Sentenza n. 119 del 1975
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SENTENZA N. 119

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 334, primo e secondo comma, del codice penale, e dell'art. 521 del codice di procedura civile, promossi con ordinanze emesse il 1 dicembre 1972 e l'8 agosto 1973 dal pretore di Asti nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Pedone Anna e di Badella Giuseppa, iscritte ai nn.38 e 405 del registro ordinanze 1973 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 81 del 28 marzo 1973 e n. 314 del 5 dicembre 1973.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 1975 il Giudice relatore Leonetto Amadei;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Anna Pedone, tratta a giudizio per rispondere del delitto di cui all'art. 334, secondo comma, del codice penale, per aver sottratto cose di sua proprietà sottoposte a pignoramento e affidate alla sua custodia, il pretore di Asti ha sollevato d'ufficio, con ordinanza 1 dicembre 1972, la questione di legittimità costituzionale del precitato articolo nonché dell'art. 521 del codice di procedura civile nel suo collegamento con il precedente in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione.

Secondo il proponente il contrasto tra l'art. 334 del codice penale e l'art. 3 della Costituzione troverebbe risalto nel fatto che la norma, nella sua articolazione, prevede un trattamento più rigoroso per il proprietario del bene pignorato quando ne sia il custode, quantunque dal punto di vista soggettivo il comportamento dell'autore del fatto, sia esso proprietario custode (comma secondo) o proprietario non custode (terzo comma) si presenti identico. Tale disparità di trattamento si porrebbe in contrasto anche con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in forza del quale "le variazioni della pena, perché in concreto questa possa tendere alla rieducazione del reo, dovrebbero ragionevolmente rapportarsi a variazioni significative del comportamento incriminato, al che non corrisponderebbe la diversità di previsione riscontrabile nella norma impugnata".

A giustificare la distinta previsione non varrebbe neppure la constatazione della diversa qualificazione soggettiva che il debitore verrebbe ad assumere, una volta nominato custode, quella cioé di coadiutore dell'organo giudiziario. In sostanza, si determinerebbe solo una anomala sovrapposizione sulla stessa persona tra i diritti di soggetto privato del processo e le funzioni di organi i quali, direttamente o indirettamente, presiedono allo svolgimento del processo. Si delineerebbe, in conseguenza di ciò, anche la illegittimità dell'art. 334 del codice penale nel suo coordinamento con l'art. 521 c.p.c., in riferimento all'art. 24 della Costituzione, in quanto la mancanza nella norma procedurale civile di una espressa previsione dell'obbligo dell'ufficiale giudiziario di informare il debitore delle conseguenze penali a cui può andare incontro a seguito della sua nomina a custode, si risolverebbe in una violazione del diritto alla difesa. Infatti, non potrebbe non essere considerata di dubbia costituzionalità una norma che si "rivolge ad una parte del processo, chiamandola ad una partecipazione al suo svolgimento senza porla chiaramente nella condizione di valutare in concreto il contenuto della scelta e le conseguenze che possono derivarne".

Non vi é stata costituzione di parte; é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Per l'Avvocatura dello Stato la nomina del debitore e custode delle cose pignorate, con le modalità e le garanzie previste dall'art. 521 c.p.c., rappresenterebbe un atto di fiducia verso il debitore stesso sia da parte dell'organo giudiziario, sia da parte del creditore, del quale é richiesto espressamente il consenso alla nomina.

La premessa legittimerebbe senz'altro, come conseguenza logica, la previsione normativa di una sanzione penale più grave nei riguardi del debitore custode, in quanto, in questo caso, il fatto della sottrazione della cosa affidata in custodia costituirebbe "un tradimento" della fiducia accordata dall'organo giudiziario e dal debitore. L'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 334 codice penale si presenterebbe, pertanto, proprio per la premessa, obiettivamente e subiettivamente diversa da quella presa in considerazione nel terzo comma, per cui sarebbero ragionevoli e razionali le previste sanzioni differenziate.

La circostanza che l'art. 521 c.p.c. non preveda espressamente l'ammonizione del debitore nominato custode sulle responsabilità alle quali può andare incontro venendo meno alla fiducia in lui riposta, non lederebbe affatto il diritto alla difesa in quanto chi assume la custodia sarebbe tenuto alla conoscenza e al rispetto delle norme che regolano e disciplinano l'istituto, del resto universalmente note anche in pratica.

2. - Analoga questione é stata prospettata dallo stesso pretore, con ordinanza 8 agosto 1973, nel procedimento penale a carico di Giuseppa Badella, imputata del reato di cui al primo comma dell'art. 334 c.p., per avere sottratto, al fine di favorire il marito, proprietario del bene, un oggetto pignorato e affidato alla di lei custodia. La questione di illegittimità é stata proposta, in questo caso, in riferimento agli artt. 2,3 e 29 della Costituzione.

Non vi é stata costituzione di parte, né atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Devesi osservare, peraltro, che dagli atti relativi al fascicolo di esecuzione risulta essere la Badella Giuseppa debitrice e proprietaria, all'atto del pignoramento, del bene sottratto e affidatole in custodia e che il proponente sarebbe incorso, come egli stesso riconosce, in una errata configurazione giuridica del fatto (v. lettera 3 ottobre 1973 pretore di Asti).

Considerato in diritto

1. - Ambedue le ordinanze del pretore di Asti attengono all'art. 334 del codice penale e, pertanto, i relativi giudizi possono essere definiti con un'unica sentenza.

2. - Con la prima ordinanza (n. 38 del 1973) viene dedotta, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione, la illegittimità del secondo comma dell'art. 334 del codice penale in quanto, nel prevedere per il proprietario che sottragga, distrugga, disperda o deteriori una cosa sottoposta a sequestro o pignoramento e affidata alla sua custodia una pena diversa e più grave di quella prevista, invece, nel terzo comma dello stesso articolo per il proprietario non custode che si renda responsabile dello stesso fatto, si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza e con l'efficacia rieducativa della pena e, nella sua correlazione con l'art. 521 del codice di procedura civile, con il diritto alla difesa.

La questione non é fondata.

3. - Sul principio di eguaglianza questa Corte ha avuto occasione di pronunciarsi in più sentenze, stabilendo che esso é applicabile quando vi siano omogeneità di situazioni da regolare legislativamente e in modo unitario e coerente, non quando si tratti di situazioni che, pur derivando da basi comuni, differiscono tra loro per aspetti distintivi particolari.

La diversità delle sanzioni disposte nel secondo e nel terzo comma dell'art. 334 del codice penale trova valida giustificazione negli aspetti distintivi particolari esistenti tra l'una e l'altra fattispecie. Infatti, quantunque esse presentino una stessa identità del bene giuridicamente tutelato, tuttavia variano nel contenuto specifico della condotta criminosa in relazione, quanto alla prima fattispecie, al rapporto che, a seguito dell'affidamento in custodia, viene a determinarsi tra il proprietario e la cosa sottoposta a sequestro o pignoramento. Il fatto, pertanto, che il legislatore abbia inteso, nel suo legittimo apprezzamento discrezionale, dare un valore diverso, ai fini della pena, alle due ipotesi prese in considerazione, bene s'inquadra nei giusti limiti di quella ragionevolezza che esclude la illegittimità costituzionale ai sensi dell'art. 3 della Costituzione.

4. - Non sussiste neppure il denunciato contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione. Si sostiene, a riguardo, che, presentandosi identiche dal punto di vista soggettivo le ipotesi prese in considerazione nel secondo e terzo comma dell'art. 334 del codice penale, le "variazioni di pena, in quanto non ragionevolmente rapportate a variazioni significative, finirebbero con il riflettersi sulle finalità della pena stessa che deve tendere alla rieducazione del reo". Osserva la Corte che una volta riconosciuta la razionalità della scelta operata dal legislatore col differenziare, agli effetti della pena, le due condotte antigiuridiche, viene sottratta al controllo di legittimità l'indagine sulla efficacia rieducativa dell'una o dell'altra pena. D'altra parte l'efficacia rieducativa della pena non dipende tanto dalla sua durata, quanto soprattutto dal suo regime di esecuzione (sent. n. 22 del 1971).

5. - É da escludersi, altresì, la violazione dell'art. 24 della Costituzione.

La violazione del diritto di difesa si manifesterebbe per il fatto che l'art. 521 del codice di procedura civile, al quale l'ordinanza ricollega l'art. 334 del codice penale, non prevede l'avvertimento al debitore, da parte dell'ufficiale giudiziario procedente al sequestro o al pignoramento, delle conseguenze penali alle quali andrebbe incontro violando gli obblighi correlativi all'affidamento del bene alla sua custodia.

L'art. 24 della Costituzione si riferisce alla tutela dei diritti e, perciò, se ne può assumere la violazione solo quando il legislatore limiti ingiustificatamente la difesa processuale (v. sent. n. 57 del 1962).

Non può, invero, sostenersi che il diritto alla difesa rimanga compresso per il fatto che il legislatore, nel configurare come reato la violazione di obblighi giuridici inerenti ad un rapporto fiduciario e qualificante tra un soggetto e la pubblica amministrazione, non si sia dato carico di fare obbligo all'organo pubblico che dà vita al rapporto stesso di preavvisare l'altra parte delle conseguenze specificatamente previste dal codice penale.

A parte la circostanza che l'art. 24 si riferisce esclusivamente al giudizio e alle garanzie assicurate a chi deve agire in giudizio o comunque subire un giudizio, e non si estende a considerare i momenti anteriori dai quali esso trae origine (sent. n. 10 del 1963), é da osservarsi che, nel caso, si verte in tema di inescusabilità della ignoranza della legge penale (art. 5 del cod. pen.).

6. - Lo stesso pretore, con l'ordinanza n. 405 del 1973, deduce la illegittimità costituzionale del primo comma dell'articolo 334 del codice penale in quanto prevede per il coniuge nominato custode della cosa sottoposta a sequestro o pignoramento e che tale cosa sottragga, sopprima, distrugga, disperda o deteriori al solo scopo di favorire l'altro coniuge proprietario di essa, una pena diversa e più grave di quella prevista per il proprietario custode nel secondo comma dello stesso articolo, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione.

La Corte rileva come dagli atti del giudizio risulti che erroneamente all'imputata é stato contestato il reato di cui al primo comma dell'art. 334 del codice penale invece di quello di cui al secondo comma, essendo, la stessa, proprietaria del bene sottoposto a pignoramento e affidatole in custodia. L'errore é stato segnalato dallo stesso pretore dopo l'invio dell'ordinanza alla Corte (v. lettera del 3 ottobre 1973).

Ciò precisato, la Corte deve dichiarare inammissibile la questione per il venir meno dell'esistenza in concreto di un giudizio di merito in cui assuma rilevanza, nei limiti in cui é stata proposta, la questione stessa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 334 del codice penale, anche per la parte in cui esso viene ricollegato all'art. 521 del codice di procedura civile, sollevata con l'ordinanza n. 38 del 1973 dal pretore di Asti, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione;

b) dichiara inammissibile, nei limiti di cui alla motivazione, la questione di legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 334 del codice penale, sollevata dallo stesso pretore di Asti con l'ordinanza n. 405 del 1973, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 21 maggio 1975.