Sentenza n. 163 del 1975
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SENTENZA N. 163

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 573 del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 22 dicembre 1972 dal pretore di Catania nel procedimento penale a carico di Pulvirenti Gesualdo, iscritta al n. 134 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 140 del 30 maggio 1973;

2) ordinanza emessa il 9 giugno 1973 dal pretore di Gela nel procedimento penale a carico di La Torre Silvio, iscritta al n. 333 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 249 del 26 settembre 1973.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 1975 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - In un procedimento penale a carico di Gesualdo Pulvirenti, imputato del reato di sottrazione consensuale di minorenne con l'aggravante di cui al secondo comma dell'articolo 573 del codice penale per aver commesso il fatto a fini di libidine, il pretore di Catania, in accoglimento di eccezione della difesa, con ordinanza 22 dicembre 1972, ritenutane la rilevanza in causa e la non manifesta infondatezza, ha sollevato questione di legittimità - in riferimento agli artt. 2, 3 e 13 della Costituzione - dell'art. 573 citato "per la parte in cui consente, secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale, di punire la sottrazione di minore commessa a fine di libidine, anche nelle ipotesi in cui il minore stesso goda di un ampio margine di libertà per motivi di lavoro, di studio o di svago".

2. - La costituzionalità della norma penale indicata é stata posta in dubbio anche dal pretore di Gela (con ordinanza 9 giugno 1973 emessa nel procedimento penale a carico di Silvio La Torre) sotto un ulteriore (e diverso) profilo di violazione del principio di uguaglianza, per la parte in cui la norma, in particolare, prevede la punibilità del soggetto agente anche nella ipotesi che "sia quest'ultimo che la persona sottratta con il di lei consenso siano entrambi di età compresa fra i 18 ed i 21 anni".

3. - É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri (nel giudizio relativo all'ordinanza del pretore di Catania), deducendo l'infondatezza della sollevata questione.

Considerato in diritto

1. - Le due ordinanze innanzi indicate, in quanto involgono parallele questioni di legittimità della medesima norma, possono essere riunite per unica decisione.

2. - Con la prima ordinanza di rimessione é prospettato, come in narrativa detto, il contrasto con gli artt. 2, 3 e 13 della Costituzione, dell'art. 573 del codice penale "per la parte in cui consente di punire la sottrazione consensuale del minore commessa a fine di libidine anche nelle ipotesi in cui il minore stesso goda di un ampio margine di libertà per motivi di lavoro, di studio o svago".

Ritiene, infatti, il giudice a quo - il quale muove dalla invalsa interpretazione giurisprudenziale della norma denunziata, secondo cui deve presumersi una volontà del genitore "limitativa della libertà del minore agli scopi per cui é concessa e quindi contraria al compimento degli atti sessuali" - che tale attribuita rilevanza al consenso del genitore leda, appunto, il diritto del minore alla propria libertà sessuale, quale garantito dagli artt. 2, 3 e 13 della Carta costituzionale.

3. - La questione é infondata.

Il riferimento alla "libertà sessuale" é, nella specie, fuor di luogo.

La norma denunziata - così come anche interpretata da dottrina e giurisprudenza - si colloca ed opera, infatti, su un piano diverso, tutelando la patria potestà del genitore (o l'autorità tutoria): la lesione della quale, appunto, si realizza attraverso l'impedimento o l'ostacolo frapposto all'esercizio del connesso potere- dovere di vigilanza e custodia sul minore.

A tal fine, la giurisprudenza é ferma nel ritenere - come elemento materiale del reato, idoneo a realizzare la lesione sopraddetta - l'abductio de loco in locum o la illegittima ritenzione del minore stesso.

In mancanza di tale elemento, coerentemente é stata esclusa la sussistenza del reato di sottrazione, pur in presenza di atti sessuali compiuti nei confronti del minore.

Per converso, ove rilevanza é stata riconosciuta alla mancanza di consenso del genitore in ordine al compimento di atti del tipo di questione, ciò é avvenuto al solo fine di desumerne, indirettamente, l'abductio sopra detta, in ipotesi in cui questa non poteva, evidentemente, essere rilevata con criterio meramente spaziale, trattandosi di minore cui era stato concesso un certo (anche ampio) margine di movimento per fini di studio, lavoro, etc.

Il che é logico corollario della (esatta) premessa che la sfera in cui si esercita la vigilanza paterna - e da cui conseguentemente non é lecito "sottrarre" il minore - non si esaurisce territorialmente negli ambienti in cui si attua una immediata e diretta relazione tra genitore e figlio, ma si estende a ricomprendere tutte quelle situazioni in cui il minore, pur godendo una certa libertà di movimento resta, comunque, soggetto alle direttive del genitore.

4. - Infondata é anche la seconda questione di legittimità dell'art. 573 cod. pen. citato, sollevata, dal pretore di Gela, con riferimento all'ipotesi peculiare che due soggetti di sesso diverso, entrambi minori, decidano di usare della libertà loro concessa "per compiere atti che non troverebbero consenzienti i loro genitori".

La violazione del precetto costituzionale dell'eguaglianza (art. 3), nella specie ipotizzata, é fatta, invero, discendere dalla premessa - per altro dubitativamente formulata - che sia, nell'ipotesi sopraddetta, senz'altro punibile l'uomo, per la presunta maggior debolezza della donna.

Trattasi, però, di premessa estranea alla lettera della norma e contraria alla corretta interpretazione della stessa: per cui, invece, é alla stregua dei concreti elementi emergenti dalle singole fattispecie che va, caso per caso, senza aprioristiche differenze di sesso, individuato, ove entrambi i soggetti siano minori, quale dei due debba considerarsi colpevole della sottrazione nei confronti dell'altro.

La dimostrata erroneità nella premessa sopraddetta travolge, conseguentemente, la questione di costituzionalità che su di essa si fonda.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 573 del codice penale sollevata, dal pretore di Catania, in riferimento agli artt. 2, 3 e 13 della Costituzione e, dal pretore di Gela, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe indicate.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 26 giugno 1975.