Sentenza n. 118 del 1975
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SENTENZA N. 118

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 319, primo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1972 dal giudice conciliatore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Chianese Luigi e l'Istituto Vittorio Alfieri di Firenze, iscritta al n. 45 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 81 del 28 marzo 1973.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 1975 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un giudizio di opposizione promosso da Luigi Chianese avverso un decreto ingiuntivo emesso in favore dell'Istituto Vittorio Alfieri di Firenze, il giudice conciliatore di quella città - a seguito dell'eccezione di nullità dell'atto di citazione avanzata dall'Istituto sul riflesso che l'opponente si sarebbe fatto rappresentare in giudizio da persona non abilitata ad assisterlo dinanzi a quel giudice - ha posto in dubbio, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 23, quinto comma, della Costituzione, la legittimità costituzionale dell'art. 319, primo comma, del codice di procedura civile.

Nell'ordinanza di rimessione si afferma che la norma denunziata, nel consentire alle parti di farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto soltanto dinanzi ai conciliatori che siano "fuori della sede di pretura", opererebbe una discriminazione all'interno di una medesima categoria di giudici, con violazione del principio di eguaglianza dei cittadini, anche sotto il profilo del diritto di difesa, nonché dell'art. 33, quinto comma, della Costituzione. Non é maggiormente impegnativa - argomenta il giudice a quo - la difesa degli interessi della parte dinanzi al conciliatore del comune che é sede di pretura, rispetto a quello del comune dove, non essendovi sede di pretura, sarebbe, anzi, più utile la collaborazione di patroni meglio qualificati.

Le parti del giudizio a quo non si sono costituite.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Dopo aver fatto presente che, secondo la Cassazione, la citazione, ancorché priva della sottoscrizione della parte o del suo procuratore, non potrebbe considerarsi nulla, se ha raggiunto il suo scopo con la costituzione del convenuto, l'Avvocatura deduce che, nella specie, l'attore opponente avrebbe pur sempre validamente instaurato un procedimento nei confronti di un convenuto ritualmente costituitosi.

Sotto questo profilo, la questione sarebbe inammissibile, essendo la motivazione sulla rilevanza meramente apparente e, comunque, erroneamente posta.

Nel merito, l'Avvocatura sostiene che, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, la disparità di disciplina sarebbe pienamente giustificata, perché conforme a situazioni obiettivamente diverse, e sarebbe del tutto razionale anche per quanto attiene alle modalità di esercizio del diritto di difesa.

Irrilevante sarebbe, comunque, la censura avanzata in ordine al quinto comma dell'art. 33 Cost., dato che l'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che autorizza il patrocinio di persone prive dell'abilitazione all'esercizio della professione davanti al conciliatore fuori della sede di pretura non potrebbe avere alcuna influenza sul giudizio a quo, pendente dinanzi a un ufficio di conciliazione di un comune sede di pretura.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza in epigrafe é stato denunziato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo (rectius, anche secondo) comma, e 33, quinto comma, della Costituzione, l'art. 319, primo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui statuisce che dinanzi al conciliatore in un Comune che sia sede di pretura, a differenza di quello di un Comune che non lo sia, le parti non possono farsi rappresentare da persona diversa da un difensore tecnico.

2. - Il singolare quadro processuale del giudizio a quo é caratterizzato: a) dal rilascio della delega, in citazione, al firmatario dell'atto, non esercente la professione forense nel luogo ove si svolge il giudizio stesso; b) dalla validità della citazione in tale ipotesi, riconosciuta da giurisprudenza e dottrina, supplendo alla mancanza di sottoscrizione della parte la firma della delega; c) dalla costituzione in giudizio della controparte; d) dalla possibilità di regolarizzazione dell'eventuale difetto di rappresentanza ed assistenza (art. 182 cod. proc. civ.).

A prescindere da tutto ciò, non hanno fondamento i dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 319, primo comma, cod. proc. civ. in parte qua.

3. - Non é violato l'art. 3, primo comma, Cost., sotto il profilo della diversità di trattamento, perché, ferma la regola generale che dinanzi al conciliatore le parti possono stare in giudizio senza ministero di difensore (art. 82, primo comma, cod. proc. civ., che non é derogato dall'art. 319), nulla vieta loro di rilasciare a chiunque il mandato sostanziale ad negotium (o generale ad negotia comprensivo del promovimento delle azioni civili e di resistenza giudiziaria nelle cause civili), sufficiente a legalizzare, nel giudizio, la presenza personale del mandatario in sostituzione del mandante.

Né l'art. 3 é violato sotto il profilo della ragionevolezza, perché - come ha esattamente osservato l'Avvocatura generale dello Stato - non é irrazionale che si consenta a chi non voglia o non possa comparire dinanzi all'ufficio di conciliazione di un Comune non sede di pretura di farsi rappresentare da persona non esercente la professione forense: in una sede di pretura non é difficile rivolgersi ad un procuratore legale e ciò comporta una spesa che può dirsi proporzionata al modesto valore della causa, ma in un Comune che non é sede di pretura difficilmente un procuratore legale é disponibile e il costo dell'assistenza tecnica può diventare troppo gravoso. Per cui, anziché di arbitraria differenziazione tra cittadini che versano in situazioni eguali, deve parlarsi di logica diversità di normativa rispetto a situazioni obiettive difformi.

4. - Non é violato l'art. 24, primo (e secondo) comma, Cost., non tanto e non solo perché la rinuncia alla difesa tecnica dinanzi al conciliatore é una facoltà e non un obbligo, quanto anche perché sia chi compare di persona dinanzi al conciliatore di un Comune sede di pretura o non sede di pretura, sia chi, dinanzi al conciliatore di Comune non sede di pretura, si faccia rappresentare da un mandatario non qualificato, ben può procurarsi da un professionista forense - oltre alla consulenza e all'indirizzo difensivo - memorie e pareri pro veritate da produrre in causa.

5. - In ordine alla pretesa lesione dell'art. 33, quinto comma, Cost., é sufficiente obiettare - indipendentemente dalla irrilevanza e dalla contraddittorietà logica in cui é caduto il giudice a quo - che la "persona" indicata nell'articolo 319 cod. proc. civ., occasionalmente ed eccezionalmente incaricata, non é un esercente il patrocinio a titolo professionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 319, primo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui prevede che dinanzi al giudice conciliatore in Comune sede di pretura le parti che non stiano in giudizio di persona, possono farsi rappresentare soltanto da procuratori o patrocinatori legali, sollevata con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo (e secondo) comma, e 33, quinto comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 21 maggio 1975.