio 1973.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Mirti Veturia;

udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 1975 il Giudice relatore Michele Rossano;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ricorso 20 ottobre 1972 Veturia Mirti, vedova di Massimo Del Fante - premesso che, su istanza dell'Esattoria comunale di Guidonia, il 30 dicembre 1968 era stato eseguito nei confronti del marito, Massimo Del Fante, pignoramento di beni mobili di esclusiva proprietà di essa ricorrente; che gli stessi beni erano stati presi in consegna dal curatore del fallimento della società in nome collettivo Massimo Del Fante e figli, nonché dei soci in proprio - propose domanda di separazione dei suddetti beni mobili, sollevando le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 70, 101 e 103 legge fallimentare, in riferimento agli artt.3,24, 29, secondo comma, Costituzione.

Con ordinanza 21 ottobre 1972 il presidente del tribunale di Avezzano - in sostituzione del giudice delegato trasferito ad altra sede - ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 101 e 103 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; dell'art. 207 "e norme connesse" t.u. leggi sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645; e dell'art. 70 citata legge fallimentare, in riferimento agli artt. 2, 24 e 29, secondo comma, Costituzione.

Ha ritenuto le suddette questioni rilevanti in quella fase preliminare del procedimento proprio in relazione alla regolare costituzione del rapporto processuale. Ha rilevato che - a norma dell'art. 101 legge fallimentare (richiamato dall'art. 103 stessa legge) - il giudice delegato fissa una udienza di comparizione davanti a sé con ordine di notifica del ricorso e del decreto al solo curatore del fallimento. Ha osservato che la ricorrente aveva giustamente sostenuto che al giudizio dovevano partecipare anche l'esattore comunale di Guidonia, che aveva intrapreso l'esecuzione fiscale contro il debitore fallito, Massimo Del Fante, nonché gli eredi dello stesso fallito personalmente e non a mezzo del curatore; e che nel giudizio si doveva risolvere la questione della legittimità dell'acquisizione, da parte del fisco, dei beni della moglie del debitore fallito.

Ha affermato che le questioni sollevate non apparivano manifestamente infondate e, anzi, sembravano confortate da recenti indirizzi dottrinari e giurisprudenziali; e che il diritto di difesa del fallito non era assicurato dalla norma citata.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 16 maggio 1973.

Nel giudizio davanti a questa Corte si é costituita Mirti Veturia ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, con deduzioni depositate il 12 febbraio 1973, ha chiesto che le questioni di legittimità costituzionale vengano dichiarate inammissibili o infondate.

Ha affermato che le questioni non possono ritenersi ammissibili perché sono state sollevate dal giudice delegato al fallimento di Massimo Del Fante, che non ha alcun potere decisorio in ordine alla legittimità ed integrità del contraddittorio nel procedimento speciale di cui agli artt. 101 e 103 legge fallimentare, dato che tale potere spetta esclusivamente al Collegio.

Ha, poi, sostenuto, che, comunque, le questioni sono manifestamente infondate poiché le norme degli artt. 101 e 103 legge fallimentare non violano i principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto esse non solo non contengono prescrizioni di carattere discriminatorio, ma assicurano a tutti gli interessati (richiedente, curatore e creditori) la possibilità di tutelare le proprie ragioni sia mediante il diretto intervento nella udienza fissata dal giudice, sia attraverso la successiva opposizione contro l'eventuale provvedimento lesivo dei loro diritti.

Ha dedotto, quanto all'asserita illegittimità della c.d. presunzione muciana, prevista dall'art. 70 legge fallimentare, che tale norma é applicabile al "coniuge del fallito" (cioé tanto alla moglie, quanto al marito) e non limita il diritto di difesa del coniuge interessato, dato che a quest'ultimo é riconosciuta la facoltà di provare che l'acquisto dei beni, nel quinquennio anteriore al fallimento, non é avvenuto con danaro del fallito.

Ha osservato, infine, che l'art. 207 del t.u. leggi sulle imposte dirette, approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, concerne la disciplina della opposizione di terzi nella esecuzione esattoriale e non contiene prescrizioni lesive di interessi costituzionalmente protetti.

Mirti Veturia, nella memoria depositata il 3 aprile 1975, ha replicato che il giudice delegato al fallimento esplica, nel corso della procedura prevista degli artt. 101 e 103 legge fallimentare, attività giurisdizionale con carattere decisorio e sono, quindi, ammissibili le prospettate questioni di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1. - L'Avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale per non essere il giudice delegato al fallimento titolare di un potere decisorio giurisdizionale nella fase preliminare del procedimento previsto dall'art. 101, secondo e terzo comma, legge fallimentare, al quale rinvia l'art. 103 della stessa legge.

L'eccezione non é fondata.

La Corte ritiene che non é dubbia la legittimazione del giudice delegato a sollevare le questioni di legittimità costituzionale delle norme che concernono le domande di rivendicazione, restituzione e separazione dei beni mobili pignorati, posseduti dal fallito. Per tali domande l'art. 103 legge fallimentare dispone che sono applicabili gli art. 93 e 102; e che, se le domande sono proposte tardivamente a norma dell'art. 101, il giudice delegato può sospendere la vendita delle cose rivendicate, chieste in restituzione, con cauzione o senza. Posto che gli indicati provvedimenti del giudice delegato concernono diritti soggettivi specificamente considerati dall'art. 103 con riguardo alla proponibilità dell'azione nel fallimento, deve ad essi riconoscersi la natura e l'efficacia di provvedimenti decisori impugnabili davanti al tribunale nell'osservanza della disciplina dei diritti di difesa e dell'art. 24 Costituzione.

2. - La prima questione, concernente l'illegittimità costituzionale degli artt. 101 e 103 legge fallimentare in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., non é fondata.

L'ordinanza ha rilevato che, per la regolare costituzione del contraddittorio ai fini della pronuncia sulla domanda di rivendicazione, appariva necessaria la partecipazione al giudizio di tutte le parti e, quindi, sembrava fondato l'assunto della ricorrente, secondo cui il decreto del giudice delegato e il ricorso avrebbero dovuto essere notificati anche agli eredi del fallito e all'esattore comunale, che aveva iniziato l'esecuzione fiscale, e non al solo curatore del fallimento a termini dell'art. 101 legge fallimentare, richiamato dal successivo art. 103; ed ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tali articoli per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

In contrario va considerato che l'attrazione nel fallimento delle azioni di rivendicazione, restituzione e separazione di cose mobili esclude l'applicazione delle regole di un normale processo di cognizione ed importa che debba osservarsi la disciplina della procedura stabilita dalla legge sul fallimento, la quale, in quanto diretta alla tutela degli interessi generali, provvede in materia di diritti soggettivi anche con riguardo alle esigenze della procedura concorsuale nel rispetto dei principi garantiti dalla Costituzione. E, posto che, in coerenza con la disciplina concorsuale, l'art. 43, primo comma, legge sul fallimento, stabilisce che il curatore ha la legittimazione processuale nelle controversie, pure in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento, si deve ritenere che tale legittimazione esclusiva egli abbia anche per le azioni di rivendica, restituzione e separazione dei beni mobili posseduti dal fallito. In considerazione degli effetti, che, secondo il diritto comune, si collegano al possesso di tali beni, anche dette azioni danno luogo a rapporti di diritto patrimoniale, e la diversa natura dei rapporti e diritti, ai quali é applicabile la procedura prevista dagli artt. 93 e 102 legge sul fallimento, trova fondamento nel carattere unitario del processo collettivo e fonte specifica nell'art. 42, che priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data della dichiarazione di fallimento. Sarebbe, quindi, arbitrario ammettere in singoli giudizi l'intervento del fallito. L'art. 103, quarto comma, che, nei casi di domande di rivendica, di restituzione o di separazione di beni mobili, proposte tardivamente a norma dell'art. 101, dispone che il giudice, prima di provvedere sulla domanda di restituzione o di separazione, deve sentire, se possibile, il fallito, ha riferimento ad un interesse tutelabile nei limiti della struttura del processo di fallimento; e, nel caso di morte del fallito, sussiste l'obbligo di sentire, se possibile, gli eredi, nei confronti dei quali l'art. 12 della stessa legge stabilisce che la procedura prosegue.

3. - Né si ravvisa la violazione, genericamente affermata, degli artt. 3 e 24 Cost. sotto il profilo della mancata previsione, nei citati artt. 101 e 103 legge fallimentare, del contraddittorio nei confronti dell'esattore comunale.

I rapporti tra la disciplina della procedura fallimentare e l'espropriazione esattoriale sono regolati dall'art. 206 t.u. delle leggi sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, secondo cui "l'esattore può procedere all'espropriazione anche quando il debitore sia dichiarato fallito ovvero sia sottoposto a liquidazione coatta amministrativa. Tuttavia l'esercizio dell'azione esecutiva può essere sospeso dall'Intendente di finanza su domanda rispettivamente del curatore o del commissario liquidatore. La domanda deve essere vidimata dal giudice delegato ovvero, nei casi di liquidazione coatta amministrativa, dall'autorità che vigila sulla liquidazione e deve contenere l'impegno a versare in congruo termine l'intero ammontare del suo credito". L'autonomia di tale procedimento esclude ovviamente la partecipazione dell'esattore al giudizio di rivendica nella procedura fallimentare.

4. - Neppure sono fondate le due questioni sollevate in riferimento agli artt. 2,24 e 29, comma secondo, Cost.:

a) quella di illegittimità dell'art. 207 e "norme connesse" del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, t.u. delle leggi sulle imposte dirette;

b) quella di illegittimità dell'art. 70, legge fallimentare. L'ordinanza non precisa quale delle norme indicate nelle lettere del citato art. 207 d.P.R. n. 645 del 1958 sia censurata. Dato il riferimento all'art. 70 legge fallimentare può ritenersi che sia denunciata la norma della lett. a) che concerne l'opposizione del coniuge del contribuente, dei suoi parenti ed affini o dei coobbligati. E il generico richiamo alle norme connesse può riguardare l'art. 206, innanzi riportato, su i rapporti dell'espropriazione esattoriale con le procedure concorsuali e l'art. 56 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sulla riscossione delle imposte dirette in tema di privilegi, in relazione ai quali sia stata iniziata la esecuzione da parte dell'esattore.

Ma questa Corte ha avuto già occasione di affermare (sentenza 13 marzo 1974, n. 67) che i dubbi di costituzionalità degli artt. 206,208,209,227, d.P.R. n. 645 del 1958, in riferimento agli artt. 3, comma primo, 24, 25, comma primo, e 102, comma primo, Cost., sono palesemente non fondati, in quanto l'esecuzione esattoriale é regolata come un procedimento nel quale si manifesta energicamente il principio della esecutorietà dell'atto amministrativo per assicurare la sollecita riscossione delle imposte, nel preminente interesse costituzionale di garantire il regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato, interesse che giustifica la prevalenza della particolare procedura esecutiva esattoriale anche rispetto a quella concorsuale fallimentare e a quella stabilita a favore degli enti che esercitano il credito fondiario. Tali considerazioni valgono anche per quanto concerne l'art. 207, lett. b, citato (sentenza di questa Corte 26 giugno 1969, n. 107), nonché per gli artt. 2, 24 e 29 Cost., che genericamente si assumono violati.

5. - La questione sub b) é del pari non fondata.

La presunzione affermata dall'art 70 legge fallimentare non viola l'art. 3, primo comma, Cost., perché concerne non la sola moglie, ma "il coniuge del fallito"; non viola l'art. 24 Cost., perché ha riferimento ad un acquisto limitato al quinquennio anteriore alla dichiarazione di fallimento ed ammette la prova contraria; e non viola l'art. 29 Cost., perché non si ravvisa alcun contrasto con l'eguaglianza morale o giuridica dei coniugi o incidenza su "i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal giudice delegato del tribunale di Avezzano con ordinanza 21 ottobre 1972:

a) degli artt. 101 e 103 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

b) dell'art. 207 del testo unico delle leggi sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645; e dell'art. 70 citata legge fallimentare, in riferimento agli articoli 2, 24 e 29, secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 10 luglio 1975.