Sentenza n. 116 del 1975
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SENTENZA N. 116

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 389 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), promosso con ordinanza emessa il 7 marzo 1973 dal pretore di Asti nel procedimento penale a carico di Guglielmo Paola, iscritta al n. 367 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 276 del 24 ottobre 1973.

Udito nella camera di consiglio del 20 febbraio 1975 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento penale contro Guglielmo Paola, imputata di due distinte contravvenzioni alla legge per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, previste rispettivamente dagli artt. 118 e 120 e punite con la sola pena dell'ammenda ai sensi dell'art. 389, lett. a e c del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, il pretore di Asti, con ordinanza del 7 marzo 1973, ha sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale delle pene comminate dal citato art. 389 rispetto alla previsione contenuta nell'art. 4 della legge di delega 12 febbraio 1955, n. 51, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Si afferma in primo luogo nell'ordinanza che nell'art. 4 della legge di delega sarebbe contenuta una previsione alternativa di pena comprendente "l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a lire 300.000" in base alla quale il legislatore delegato avrebbe avuto soltanto la possibilità di graduare la quantità della pena, ma non già quella di variarne la qualità scindendo l'arresto dall'ammenda ed ottenendo così il risultato che alcune infrazioni, divenute oblazionabili, fossero destinate a non comparire nel certificato penale.

Accanto a questo primo dubbio di incostituzionalità riguardante entrambe le imputazioni contestate all'imputata, il pretore ne prospetta un secondo che si riferisce all'imputazione più grave prevista dagli artt. 120 e 389, lett. a, del d.P.R. n. 547 del 1955.

Rileva in proposito che almeno per le contravvenzioni più gravi (e tale, a suo avviso, dovrebbe considerarsi quella nella specie contestata, punibile col massimo dell'ammenda) il legislatore delegato avrebbe dovuto comminare la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda al fine di impedire che imprenditori che violano ripetutamente le norme sulla prevenzione infortuni si sottraggano ad ogni giudizio penale mediante l'oblazione delle contravvenzioni, riuscendo così a conservare del tutto netto il proprio certificato penale.

Riconosciuta così la non manifesta infondatezza e la rilevanza delle indicate questioni, il pretore ha ordinato la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti a questa Corte.

Nel presente giudizio nessuno si é costituito.

Considerato in diritto

1. - L'eccesso di delega che l'ordinanza del pretore di Asti pone a fondamento della questione di legittimità costituzionale dell'art. 389 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, é prospettato sotto un duplice profilo: si afferma, in primo luogo che nell'art. 4 della legge di delega 12 febbraio 1955, n. 51, sarebbe indicata una previsione unica di pena comprendente l'arresto o l'ammenda, di tal che il legislatore delegato non avrebbe potuto scindere la previsione riservando ad alcune ipotesi di reato la sola pena pecuniaria e ad altre ipotesi quella detentiva; si sostiene, in subordine, che quanto meno per le ipotesi più gravi di reato - tra le quali ad avviso del pretore andrebbero ricomprese le contravvenzioni punibili ai sensi dell'art. 389, lett. a - il legislatore delegato avrebbe dovuto riprodurre la previsione alternativa di pena (arresto o ammenda).

Rileva la Corte che la questione é infondata sotto entrambi i profili sopra precisati.

2. - La questione trae evidentemente origine da una interpretazione restrittiva assolutamente non giustificata né dalla lettera né dallo spirito della legge di delega. Per rendersi conto dell'ampiezza di tale delega é sufficiente por mente che a termini dell'art. 1 il Governo era autorizzato ad emanare norme generali e speciali per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e per l'igiene del lavoro, norme in cui dovevano essere stabiliti mezzi, metodi, condizioni e cautele atte a prevenire gli infortuni e le malattie professionali (art. 3).

L'art. 4, infine, - che é quello che viene in diretta considerazione nel presente giudizio - disponeva che "per la violazione delle norme di cui all'art. 1 della presente legge potrà essere stabilita la pena dell'arresto fino a tre mesi o dell'ammenda non superiore a lire 300.000".

Ora é di tutta evidenza che con quest'ultima norma il legislatore delegante ha inteso fissare soltanto i limiti massimi delle sanzioni penali relative alle violazioni delle emanande norme di prevenzione, lasciando libero il legislatore delegato, entro i limiti suaccennati, di valutare e determinare in concreto quali ipotesi di contravvenzioni alla disciplina infortunistica dovessero ritenersi più o meno gravi e quale dovesse essere per le stesse la qualità e l'entità della pena comminabile.

Un eccesso dai limiti della delegazione vi sarebbe stato se nella formazione del testo delegato il Governo avesse superato i massimi dell'arresto o dell'ammenda stabiliti nell'art. 4, ma é certo da escludere che l'ambito del potere assegnatogli sia stato valicato per avere operato una scelta (discrezionale ed incensurabile in questa sede) tra le varie ipotesi di infrazioni con indicazione della qualità e della misura delle sanzioni ad esse relative.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 389 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, contenente "norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" sollevata dal pretore di Asti con ordinanza 7 marzo 1973, in relazione all'art. 4 della legge 12 febbraio 1955, n. 51, contenente "delega al potere esecutivo ad emanare norme generali e speciali in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro", in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO -  Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 21 maggio 1975.