Sentenza n. 186 del 1975
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SENTENZA N. 186

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 140, 141 e 143 del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 (testo unico delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 giugno 1973 dal pretore di Ferrara nel procedimento penale a carico di Chiaravalle A1berto, iscritta al n. 325 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 249 del 26 settembre 1973;

2) ordinanze emesse il 15 ottobre e il 16 aprile 1973 dal pretore di Donnaz nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Perronet Corinno Mario e di Simplicio Giovanna, iscritte ai nn. 20 e 21 del registro ordinanze 1974 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 69 del 13 marzo 1974.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 1975 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Il pretore di Ferrara, con ordinanza emessa il 19 giugno 1973 nel procedimento penale a carico di Chiaravalle Alberto, imputato della contravvenzione di cui all'art. 80 del testo unico 15 giugno 1959, n. 393, per guida di autoveicolo senza patente, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 140 del predetto testo unico, nella parte in cui, in asserito contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., non prevede che il soggetto cui é stata contestata una contravvenzione del codice della strada (non depenalizzata a norma della legge 3 maggio 1967, n. 317) sia assistito, nelle dichiarazioni che ha facoltà di inserire nel relativo processo verbale, dalle garanzie difensive riconosciute invece ad ogni imputato ai sensi degli artt. 390: 304 bis, ter e quater, e 78, terzo comma, del codice di procedura penale.

Il giudice a quo, a sostegno della censura, osserva che le dichiarazioni del contravventore possono assumere un rilievo sostanziale nel successivo processo penale e, anche se effettuate spontaneamente, andrebbero equiparate a quelle rese dall'imputato avanti all'autorità inquirente. La lamentata totale inosservanza delle garanzie difensive previste dai citati articoli del codice di procedura penale si porrebbe, quindi, in contrasto, oltre che con la garanzia del diritto di difesa sancita dall'art. 24 Cost., anche con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., in quanto si verrebbe a realizzare una ingiustificata discriminazione tra i soggetti imputati di contravvenzione al codice della strada ed i soggetti imputati di contravvenzioni previste dal codice penale e dalle leggi speciali, i quali usufruiscono delle dette garanzie difensive sin dal momento in cui sono indiziati di reità.

L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 249 del 26 settembre 1973.

Nel giudizio avanti alla Corte costituzionale si é ritualmente costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha tempestivamente depositato le proprie deduzioni.

L'Avvocatura osserva che la facoltà di chiedere la verbalizzazione delle proprie dichiarazioni, spettante al presunto contravventore, parallelamente alla facoltà di rendere proprie dichiarazioni al magistrato inquirente, prevista dall'art. 250 c.p.p. in favore di chi abbia comunque notizia che é iniziato o sta per iniziarsi a suo carico un procedimento penale, si porrebbe come una disposizione a tutela dell'imputato, in quanto amplierebbe il contenuto del citato art. 250 c.p.p., tenuto anche conto che il verbalizzante dovrà limitarsi ad inserire tutte e soltanto le dichiarazioni stesse, non prevedendo la legge alcun potere di sua iniziativa al riguardo. Comunque, il problema dell'applicabilità delle invocate garanzie difensive alle dichiarazioni stesse costituirebbe, se mai, problema di interpretazione della legge e non di legittimità costituzionale. Invero, secondo l'Avvocatura, o si ritiene che l'esercizio della facoltà in esame costituisce rinuncia implicita al diritto di non rispondere, sancito dall'art. 78 c.p.p., nonché all'assistenza del difensore (per cui verrebbe meno il denunziato vizio della norma che la facoltà prevede) oppure si esclude che tale rinunzia implicita sia ipotizzabile, ed allora si dovrebbero senz'altro ritenere applicabili le disposizioni generali vigenti in materia di interrogatorio.

Con ordinanza emessa il 16 aprile 1973 nel procedimento penale a carico di Simplicio Giovanna, imputata della contravvenzione di cui all'art. 83, quinto comma, del t.u. 15 giugno 1959, n. 393, per avere condotto un autoveicolo munita di foglio rosa, ma senza avere a fianco l'istruttore, il pretore di Donnaz ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 143 del t.u. predetto nella parte in cui dispone l'improcedibilità dell'azione penale per mancata contestazione del fatto e mancata notifica del verbale di contravvenzione nel termine prestabilito.

Nell'ordinanza il giudice a quo osserva che la improcedibilità sancita dalla norma impugnata per i soli reati previsti dal codice stradale, porrebbe una discriminazione a danno di chi commette un qualsiasi altro reato previsto dal codice penale o da altre leggi speciali, senza che di tale discriminazione si possa trovare una ragionevole giustificazione nella natura dei reati contemplata nel codice stradale, in relazione ai quali potrebbe concepirsi la necessità della notifica solo ai limitati fini di permettere la conciliazione in via amministrativa delle violazioni non depenalizzate a norma della legge 3 maggio 1967, n. 517.

L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 69 del 13 marzo 1974.

L'Avvocatura, costituita anche in questa causa in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio, osserva, circa la sanzione di improcedibilità in esame, che la notifica del verbale avrebbe lo scopo sia di consentire l'oblazione, sia, ed essenzialmente, di consentire la tempestiva difesa del contravventore mediante la sollecita comunicazione degli estremi di fatto e di diritto della accertata violazione, onde metterlo in grado di acquisire tutti i possibili mezzi di prova a sua discolpa. Il che sarebbe reso difficile da un eccessivo distanziarsi nel tempo, data la particolare natura dei reati, che vengono spesso rilevati quando il veicolo é in movimento, a volte in luoghi fuori della residenza del contravventore ed in relazione anche a regolamenti locali aventi spesso carattere temporaneo e destinati ad eventuali successive modifiche.

Il codice della strada, quindi, prevederebbe situazioni del tutto diverse da quelle previste dalle altre leggi penali, e ciò escluderebbe la lamentata violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Con ordinanza 15 ottobre 1973 emessa nel procedimento penale a carico di Perronet Corinno Mario, imputato della contravvenzione di cui all'art. 132 del testo unico 15 giugno 1959, n. 393, per guida di autoveicolo in stato di ebbrezza, lo stesso pretore di Donnaz ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 140, 141 e 143 del citato t.u., nelle parti in cui, sistematicamente considerati, pervengono a comminare l'improcedibilità dell'azione penale per la mancata notifica del verbale di contravvenzione nei termini prestabiliti, svolgendo motivi sostanzialmente analoghi a quelli esposti nella precedente ordinanza.

In particolare, il giudice a quo esclude che a giustificare la censurata sanzione di improcedibilità possano valere quei momenti di opportunità o convenienza inerenti alla particolare natura dei reati che hanno suggerito la previsione delle altre condizioni di procedibilità poste dall'ordinamento, cioé la querela, l'istanza, la richiesta e l'autorizzazione a procedere.

Non potrebbe valere al riguardo la ratio che comunemente si attribuisce alla norma in esame, cioé permettere l'immediato contatto con l'imputato in modo da consentirgli di preparare le proprie difese e di valutare l'opportunità dell'oblazione. La prima esigenza, invero, sarebbe valida anche per le altre forme comuni di reato, per cui non sarebbe giustificabile lo speciale trattamento adottato per quelli in materia di circolazione stradale, mentre l'opportunità di consentire l'oblazione potrebbe valere nei confronti dei reati per cui questa é ammessa, ma non avrebbe rilievo nei numerosi altri casi.

Secondo l'ordinanza, inoltre, la denunziata disparità di trattamento apparirebbe ancora più evidente nel caso specifico in esame avanti al giudice penale perché l'ipotesi di guida in stato di ebbrezza (art. 132 citato d.P.R. n. 393 del 1959) avrebbe un trattamento più favorevole di quello previsto per l'analoga, ma meno grave, contravvenzione prevista dall'art. 688 c.p. (ubriachezza).

L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 69 del 13 marzo 1974.

Anche in questa causa si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

L'Avvocatura, negli scritti difensivi, svolge argomenti analoghi a quelli già esposti nella precedente causa per contestare la fondatezza della questione e, in particolare, nega che possa ravvisarsi una violazione dell'art. 3 Cost. nella differente disciplina processuale prevista per la contravvenzione per guida in stato di ebbrezza e per quella prevista dall'art. 688 c.p., non potendosi istituire un rigido parallelismo fra le due fattispecie, e fermo restando comunque che rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire diverse condizioni per la procedibilità dell'azione penale, col solo limite della razionalità dei relativi criteri, il che sarebbe senz'altro avvenuto nella specie.

Considerato in diritto

1. - Le tre ordinanze di cui in narrativa concernono questioni connesse, circa le disposizioni di legge che regolano la contestazione delle contravvenzioni in tema di circolazione stradale e la notifica dei relativi processi verbali. Pertanto, si rende opportuna la riunione delle ordinanze, in modo da pervenire ad unico giudizio.

2. - Con le ordinanze sopra menzionate, sono stati sottoposti alla Corte due ordini di questioni. Il primo investe il regime delle garanzie difensive inerenti alle dichiarazioni che il presunto contravventore alle disposizioni del codice stradale può far inserire nel verbale redatto in sua presenza a norma dell'art. 140; il secondo, la improcedibilità dell'azione penale in materia di contravvenzioni stradali, prevista dall'art. 143 dello stesso codice, per il caso di intempestività della notifica del verbale, da effettuare a norma dello stesso art. 143, qualora non si sia potuto far luogo alla immediata contestazione.

3. - La prima questione si basa sulla dedotta equiparazione delle dichiarazioni (che il presunto contravventore é autorizzato a far inserire nel verbale da redigersi dai funzionari, ufficiali ed agenti, espressamente autorizzati all'accertamento) all'interrogatorio che l'imputato rende davanti alla autorità inquirente, e sulla conseguente violazione degli articoli 3 e 24 Cost. per l'omessa osservanza delle garanzie difensive che competono all'imputato a norma degli artt. 390, 340 bis, ter, quater e 78, terzo comma, c.p.p., e che invece non sarebbero estese al caso di specie, in quanto non previste né richiamate dalla norma impugnata, che si limita a consentire la verbalizzazione delle dichiarazioni suddette.

Ma detta equiparazione non sussiste, dappoiché, come questa Corte ha ritenuto con sentenza n. 149 del 1967, la contestazione della contravvenzione in esame e la compilazione del relativo processo verbale, con l'inserzione delle eventuali dichiarazioni del contravventore, appartengono ad una fase antecedente l'inizio e l'istruttoria del procedimento penale e l'assunzione, nel procedimento stesso, della qualità d'imputato, secondo l'art. 78 del codice di procedura penale. Come prescritto nel citato art. 140, il processo verbale deve essere redatto in forma "sommaria" e le dichiarazioni del presunto contravventore vi sono inserite soltanto a richiesta dell'interessato stesso, in difetto di qualsiasi potere di iniziativa del verbalizzante.

É da ritenere che questo sistema differisca, sia sotto l'aspetto processuale che sotto l'aspetto sostanziale, dall'interrogatorio dell'imputato che, come questa Corte ha già affermato (sentenza n. 190 del 1970), costituisce, invece, mezzo di prova e di difesa, che viene posto in essere in attuazione degli artt. 367, secondo comma, e 368 c.p.p., secondo cui il giudice vi procede ex officio invitando l'imputato a discolparsi, ed é tenuto ad investigare su tutti i fatti e su tutte le circostanze che l'imputato stesso ha esposto.

Le dichiarazioni in esame, pertanto, non rivestono quella tipicità di atto istruttorio, sia pure sommario, che é stato posto dalla giurisprudenza di questa Corte come criterio di identificazione degli atti, cui devono estendersi le garanzie difensive, in omaggio all'art. 24 Cost. (sentenza n. 86 del 1968), e la lamentata lacuna della norma impugnata non contrasta quindi con gli invocati precetti costituzionali. Del pari, la peculiarità del sistema, cui sono informate le disposizioni in esame, rende non adeguato al caso il richiamo, contenuto nell'ordinanza 19 giugno 1973, ai criteri, delineati da questa Corte con sentenza n. 149 del 1969, circa la linea di demarcazione tra indagini generiche ed atti istruttori.

4. - Per quanto riguarda il secondo punto in questione, é da rilevare che la censura si fonda su una presunta omogeneità della situazione giuridica dei contravventori al codice stradale e di tutti gli altri contravventori, al codice penale od alle leggi penali speciali, e sulla conseguente, ingiustificabile discriminazione che sarebbe posta in essere dalla norma impugnata con la previsione, solo a favore dei contravventori al codice stradale, della predetta condizione di procedibilità. Va, tuttavia, considerato che la condizione in esame é informata alla esigenza, pacificamente riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza, di apprestare a favore dei contravventori al codice stradale speciali garanzie, in vista della contestata trasgressione, la quale contestazione richiede che sia consentita al presunto contravventore la possibilità di fissare tempestivamente gli elementi della difesa, normalmente labili, in quanto collegati ad eventi che si iscrivono nella dinamica variabile e fluida della utenza stradale e che gli siano, quindi, forniti, entro un ragionevole lasso di tempo, i dati fondamentali necessari alla identificazione della infrazione addebitatagli, dati che, appunto, il verbale notificato deve contenere.

Ed é altresì da ricordare che il termine di notificazione originariamente previsto dalla norma impugnata in trenta giorni dall'accertamento dell'infrazione, é stato attualmente portato a novanta giorni, per effetto dell'art. 12 della legge 14 febbraio 1974, n. 62. Ciò rende ancor meno valide le argomentazioni addotte nell'ordinanza a sostegno della censura, essendo ovvio che la proroga del termine attenua, sia pure indirettamente, la portata della differenziazione di disciplina assunta dal giudice a quo a base della censura.

L'ordinanza del pretore di Donnaz del 15 ottobre 1973 prospetta un ulteriore aspetto di illegittimità dell'art. 143 del codice stradale, per quanto riguarda la presunta disparità di trattamento che sarebbe ivi da ravvisare, in funzione del sistema preclusivo dell'azione penale come sopra indicato, con particolare riferimento alla differenza di disciplina che verrebbe ad istituirsi fra ipotesi di reato, quali sarebbero la contravvenzione punita dall'art. 132 del codice stradale per chi guida in stato di ebbrezza (che ricade sotto la sanzione di improcedibilità prevista dalla norma impugnata) a differenza della contravvenzione per ubriachezza manifesta, prevista dall'art. 688 del codice penale.

Ma, anche a questo riguardo, é da osservare che non sussiste la pretesa identità delle situazioni giuridiche diversamente regolate dal legislatore.

É, invero, pacifico in dottrina e in giurisprudenza che gli elementi che concorrono a configurare le contravvenzioni predette, differiscono sostanzialmente, in quanto la violazione dell'art. 132 del codice stradale é prevista a tutela del bene giuridico della sicurezza della circolazione e sussiste appena si verifichi uno stato di ebbrezza, anche non alcolica, che sia comunque tale da incidere sulla prontezza dei riflessi indispensabile per la guida, mentre la contravvenzione di cui all'art. 688 c.p. pur essendo della stessa indole, é peraltro intesa a tutelare il diverso bene della sicurezza sociale contro la piaga dell'alcolismo, e si concreta in un diverso stato del soggetto, che deve essere necessariamente colto in luogo pubblico o aperto al pubblico in stato di manifesta ebrietà, cioé di anormalità psichica percepibile da chiunque e rilevabile ictu oculi.

Queste differenze sostanziali, che hanno fra l'altro condotto la giurisprudenza ordinaria ad ammettere il concorso formale dei due reati in esame, danno sufficiente ragione della differenziazione della disciplina adottata dal legislatore, il quale, ritenendo di estendere alla contravvenzione dell'art. 132 del codice stradale la efficacia della condizione di procedibilità prevista dall'art. 143 dello stesso codice, ha posto in essere una disciplina differenziata rispetto alla diversa contravvenzione di cui all'art. 688 c.p. seguendo un razionale criterio di politica legislativa penale, che rientra come tale nella sfera della sua discrezionalità e va pertanto esente da censura in relazione all'art. 3 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 140, 141 e 143 del decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393 (testo unico delle norme sulla circolazione stradale), sollevate con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria l'8 luglio 1975.