Sentenza n. 106 del 1975
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SENTENZA N. 106

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 16, 18, secondo comma, e 20 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), e dell'art. 22 del r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per l'esecuzione del predetto testo unico), promosso con ordinanza emessa il 23 marzo 1973 dal giudice istruttore del tribunale di Reggio Emilia nel procedimento penale a carico di Fo Dario Luigi Angelo ed altri, iscritta al n. 220 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 198 del 1 agosto 1973.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 1975 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

A seguito di denuncia sporta dalla Questura di Reggio Emilia a carico dell'artista teatrale Dario Fo e di alcuni cittadini di Reggio per resistenza alla forza pubblica e oltraggio, commessi all'interno del locale teatro comunale, la sera dell'11 aprile 1970, in occasione del servizio di vigilanza disposto dal questore all'interno dell'edificio, in relazione alla rappresentazione della commedia intitolata "Mistero buffo", il giudice istruttore presso quel tribunale rilevava, con ordinanza 28 marzo 1973, che la rappresentazione era da ritenere di carattere privato, in quanto il teatro, nella circostanza, era aperto solo ai soci iscritti all'ARCI (Associazione ricreativa culturale italiana) muniti di regolare tessera. Pertanto, secondo il giudice, sorgeva il problema della legittimità o meno dell'intervento della polizia all'interno del teatro, da risolvere sulla base dell'art. 16 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico leggi di p.s.), secondo cui é consentito, in qualsiasi ora, agli agenti di p.s. l'ingresso nei locali destinati all'esercizio di attività, come quella di spettacoli teatrali, soggette ad autorizzazioni di polizia.

Ciò posto, il giudice, con ordinanza 23 marzo 1973, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della detta norma, per contrasto con gli artt. 2, 14, 17 e 21 della Costituzione.

La disposizione censurata violerebbe anzitutto la libertà di domicilio, garantita dall'art. 14 della Costituzione, anche in relazione ad ambienti che siano destinati occasionalmente ad attività privata, e resterebbe invece vulnerata dalla facoltà di accesso consentita "in qualsiasi ora" alla polizia e, quindi, anche quando i locali predetti vengano adibiti ad attività privata.

L'art. 16 del r.d. 18 giugno 1931 contrasterebbe poi con l'art. 2 Cost., in quanto, come sarebbe reso evidente dalla fattispecie concreta, gli iscritti all'ARCI, riunendosi per assistere alla rappresentazione in parola, esercitavano diritti inviolabili, garantiti all'individuo, ed identificabili, nella specie, con il diritto di riunione, sancito dall'art. 17 Cost., e con il diritto di libera manifestazione del pensiero, garantito dall'art. 21 della Costituzione.

Questi ultimi precetti, secondo il giudice a quo, risulterebbero specificamente violati. Ed invero, il sistema garantistico voluto dalla Costituzione per quanto riguarda lo svolgimento della vita privata, tenderebbe ad assicurare all'individuo la libera formazione e manifestazione della personalità, escludendo ogni costrizione, anche psicologica, che, invece, si potrebbe configurare in relazione alla presenza della polizia alle riunioni e dibattiti, resa possibile dalla norma censurata, sol perché gli stessi, anche se riguardanti ad esempio sindacati o partiti politici, si svolgono occasionalmente in locali soggetti ad autorizzazione di polizia. Pertanto, secondo il giudice a quo, la facoltà sancita dalla norma impugnata potrebbe costituire "pericolo per le istituzioni democratiche" e potrebbe essere legittimamente consentita solo limitatamente alle parti dei locali soggetti ad autorizzazione di polizia che siano aperti al pubblico, e negli orari in cui sia effettivamente consentito l'ingresso al pubblico.

Secondo il giudice a quo, poi, l'intervento della polizia nel caso di specie parrebbe bensì trovare legittimazione in base agli artt. 18, secondo comma, e 20 del testo unico leggi di p.s. nonché all'art. 22 del regolamento di esecuzione, emanato con r.d. 6 maggio 1940, n. 635.

Invero, il citato art. 18, secondo comma, che equipara le riunioni private a quelle pubbliche in relazione, fra l'altro, al luogo in cui sono tenute, al numero delle persone partecipanti ed allo scopo e oggetto di esse, potrebbe essere invocato nella specie a sostegno della legittimità dell'intervento della polizia, considerato il luogo della rappresentazione e l'alto numero degli intervenuti (500). Ma la detta equiparazione, secondo il giudice a quo, sarebbe palesemente in contrasto con l'art. 17 Cost., nonché con gli artt. 2, 14 e 21 Cost. "in quanto garantiscono diritti primari dell'uomo".

Anche l'art. 20 del t.u.l.p.s., secondo il giudice a quo, potrebbe essere invocato nella specie, e si paleserebbe quindi rilevante la relativa questione di legittimità, che il giudice stesso prospetta sempre in relazione ai già menzionati precetti costituzionali. Il giudice osserva, infatti, che, siccome il detto articolo consentirebbe lo scioglimento di qualunque riunione, purché tenuta in luogo normalmente aperto al pubblico, prescindendo dalla concreta e attuale destinazione dello stesso a riunione privata, presupporrebbe altresì il diritto di presenza della p.s., ed in tal modo incorrerebbe nelle violazioni costituzionali già prima prospettate in relazione all'art. 16 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

Per le stesse ragioni, infine, secondo il giudice a quo, palese apparirebbe l'illegittimità dell'art. 22 del regolamento di p.s. nella parte in cui prevederebbe il potere della p.s. di assistere alle riunioni, senza alcuna distinzione fra pubbliche e private.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 198 del 1 agosto 1973.

Avanti alla Corte costituzionale si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato tempestivamente le proprie deduzioni difensive.

L'Avvocatura osserva che, anche se potesse configurarsi, per assurdo, l'estensione della garanzia costituzionale della libertà di domicilio ai locali di un teatro municipale, come nel caso in esame, la libertà stessa, comunque, sarebbe soggetta a deroghe per fini di sanità o incolumità pubblica, così come appunto prescrive la norma denunziata, che consente l'accesso della p.s. nei locali destinati all'esercizio di attività soggette ad autorizzazioni di polizia solo al fine di controllare l'adempimento delle prescrizioni imposte dalla legge, dai regolamenti e dall'autorità. La qualifica di locale da pubblico spettacolo soggetto alla autorizzazione di polizia inerirebbe agli ambienti per tutto il tempo della licenza, e gli organi di polizia sarebbero pertanto tenuti ad esercitare il controllo dell'osservanza delle prescrizioni in ordine a qualsiasi manifestazione vi si svolga.

Tanto meno confliggerebbe con l'art. 14 Cost. l'impugnato art. 18 t.u.l.p.s., nella parte in cui considera pubblica una riunione che, per il luogo in cui si svolge o per il numero degli intervenuti o per gli scopi o l'oggetto abbia carattere di riunione non privata. Tale disposizione, invero, apparirebbe del tutto logica ed aderente alla realtà, poiché la presenza degli enunciati requisiti escluderebbe, ovviamente, la natura privata della riunione, anche se indetta formalmente come tale.

Circa la censura mossa in relazione all'art. 20 t u 1 p s ed all'art. 22 del regolamento, l'Avvocatura osserva che la prima non potrebbe venire neppure in considerazione nel caso di specie, riguardando specificamente la diversa ipotesi dello scioglimento di riunioni in casi tassativi, mentre la seconda, di natura regolamentare, esulerebbe dalla competenza di questa Corte.

Infine, per quanto riguarda gli altri aspetti di illegittimità prospettati dal giudice a quo contro le norme impugnate del T.U.L.P.S. in relazione agli artt. 2, 17 e 21 Cost., osserva che il potere-dovere della p.s. di accedere nei locali in questione ai fini prestabiliti dalla legge non inciderebbe minimamente sulla libertà di riunione né sulla libertà di manifestazione del pensiero, onde anche sotto questi profili la questione sarebbe infondata.

Considerato in diritto

1. - La suindicata ordinanza di rinvio premette l'accertamento che si é trattato di rappresentazione scenica, da svolgersi a carattere privato, con ingresso, nel teatro comunale di Reggio Emilia, riservato ai soli soci, muniti di tessera, appartenenti ad una associazione ricreativa-culturale. Ciò posto, l'ordinanza sottopone alla Corte la questione se la facoltà riconosciuta agli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza di accedere in teatro, anche nella suaccennata particolare occasione, in forza dell'art. 16 del testo unico del 1931 delle leggi di pubblica sicurezza, contrasti con la Costituzione negli articoli 2 (tutela dei diritti inviolabili dell'uomo), 14 (inviolabilità del domicilio), 17 (diritto di pacifica riunione), 21 (diritto di libera manifestazione del pensiero). Negli stessi termini di riferimento, la questione é parimenti sollevata nei confronti degli articoli del citato testo unico: 18, secondo comma, (equiparazione, in determinate situazioni di fatto, delle riunioni indette in forma privata a quelle pubbliche) e 20 (potere di scioglimento delle riunioni). Infine, la questione é estesa all'art. 22 del Regolamento del 1940 alla ricordata legge sulla pubblica sicurezza.

2. - Per quanto riguarda la prospettata incostituzionalità dell'art. 16 del testo unico, la questione non é fondata.

L'apertura e la conseguente agibilità di locali adibiti a teatro, sono sottoposte ad autorizzazioni preventive di polizia (art. 8 t.u.) cui, poi, ineriscono le licenze di esercizio, relative a singoli spettacoli (art. 68 stesso t.u.).

Una volta accordata l'autorizzazione preventiva alla loro agibilità (come nel caso) l'accesso nei locali, da parte di ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza é previsto, dall'impugnato art. 16, a scopo di controllo, senza limiti di tempo, della permanente osservanza delle prescrizioni legalmente imposte con detta autorizzazione, in rapporto alla funzionalità tecnica del teatro e nell'interesse primario di tutelare, mediante un ordinato assetto, l'incolumità dell'agglomerato di persone intervenute.

Secondo l'ordinanza, tali esigenze dovrebbero cedere di fronte alla circostanza contingente dell'uso riservato, e perciò privato, dell'ambiente, in quanto la totale estromissione della polizia, nel caso, troverebbe giustificazione in norme costituzionali.

3. - Con nessuna di queste norme di riferimento contrastano le disposizioni di legge impugnate.

Anzitutto, l'intervento degli organi di polizia, ai fini ed alle condizioni suindicate e senza distorsioni interpretative, non contrasta con la garantita inviolabilità di domicilio. Gli ambienti unicamente destinati a rappresentazioni teatrali non possono qualificarsi domicilio degli utenti, data la nozione che del domicilio risulta dall'art. 43 del codice civile. Anche ammessa la equiparazione, agli effetti della tutelabilità da violazioni (art. 614 c.p.), affermata in ordinanza, del concetto di domicilio con quello di "privata dimora", nell'ipotesi che un teatro venga temporaneamente e occasionalmente adibito ad attività privata, deve pur sempre rimanere fermo il principio, già statuito da questa Corte con le sentenze n. 10 del 1971 e n. 56 del 1973, che l'art. 14 Cost. non può non consentire deroghe a tutela di interessi generali, come é appunto l'interesse alla incolumità pubblica. Alla quale incolumità espressamente si richiama lo stesso art. 14 della Costituzione, al comma terzo. Prevale al riguardo la valutazione oggettiva della sede che, benché scelta come luogo di privata riunione, importa cautele, verifiche e controlli di osservanza di condizioni autorizzative, affidati, dall'autorizzazione iniziale in poi, al presidio di ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza.

4. - Neppure é da riscontrare contrasto con gli artt. 17 e 21 della Costituzione.

L'intervento della polizia, ai fini ed alle condizioni suindicate, non collide con il diritto di riunione ed anzi é volto ad agevolarlo, assicurandone il regolare svolgimento. Né collide col diritto di libera manifestazione del pensiero, in sé considerata, poiché l'intervento non é e non deve essere diretto a controllarla e tanto meno a contrastarla od a coartarla; né mancano nell'ordinamento le garanzie adeguate a reprimere ogni abuso che possa ledere quel fondamentale diritto.

Ciò ugualmente vale per escludere, nel caso, l'ipotizzabilità di una violazione dell'art. 2 Cost. posto a tutela, in via generale, dei diritti inviolabili dell'uomo nei loro particolari aspetti.

5. - La questione viene estesa nei confronti dell'art. 18, secondo comma, del testo unico delle leggi di p.s. che concerne l'equiparazione delle riunioni indette in forma privata a quelle pubbliche qualora si considerino il luogo, lo scopo di dette riunioni, nonché il numero dei partecipanti.

La Corte osserva, anzitutto, che la disposizione impugnata é strettamente connessa con quella della prima parte dello stesso articolo, concernente l'obbligo del preavviso di riunione e risulta, quindi, trattarsi di disposizione emanata e diretta in funzione del preavviso. Da quanto qui in esame esula, tuttavia, qualsiasi riferimento a detto obbligo, che é, quindi, fuori discussione in tutta la sua portata.

La Corte osserva, inoltre, che la questione sulla legittimità del richiamato art. 18, secondo comma, non possa venire in discussione agli effetti delineati in ordinanza, dato che nella stessa é premesso l'accertamento della natura privata della rappresentazione, il che, ovviamente, impedisce di ritenere essersi invece trattato, nel caso, di locali aperti al pubblico.

La non rilevanza della questione é, di conseguenza, palese e, pertanto, per questa parte la questione stessa va dichiarata inammissibile.

Ad eguale conclusione deve addivenirsi per quanto riguarda il denunciato art. 20 del testo unico. A parte che dall'ordinanza di rinvio non risulta che, nel caso, siasi effettivamente proceduto dalla polizia allo scioglimento della riunione, va rilevato che il cennato articolo deve ritenersi, come da giurisprudenza, non applicabile alle riunioni di natura privata.

6. - Infine, per quanto riguarda la denunciata illegittimità dell'art. 22 del Regolamento per l'esecuzione del testo unico, basti osservare che, in base all'art. 134 della Costituzione, la Corte é chiamata a giudicare soltanto sulle controversie relative alla legittimità delle leggi e degli atti aventi forza di legge. Per cui la questione, sotto questo profilo, deve essere dichiarata inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, secondo comma, e 20 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), sollevata dal giudice istruttore del tribunale di Reggio Emilia con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 2, 14, 17 e 21 della Costituzione;

b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale, come sopra sollevata, dell'art. 22 del r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per l'esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza);

c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 del citato r.d. n. 773 del 1931 (t.u. delle leggi di p.s.), come sopra sollevata, in riferimento agli artt. 2, 14, 17 e 21 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 aprile 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 7 maggio 1975.