Sentenza n.136 del 1975
 CONSULTA ONLINE 


SENTENZA N. 136

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 509 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 6 luglio 1973 dal pretore di Carini nel procedimento penale a carico di Puleo Caterina, iscritta al n. 390 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 294 del 14 novembre 1973.

Udito nella camera di consiglio del 6 marzo 1975 il Giudice relatore Guido Astuti.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento penale a carico di Puleo Caterina, imputata del reato di cui all'art. 509 del codice penale per non aver osservato gli obblighi derivanti dal contratto collettivo corporativo per il personale dipendente da esattorie e ricevitorie delle imposte dirette, stipulato il 31 dicembre 1939, il pretore di Carini, accogliendo l'eccezione proposta dal difensore della Puleo, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 509 del codice penale. Tale disposizione, nel configurare come delitto punito con la multa l'inosservanza degli obblighi derivanti dai contratti collettivi corporativi, sarebbe, ad avviso del giudice a quo, in contrasto con il principio di eguaglianza, atteso che per l'art. 8 della legge 14 luglio 1959, n. 741, l'inosservanza degli obblighi derivanti dai contratti collettivi postcorporativi costituisce solo una contravvenzione, punita con l'ammenda.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parte, né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e, pertanto, la causa viene decisa in camera di consiglio ai sensi dell'art. 9 delle norme integrative.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza di rimessione viene sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 509 del codice penale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione. Il pretore a quo, chiamato a giudicare persona imputata del reato previsto dall'art. 509, "in relazione agli artt. 25 e 32 del contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale dipendente da esattorie e ricevitorie delle imposte dirette, stipulato il 31 dicembre 1939", ha ravvisato una ingiustificata disparità di trattamento, raffrontando la disposizione dell'art. 509, che per l'inosservanza degli obblighi derivanti ai datori di lavoro dai contratti collettivi corporativi "configura un'ipotesi delittuosa punita con la multa", con la disposizione dell'art. 8 della legge 14 luglio 1959, n. 741, che per l'inosservanza degli obblighi derivanti dai contratti collettivi postcorporativi, resi efficaci erga omnes in base alla delega conferita al Governo con l'art. 1 della stessa legge, "configura semplicemente un reato di natura contravvenzionale, punito con l'ammenda".

Sarebbero così puniti con sanzioni diverse comportamenti illeciti sostanzialmente identici, in contrasto con il principio sancito dall'art. 3 della Costituzione, che "garantendo la parità dei cittadini di fronte alla legge, postula che ad uguale condotta antigiuridica consegua uguale trattamento".

2. - La questione non é fondata. Le due disposizioni poste a confronto dal giudice a quo costituiscono fattispecie normative diverse, anche se concernenti situazioni analoghe, e illeciti di carattere parzialmente identico. L'art. 509, primo comma, del codice penale (la cui legittimità, sotto altro profilo, in riferimento all'art. 39 della Costituzione, é già stata riconosciuta da questa Corte con sentenza n. 55 del 1957), sanziona la inosservanza, da parte del datore di lavoro o del lavoratore, delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro, con riferimento al sistema di fonti caratteristico già dell'ordinamento corporativo, soppresso con il decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369, il cui art. 43 ha mantenuto tuttavia in vigore per i rapporti collettivi e individuali, salvo le successive modifiche, "le norme contenute nei contratti collettivi, negli accordi economici, nelle sentenze della magistratura del lavoro e nelle ordinanze corporative". L'art. 8 della legge 14 luglio 1959, n. 741, punisce il datore di lavoro, inadempiente agli obblighi derivanti dalle norme di cui all'art. 1 della stessa legge (ossia dalle disposizioni degli accordi economici e contratti collettivi di diritto privato alle quali il Governo, con decreti delegati, abbia conferito efficacia erga omnes), con un'ammenda da lire 5.000 a lire 100.000 per ogni lavoratore cui si riferisce la violazione.

Si tratta dunque di norme penali diverse, concernenti la violazione di obblighi di diversa natura, con sanzioni diverse per contenuto e per modalità di applicazione, comminate le prime tanto ai datori di lavoro quanto ai lavoratori, le seconde invece ai soli datori di lavoro.

Anche considerandole limitatamente agli obblighi dipendenti dai contratti collettivi corporativi, formati anteriormente al 1944, e rispettivamente dai successivi contratti collettivi di diritto privato, oggetto delle norme transitorie della legge 14 luglio 1959, n. 741, non é possibile istituire un puntuale raffronto, né scorgere una disparità di trattamento, tale da determinare l'incostituzionalità dell'art. 509 del codice penale, per il fatto che il legislatore, nella sua discrezionalità di apprezzamento, con la legge n. 741 del 1959 abbia ritenuto di colpire con sanzione diversa l'inadempimento di obblighi derivanti da rapporti formalmente e sostanzialmente diversi, considerandolo come reato di natura contravvenzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 509 del codice penale, sollevata dal pretore di Carini con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria l'11 giugno 1975.