Sentenza n. 103 del 1975
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SENTENZA N. 103

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 255 del decreto legislativo del Presidente della Regione siciliana 26 ottobre 1955, n. 6, recepito nella legge regionale 15 marzo 1963, n. 16 (Ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione siciliana), e dell'art. 225 del t.u. della legge comunale e provinciale approvato con r.d. 4 febbraio 1915, n. 148, richiamato in vigore con l'art. 23 della legge 9 giugno 1947, n. 530, promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 1972 dalla Corte d'appello di Palermo nel procedimento civile vertente tra Vella Mariano ed altri e Mantegna Di Gangi Benedetto e Stefanina, iscritta al n. 394 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28 del 31 gennaio 1973 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 4 del 20 gennaio 1973.

Visto l'atto d'intervento del Presidente della Regione siciliana;

udito nell'udienza pubblica del 19 febbraio 1975 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

udito l'avv. Antonino Sansone, per il Presidente della Regione siciliana.

Ritenuto in fatto

1. - Nel dichiarato esercizio di un'azione popolare, ex art. 255 dell'Ordinamento amministrativo degli enti locali della Regione siciliana (d.l. 26 ottobre 1955, n. 6, poi recepito nella legge reg. 1963, n. 16), Mariano Vella ed altri convenivano in giudizio - innanzi al tribunale di Palermo e, in sede di gravame, avanti la Corte d'appello di quella città - Benedetto e Stefanina Mantegna Di Gangi, per sentir, nei loro confronti, in via principale, dichiarare appartenenti al Comune di S. Flavia e, conseguentemente, soggette al regime legale dei beni demaniali, alcune strade incluse in un fondo recintato di essi Mantegna; in via subordinata, riconoscere - "nel proprio interesse ed in quello di una indeterminata categoria di soggetti anche non appartenenti al Comune, quali ad esempio, i turisti della zona" - che sulle strade predette si era, per usucapione, costituita servitù di pubblico passaggio.

2. - Nel corso del giudizio di cui sopra, la Corte d'appello di Palermo, con ordinanza 7 giugno 1972, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, ha sollevato questione di legittimità - in riferimento agli artt. 14,15, 17 dello Statuto speciale per la Regione siciliana, 3, 116, 117 e 128 della Costituzione - dell'art. 255 della legge regionale citata, sul presupposto della difformità della disciplina dell'azione popolare contenuta nella norma regionale rispetto a quella stabilita nella normativa statale di cui all'art. 225 del t.u. della legge comunale e provinciale, approvato con r.d. 4 febbraio 1915, n. 148, richiamato espressamente in vigore con l'art. 23 della legge 1947, n. 530.

3. - Subordinatamente all'esito del sollecitato riscontro di costituzionalità della norma regionale, il giudice a quo ha prospettato contemporaneamente il dubbio di legittimità della norma statuale di cui al menzionato art. 225 del t.u. comunale e provinciale, relativamente alle parti concernenti la limitazione dell'azione ai soli contribuenti e la previsione dell'autorizzazione dell'organo tutorio, per contrasto, rispettivamente, con gli artt. 24 e 130 della Costituzione.

4. - Ritualmente notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza indicata ed instaurato il giudizio innanzi alla Corte, é in questo intervenuto il Presidente della Regione siciliana, che ha concluso nel senso di una declaratoria di infondatezza della questione di legittimità costituzionale come sollevata sub art. 255 della legge reg. 1955, n. 6, citata.

Considerato in diritto

1. - L'ordinanza di rimessione in narrativa indicata investe la Corte del decidere se sia costituzionalmente legittimo l'art. 255 del d.l. reg. sic. 1955, n. 6 (recepito nella legge reg. sic. 1963, n. 16: Ordinamento amministrativo degli enti locali in Sicilia), secondo cui "ogni cittadino" può, senza limitazioni, "far valere le azioni ed i ricorsi che spettino al Comune".

La disposizione sopradetta - in quanto si discosta dalla norma statuale (art. 225 t.u. comunale e provinciale approvato con r.d. 1915, n. 148, espressamente richiamato in vigore con legge 1947, n. 530), che limita, invece, l'esercizio dell'azione popolare suppletiva in materia di interesse comunale ai soli contribuenti, subordinandola alla condizione della previa autorizzazione dell'organo tutorio e prescrivendo, inoltre, l'intervento in causa del Comune - sembrerebbe, infatti, "per la sua stessa emanazione ed il suo differenziato contenuto", eccedere dai limiti del potere legislativo concesso alla Regione.

Ciò tanto più ove si ritenga - come il giudice a quo mostra, in effetti, di ritenere - che la materia nella specie incisa, non sia quella (di competenza esclusiva della Regione) del "regime degli enti locali" e neppure altra che possa costituire oggetto di legislazione regionale concorrente, sibbene materia inerente al processo (in quanto investe gli istituti della legittimazione ad agire e del contraddittorio con conseguenti riflessi sugli effetti della cosa giudicata) e, perciò, riservata alla legislazione statuale.

Sotto tali profili la norma de qua sarebbe viziata per violazione degli artt. 14, 15 e 17 dello Statuto siciliano, 116 e 117 della Costituzione.

2. - Sotto altro profilo, la norma denunziata - sempre secondo l'ordinanza di rimessione - sembrerebbe in contrasto con il precetto costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.), giacché verrebbe a realizzare, per i comuni della Sicilia, una situazione giuridica ingiustificatamente diversa da quella dei restanti Comuni del territorio nazionale.

3. - Si porrebbe, infine, il dubbio di violazione dell'art. 128 della Costituzione, in quanto l'esercizio senza limiti della azione popolare, consentita ai cittadini siciliani, sminuirebbe l'autonomia dei Comuni della Regione.

4. - Le censure cosi formulate sono contrastate dalla difesa del costituito Presidente della Regione siciliana, che, in particolare, deduce:

a) quanto agli articoli 116 e 117 della Costituzione, 14, 15 e 17 dello Statuto speciale della Sicilia, che questi non sarebbero violati dalla norma regionale impugnata, la quale disciplinerebbe materia ("regime degli enti locali") di competenza esclusiva regionale;

b) quanto all'art. 3 della Costituzione, che andrebbe in radice esclusa la possibilità stessa di comparazione tra la situazione dei Comuni siciliani e quella dei Comuni siti fuori della Sicilia, poiché per questi ultimi la Regione non avrebbe potuto, evidentemente, legiferare;

c) quanto, infine, all'art. 128 della Costituzione, che gli interessi del Comune da tale precetto tutelati non potrebbero considerarsi vulnerati dalla denunziata eliminazione dei limiti all'esercizio dell'azione popolare, atteso che tale istituto rappresenta appunto un peculiare strumento di tutela di quegli interessi.

5. - La questione di legittimità dell'art. 255 della legge regionale citata, come prospettata in riferimento agli artt. 116 e 117 della Costituzione ed alle norme statutarie siciliane, é fondata.

La norma dà, come si é detto, all'istituto della azione popolare comunale suppletiva una configurazione, per vari profili, diversa da quella che le é propria secondo la legge statuale, dettando una diversa disciplina per quanto attiene alla titolarità dell'azione e alle condizioni per il suo esercizio. In tal modo essa invade - come anche il giudice a quo esattamente rileva - la materia del processo, in cui l'azione in discorso confluisce e si svolge. Epperò - essendo tale materia, come é pacifico, coperta da una riserva di competenza statuale (cfr. anche sentenze Corte 1958, n. 49 e n. 35; 1956, n. 4) - deve dichiararsi l'illegittimità della norma regionale esaminata: in base allo stesso ordine di considerazioni, del resto, che già hanno indotto questa Corte a rilevare, con sentenza n. 128 del 1968, l'illegittimità dell'art. 97 del disegno di legge 7 novembre 1962 della Regione Trentino-Alto Adige, il quale aveva analogamente interferito, innovandola, nella disciplina dell'azione popolare comunale.

6. - Restano assorbiti gli altri dedotti profili di incostituzionalità dell'art. 255 citato, in riferimento agli artt. 3 e 128 della Costituzione.

7. - Venendo quindi ad esaminare le censure di incostituzionalità formulate, nella medesima ordinanza di rimessione della Corte di Palermo, avverso la norma statuale dell'art. 225 t.u. comunale e provinciale - che il giudice a quo dovrebbe, appunto, ora applicare, una volta caduta la concorrente norma regionale - osserva la Corte che, di tali censure, senz'altro priva di consistenza é la prima - che investe la parte della norma relativa all'autorizzazione all'azione del privato - in quanto prospettata con riferimento all'art. 130 della Costituzione, che concerne la materia affatto diversa dei controlli sugli atti del Comune.

8. - Fondata é, invece, l'altra censura con cui - relativamente alla limitazione dell'azione popolare ai "contribuenti" fatta dall'art. 225 citato - si denunzia, nella sostanza (al di là del formale richiamo dell'art. 24 della Costituzione), una "discriminazione" di trattamento tra cittadini.

Per contrasto con l'art. 3 della Costituzione (che ha già condotto questa Corte a dichiarare illegittimo, con sentenza n. 38 del 1969, l'art. 35 del t.u. della legge comunale e provinciale nella parte in cui limitava ai soli contribuenti la facoltà di opporsi alle deliberazioni relative a variazioni delle circoscrizioni dei comuni) va quindi, ora, dichiarato illegittimo anche l'art. 225 del t.u. citato, nella parte, appunto, in cui attribuisce a qualsiasi contribuente anziché a qualsiasi cittadino l'azione popolare suppletiva in materia di interesse comunale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 255 dell'Ordinamento degli enti locali nella Regione siciliana, approvato con decreto legislativo regionale 26 ottobre 1955, n. 6, poi recepito nella legge regionale 15 marzo 1963, n. 16;

b) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 225 del testo unico della legge comunale e provinciale approvata con r.d. 4 febbraio 1915, n. 148, richiamato in vigore con l'art. 23 della legge 9 giugno 1947, n. 530, nella parte in cui attribuisce a qualsiasi contribuente, anziché a qualsiasi cittadino, l'esercizio dell'azione popolare ivi disciplinata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 aprile 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 7 maggio 1975.