Sentenza n. 113 del 1975
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SENTENZA N. 113

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3, 9 e 11, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanze emesse il 9 marzo 1973 e il 7 marzo 1974 dal pretore di Modena nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Adani Luciano e di Gibertoni Giancarlo, iscritte al n. 310 del registro ordinanze 1973 e al n. 397 del registro ordinanze 1974 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 236 del 12 settembre 1973 e n. 289 del 6 novembre 1974;

2) ordinanza emessa il 30 maggio 1973 dal tribunale di Siracusa nel procedimento per l'applicazione della misura di prevenzione nei confronti di Conti Santo, iscritta al n. 317 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 249 del 26 settembre 1973;

3) ordinanza emessa il 12 aprile 1973 dal pretore di Barra nel procedimento penale a carico di La Pasta Ciro, iscritta al n. 324 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 249 del 26 settembre 1973.

Udito nella camera di consiglio del 6 febbraio 1975 il Giudice relatore Nicola Reale.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di procedimenti penali a carico, rispettivamente, di Adani Luciano e di Gibertoni Giancarlo, imputati della contravvenzione di cui all'art. 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sulle misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, per non aver osservato le prescrizioni relative alla misura della sorveglianza speciale che era stata loro inflitta, il pretore di Modena, con ordinanze del 9 marzo 1973 e del 7 marzo 1974, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 9 della predetta legge n. 1423 del 1956, in riferimento agli artt. 3, 13 e 14 della Costituzione.

2. - Con rapporto del 17 marzo 1973, la questura di Siracusa comunicava all'autorità giudiziaria che il sorvegliato speciale Conti Santo era stato condannato alla pena di tre mesi di arresto per aver violato le prescrizioni del decreto con cui gli era stata inflitta la misura della sorveglianza speciale.

Il tribunale, chiamato a decidere in ordine al rinnovo della misura, ai sensi dell'art. 11 della legge n. 1423 del 1956, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del predetto art. 11, nella parte in cui dispone che, se nel corso del termine stabilito, il sorvegliato commette un reato per il quale riporti successivamente condanna, e la sorveglianza speciale non debba cessare, il termine ricomincia a decorrere dal giorno nel quale é scontata la pena.

3. - Dubbi sulla legittimità costituzionale dell'art. 11 legge n. 1423 del 1956 sono stati prospettati, ma sotto altro profilo, in riferimento agli artt. 3, 13 e 24 della Costituzione, anche dal pretore di Barra, con ordinanza emessa il 12 marzo 1973 nel corso del procedimento penale a carico di La Pasta Ciro, imputato di reiterate violazioni alle prescrizioni del decreto di sorveglianza speciale.

4. - Le ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e pubblicate, ma in nessuno dei giudizi vi é stata costituzione di parte o intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Con le ordinanze in epigrafe sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale, fra loro connesse, concernenti la disciplina sostanziale e processuale delle misure di prevenzione. Le cause possono essere quindi riunite e decise con unica sentenza.

2. - In due di tali ordinanze é prospettato dal pretore di Modena il dubbio circa la compatibilità, con gli artt. 3 e 13 della Costituzione, degli artt. 1, 3 e 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sulle misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità.

A sostegno dell'impugnativa si assume che la decisione circa l'applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, pur promanando formalmente dall'autorità giudiziaria, sarebbe in realtà fondata su un provvedimento amministrativo assolutamente discrezionale, quale quello di cui all'art. 1 della già citata legge n. 1423 del 1956 (diffida da parte del questore), e quindi, a differenza delle altre misure restrittive della libertà personale, sarebbe presa non sulla base di dati sicuri di fatto, quali condanne penali e simili, ma alla stregua di elementi soggettivi e controvertibili come i giudizi di pericolosità.

Le questioni sono prive di fondamento.

Per vero questa Corte ha già riconosciuto, in numerose decisioni, la piena compatibilità delle misure in esame con i principi stabiliti dagli artt. 3 e 13 della Costituzione (sent. numeri 23 e 68 del 1964 e n. 32 del 1969), ed ha precisato che l'autorità di p.s. non può agire a proprio arbitrio sulla base di semplici sospetti, poiché é richiesta dalla legge un'oggettiva valutazione di fatti, da cui risulti la condotta abituale e il tenore di vita della persona, che siano manifestazione concreta della sua proclività al delitto e siano state accertate in modo da escludere valutazioni puramente soggettive ed incontrollabili (sent. n. 23 del 1964). Né va dimenticato che le informazioni assunte dalla pubblica sicurezza sono in ogni caso liberamente valutabili dal giudice che deve decidere in ordine alla applicazione di una misura di prevenzione, al pari di ogni altro elemento di prova acquisito al processo.

3. - Nelle stesse ordinanze é prospettato il dubbio che i già citati artt. 1, 3 e 9 legge n. 1423 del 1956 contrastino con l'art. 14 Cost., sotto il profilo che le prescrizioni relative alla misura della sorveglianza speciale potrebbero comportare visite domiciliari, anche in ore notturne, in abitazioni di soggetti diversi dal sorvegliato, presso i quali il medesimo risulti dimorare.

Anche tale questione non é fondata.

Al riguardo é sufficiente rilevare che le norme impugnate si limitano a porre alcune limitazioni alla libertà della persona sottoposta alla misura della sorveglianza speciale e non contengono, neppure implicitamente, nessuna disposizione che attribuisca speciali poteri di indagine agli organi di polizia giudiziaria, i quali restano quindi condizionati, per ciò che attiene alle perquisizioni e alle ispezioni, dalle norme contenute nel codice di procedura penale (artt. 224 e 332- 336), nell'ambito di quanto disposto dall'art. 14 della Costituzione.

4. - Le questioni sollevate con le ordinanze n. 317 e 324 del 1973 - rispettivamente dal pretore di Barra e dal tribunale di Siracusa - riguardano invece l'art. 11 della citata legge n. 1423 del 1956, il cui secondo comma dispone che, se nel corso del termine stabilito per la misura di prevenzione della sorveglianza speciale il soggetto commette un reato per il quale riporti successivamente condanna, e la sorveglianza speciale non debba cessare, il termine ricomincia a decorrere dal giorno nel quale é scontata la pena.

Secondo il pretore di Barra detta norma comporterebbe la reiterazione della misura originariamente inflitta come conseguenza automatica della condanna, indipendentemente da una pronunzia del giudice al riguardo, donde il contrasto con gli artt. 3,13 e 24 della Costituzione.

Tale interpretazione della norma impugnata non é però condivisa da questa Corte che, nel dichiarare non fondate - in riferimento peraltro agli artt. 13, 24 e 27 Cost. - analoghe questioni sollevate dal tribunale di Napoli, ha già affermato che occorre sempre la pronunzia del giudice di sorveglianza la quale accerti se sussistano le condizioni necessarie perché si possa procedere alla reiterazione della misura della sorveglianza speciale (sent. n. 3 del 1974).

Ciò premesso, vengono a cadere i motivi delle doglianze sollevate dal giudice a quo.

Infatti, se la reiterazione dell'applicazione delle misure della sorveglianza speciale consegue ad un provvedimento del giudice, emanato nei modi di legge, previa contestazione dei necessari presupposti, con l'osservanza delle regole del contraddittorio e con l'intervento del difensore (sent. n. 69 del 1975), sono evidentemente rispettate le garanzie poste dall'art. 13 e dall'art. 24 Cost. a tutela della libertà personale e del diritto di difesa (sent. n. 3 del 1974). E non v'ha dubbio che, esclusa la fondatezza delle censure suddette, si riveli priva di fondamento anche quella, ad esse logicamente connessa, attinente al preteso contrasto con l'art. 3, comma primo, della Costituzione.

5. - Le questioni sollevate con l'ordinanza del tribunale di Siracusa investono l'art. 11 sotto altro profilo.

Si assume infatti nell'ordinanza suddetta che non sempre la commissione di un reato, da parte di un sorvegliato speciale, può essere ragionevolmente considerata quale apprezzabile indice di pericolosità per la sicurezza e la pubblica moralità e si prospetta il dubbio che la norma in oggetto, ricollegando alla commissione di un reato, anche se di minima entità, l'interruzione, e quindi la reiterazione ab initio, del decorso del termine, non solo equipari arbitrariamente situazioni del tutto differenti e diversamente apprezzabili sul piano della gravità del reato, della capacità a delinquere e della pericolosità, in violazione dell'art. 3 Cost., ma pregiudichi un'effettiva e concreta possibilità di difesa dell'interessato e determini inoltre "un inammissibile sganciamento del provvedimento restrittivo dal suo presupposto essenziale", in contrasto con i principi sanciti dagli artt. 24 e 25, ultimo comma, della Costituzione.

6. - La questione é fondata sotto l'assorbente profilo della violazione del principio di uguaglianza.

La norma impugnata poggia sul presupposto che la commissione di un qualsiasi reato da parte del sorvegliato speciale costituisca sempre sicura manifestazione della persistenza, nel medesimo, di quella pericolosità che ha già determinato l'applicazione nei suoi confronti della misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Essa va pertanto ricollegata all'istituto della pericolosità presunta che é stato ritenuto da questa Corte non in contrasto con la Costituzione quando detta presunzione sia non irrazionalmente prevista, nell'ambito della discrezionalità del legislatore, sulla base dell'id quod plerumque accidit (v. sent. n. 106 del 1972 e n. 110 del 1974).

Il che non può affermarsi rispetto alla norma in esame.

Infatti, nella vasta gamma delle violazioni della legge penale, é agevole cogliere infrazioni che non possono essere considerate indice sicuro ed inequivocabile della persistenza, in chi le ha commesse, di quella particolare forma di pericolosità richiesta dalla legge per l'applicazione delle misure di prevenzione.

É questo il caso, anzitutto, dei delitti colposi, nei quali l'evento non é voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, e nei quali pertanto non é ravvisabile, in linea di massima, e con riserva dei rilievi di cui oltre, una aperta ribellione alla legge. Ed é il caso anche dei reati contravvenzionali, che costituiscono violazioni della legge penale che il legislatore, nella sua valutazione discrezionale, ha ritenuto siano - rispetto ai delitti - almeno normalmente di minore gravità, per quanto, come meglio si dirà in seguito, non manchino ipotesi di reati di non trascurabile rilevanza sociale.

Ma, a ben vedere, non può escludersi che la presunzione di pericolosità contenuta nella norma impugnata si ponga in contrasto con l'obbiettiva consistenza del reato commesso, rispetto agli stessi delitti dolosi, ancorché in essi l'accertamento del dolo sembrerebbe poter fornire in ogni caso un apprezzabile indizio di pericolosità. Alcuni di tali reati, infatti, sono di lievissima entità e puniti con la pena della multa, in via esclusiva o alternativa con quella detentiva.

Senza contare che, anche ove si tratti di delitti più gravi, il loro valore sintomatico della speciale forma di pericolosità richiesta per l'applicazione delle misure di prevenzione può risultare in talune fattispecie se non proprio escluso, certamente diminuito di importanza: così, ad esempio, dall'accertata ricorrenza di una delle circostanze attenuanti di cui all'art. 62 del codice penale. Si pensi, in particolare, a quelle previste nel n. 2 (aver reagito in stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui) e nel n. 1 (aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale).

E ciò mentre numerose fattispecie di delitti colposi appaiono indubbia espressione di disinteresse (se non di disprezzo) per l'incolumità altrui come le lesioni e gli omicidi colposi commessi con violazione di talune norme rientranti nella disciplina della circolazione stradale o in quella per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Né, d'altro canto, come si é già osservato, mancano contravvenzioni le quali denotano nell'agente una rilevante pericolosità sociale tanto che per esse sono previste pene detentive non certo lievi.

Come si vede, la situazione é tale da indurre ad escludere l'adozione di un trattamento differenziato fra le suddette categorie di reati, dal momento che nell'ambito di ognuna di esse non mancano fattispecie diversamente apprezzabili sul piano della gravità del reato, della capacità a delinquere e della pericolosità, tanto che, come é stato rilevato e l'esperienza insegna, non é infrequente il passaggio dalla categoria dei delitti a quella delle contravvenzioni, e viceversa, nel succedersi delle leggi.

Ma, appunto per questo, sembra più rispondente ai principi, verificandosi l'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 11 della già citata legge n. 1423 del 1956, attribuire al giudice, quale che sia il tipo di reato per cui il sorvegliato speciale abbia riportato condanna, il potere di accertare se il soggetto sia ancora pericoloso per la sicurezza e per la pubblica moralità nel senso indicato dall'art. 1 della legge predetta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), nella parte in cui non prevede che, ai fini della reiterazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, nell'ipotesi in cui nel corso del termine stabilito per la sua durata il sorvegliato commetta un reato per il quale riporti successivamente condanna, il giudice debba previamente accertare che la commissione di tale reato sia di per sé indice della persistente pericolosità dell'agente;

b) dichiara non fondate, in riferimento agli artt. 13 e 14 della Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 9 della legge predetta, sollevate dal pretore di Modena con ordinanze 9 marzo 1973 e 7 marzo 1974;

c) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, in riferimento agli artt. 3, 13 e 24 della Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma secondo, della legge predetta, sollevate dal pretore di Barra con ordinanza 12 aprile 1973.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO -  Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 21 maggio 1975.